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La crisi di met della vita

di Raffaella DiSavoia http://un-mondo-nuovo.blogspot.com/ Secondo un recente, vasto studio, il punto di maggiore infelicit nel ciclo di vita degli esseri umani contemporanei attorno ai 42-44 anni. Raggiungiamo la massima felicit verso i ventanni, poi sprofondiamo al punto inferiore poco dopo la quarantina, e siamo di nuovo felici pi avanti nella vita. Il culmine dellinfelicit giunge quindi verso la met della vita, e questo pare valido per chiunque, senza distinzioni di genere, cultura, occupazione, stato di salute, situazione familiare o economica. Non voglio qui approfondire il concetto di felicit, perch ci porterebbe troppo lontano. Mi pare per che la notizia sia rilevante. La scienza ancora una volta conferma ci che discipline altre avevano gi intuito e sperimentato. Lidea che la vita di un essere umano si svolga secondo un ciclo, un ritmo preciso, affonda le radici in antiche discipline sapienziali, ed stata ripresa e convalidata da numerosi autori, primo fra tutti Carl Gustav Jung. Lo sviluppo di un essere umano segue un percorso archetipico che ha tappe comuni a tutta lumanit: nel nostro ciclo di vita noi sperimentiamo ci che gli esseri umani hanno da sempre sperimentato, in qualunque luogo del pianeta, seguendo una sequenza di stadi. Esiste un ciclo naturale di vita: nascere, esplorare lambiente, giocare con i coetanei; affrontare le sfide delladolescenza; entrare nel gruppo degli adulti; lavorare, conquistare un posto nel gruppo sociale; sposarsi, allevare figli; partecipare a riti e cerimonie; assumere le responsabilit della tarda maturit; invecchiare e prepararsi alla morte. Questo programma di vita, inscritto nel nostro DNA psichico, ci riguarda tutti, riguarda la piena e compiuta realizzazione della nostra esistenza umana anche se, naturalmente, il percorso sar pi o meno cosciente a seconda del livello di consapevolezza dellindividuo. Passando da una fase allaltra, esprimendo nuovi aspetti, affrontando nuove sfide, ampliamo le nostre possibilit, manifestiamo nuovi aspetti di noi, diventiamo esseri umani sempre pi completi, ricchi, presenti, e la nostra esistenza acquisisce una prospettiva dinamica, un senso, una direzione. Questo ciclo archetipico cerca realizzazione nella personalit: ma non sempre la vita segue un filo cos lineare. Se per qualche ragione le tappe non vengono espresse compiutamente, allora i corrispondenti archetipi restano inattivi nellinconscio dellindividuo, e il suo sviluppo si arresta o segue un percorso distorto. A volte possibile e necessario esplorare i motivi che intralciano tale sviluppo, rimuovendo gli ostacoli che impediscono la piena espressione di s. Altre volte, ci semplicemente richiesto di accettare, anche se con dolore e forse frustrazione, che la nostra vita, in quel campo, non potr raggiungere la sua massima espressione. Il sentiero della nostra vita si dipana quindi nelle diverse fasi, alternando momenti di relativa quiete, di espansione e fluidit a periodi di profonda crisi e complessit. In particolare, viviamo la difficolt delle fasi di transizione: quei periodi critici di passaggio fra una fase e unaltra, in cui allopera un cambiamento profondo. La prima e pi evidente transizione ladolescenza, con tutti i turbamenti e la fatica che comporta il passaggio dallinfanzia allet adulta. La trasformazione che affrontiamo negli anni delladolescenza talmente evidente che non pu essere negata: ma non la sola fase critica della nostra vita. Altri sono i momenti di transizione che, consapevolmente o no, dovremo affrontare. Attorno ai quarantanni, a conferma di ci che la scienza ha recentemente dimostrato, incontriamo la transizione di met della vita. Questa forse la fase pi faticosa, difficile e complessa dellesistenza. Un momento di profondissimi mutamenti, che ognuno vive in modo diverso a seconda delle caratteristiche
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individuali e delle situazioni, ma che resta per la maggior parte delle persone un periodo di grande difficolt. Ma qual il motivo di questa crisi? Joseph Campbell la definisce come ci che accade quando si raggiunge la cima della scala e ci si accorge che appoggiata al muro sbagliato. Una frase, questa, che mi ha sempre colpito per la sua efficacia. Porta con s il senso di avere faticosamente, per anni, scalato un muro perch arrivare in cima era quello che volevamo, oppure quello che ci sembrava giusto fare, per poi arrivare su, ancora ansimanti, e renderci conto che stata fatica sprecata, che abbiamo sbagliato muro, che abbiamo investito tempo ed energie in qualcosa che non ha pi senso; per poi arrivare in cima e chiederci tutto qua?. Ognuno ha il proprio muro: se si investito su figli e famiglia, ci si rende conto che in realt si trascurata la realizzazione professionale; se ci si buttati nella carriera, si sente la lancinante mancanza di una vita affettiva; se ci si barcamenati a prezzo di enormi fatiche fra casa-lavorofigli, ci si ritrova invecchiati e ci si chiede dove siano finiti il divertimento, la passione, la gioia; se si rimasti single disimpegnati e si sono vissuti anni di viaggi ed esperienze varie ci si rende conto di aver buttato via la vita senza costruire nulla. E cos via. Arrivati in cima al muro, qualunque esso sia, ci si accorge che manca qualcosa, qualcosa di fondamentale. E allora tutto ci che si fatto fino a quel momento perde valore, perde senso. Da qui, la crisi. Crisi esistenziale quindi, che ci spinge alla richiesta di un nuovo orientamento. Crisi da cui nemmeno i grandi esseri sono immuni: lo stesso Jung attravers anni profondamente bui da cui trasse intensa ispirazione per le sue teorie. E una lunga fase di dubbi e disorientamento. Una fase in cui ci richiesta una trasformazione. La prima met della vita ci chiede di attivarci nel mondo, nella societ, per rispondere a una domanda: cosa voglio io dalla vita? La seconda met ci pone invece una domanda diversa: cosa la vita vuole da me? Cambia la prospettiva, cambia radicalmente il punto di vista. Ci richiesto un riorientamento, un affidamento a qualcosa di pi grande di noi. Ci richiesto di coltivare il senso pi alto dellesistenza, di avvicinarci al suo significato spirituale. In altri termini, ci richiesto di morire e rinascere. Larchetipo della Morte acquista qui particolare rilevanza. La trasformazione indicata dalla Morte implica il lasciare andare (lasciare morire) parti di s. richiesto un sacrificio, un distacco da qualcosa che non pi sufficiente, pi adeguato. Questa liberazione dolorosa, perch si basa su un sentimento di incompiutezza e di inadeguatezza. Ci che stato compiuto fino a questo momento non pi importante. Acquistano invece peso e significato i non fatti, i non detti, i non compiuti. C un desiderio incontenibile di integrare le esperienze non vissute. Lindividuo si sente parziale, privo di valore e significato, e la vita diventa una carrellata di occasioni perse. Locchio su ci che manca: e pare che se non si riesce a ottenerlo, anche tutto il resto sar perduto. Solo completando lesperienza con ci che assente, lintero acquister valore. Sar la seconda parte della vita, ci che succeder da oggi in poi a determinare il valore del tutto. Saranno le nostre scelte, quelle che da oggi iniziamo a fare, a determinare se ne sar valsa la pena, se la nostra esistenza avr avuto un senso, se siamo passati lasciando una traccia, o se invece ci siamo nascosti, rinchiusi, e resi invisibili. Da oggi comincia il conto alla rovescia per il verdetto finale. Ci che manca ci chiama e richiede attenzione. I pali che ci hanno sorretto finora crollano, sotto il peso della vacuit, e solo nuovi sostegni possono ridare slancio e solidit alla nostra costruzione. Le illusioni si sgretolano. Non c pi tanto tempo. Non vero che un giorno saremo felici, quando ci saranno le condizioni. Non vero che la nostra vita deve ancora iniziare, e un giorno sar bellissima. Non vero che il Mulino Bianco ci sta aspettando. La nostra vita questa. Questa, cos com, oggi. Questo ci che abbiamo costruito finora: e siamo gi a met, se siamo fortunati.
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Abbiamo perso tempo? Abbiamo giocherellato? Abbiamo dato valore a ci che valore non ha? Abbiamo creduto che domani sarebbe stato migliore, che domani avremmo trovato il lavoro ideale, avremmo incontrato lamore eterno, domani saremo dimagriti, avremmo fatto dei figli e comprato la casa dei sogni? Tutto questo, tutto assieme, domani? Oppure, domani avremmo viaggiato e visto il mondo, avremmo studiato linglese, avremmo fatto parapendio, avremmo aperto un bar sulla spiaggia ai Caraibi? Un giorno ci svegliamo e la realt ci piomba sulla testa come unincudine. Domani non c. Domani non esiste. Non vero che saremo felici. Se non lo siamo qui, adesso, non c ragione per cui lo saremo domani. Allora suona lallarme. Ultimo treno per la felicit. Non c pi tanto tempo. Ma punge forte la consapevolezza che ci che ci manca lontano dalle nostre possibilit. Se ci fosse stato possibile, lavremmo gi fatto. E allora la crisi si fa ancora pi ampia: sentiamo che per dare un senso e un valore allesistenza ci richiesto quel passoma poich non labbiamo fatto finora, probabilmente non ci cos facile. Allora da un lato si scatena un senso di urgenza, dimpellenza, adesso o mai pi; dallaltro, si fa sentire pi forte il senso dinadeguatezza, dincapacit davanti alla sfida. Ed qui che ci richiesto un salto nel vuoto, un lasciar morire: lasciare morire le parti di noi che ci hanno finora detto no. Lasciare morire quella concezione di non essere in grado, di non riuscire, di non potere. E lasciare morire anche lidea di avere sotto controllo la nostra vita e la nostra stessa identit. Qui moriamo. Se ce lo concediamo, se riusciamo a entrare in questa Morte, affidandoci ad essa, e confidando nella saggezza della Vita; se riusciamo a morire senza decidere a priori come rinascere, ma soltanto fidandoci del fatto che rinasceremo; se siamo abbastanza forti da sprofondare nella palude della depressione esistenziale, abbastanza fiduciosi da lasciarci attraversare da sogni immagini e intuizioni, abbastanza consapevoli da lasciarci andare a questa morte: se possiamo fare questo, allora la rinascita l per noi. Occorre lumilt di accettare che allopera unintelligenza molto pi grande di noi. E che non saremo noi, qui, ora, a decidere chi essere, cosa fare, che direzione dare alla nostra seconda met della vita. Nella morte non c risposta. Solo morendo potremo rinascere, ma la forma non la decideremo noi. Nel caos e nello sgretolamento di quella che la nostra vecchia identit, non possiamo aggrapparci a nulla di ci che siamo stati, di ci che abbiamo creduto di essere. Tutto ci che ci ha portato fin qui si sbriciola. Nulla ha pi valore. Inchiniamo la testa alla Vita. Affidiamoci. Arrendiamoci alla nostra limitatezza. E quando il tempo sar compiuto, allora potremo vivere di nuovo. Portando avanti il nostro compito, procedendo verso la nostra realizzazione.

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di Raffaella DiSavoia

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