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I tre richiami di Napolitano

di Federico Orlando - Europa Quotidiano 03.01.12 Risanamento, crescita e giustizia, sono i tre imperativi richiamati da Giorgio Napolitano al governo Monti la sera di san Silvestro. E ai sindacati il dovere di restare fedeli alla loro storia di difensori della democrazia, ai partiti il dovere di ritrovare la politica, per adeguare lo stato, le istituzioni, gli apparati e garantire governi in fruttuosa alternanza, che trovino nella competizione oltre che nel dovere gli stimoli per ricostruire la morale civile, pensare alla parte pi povera della societ, tagliare le spese parassitarie, ricondurre riottosi e corporazioni sotto la legge, sviluppare le prospettive delle imprese sane, dare lavoro ai giovani alle donne e agli espulsi dalla produzione. Salvare lItalia in Europa e lEuropa dalle sue turbe ereditarie modello ungherese e da nuovi egoismi, guarire e rimettere in corsa quellItalia positiva che il presidente ha incontrato, nellannus horribilis 2011, ripercorrendo i 150 dellunit nazionale, accolto dovunque da folle di buona volont che con lui hanno ritrovato orgoglio e speranza. Ascoltandolo, ricordavo che nellampia pubblicistica in vista del centocinquantenario, ci sono stati studiosi che hanno ricercato ancora una volta Lidentit italiana (Galli della Loggia) partendo dalle stesse coordinate geografiche della penisola, centro dEuropa allincrocio tra la via che unisce il blocco francoiberico e le pianure dellEst, e la via breve o brevissima tra il forte Nord atlantico e la sponda mediterranea dellAfrica e del Levante. Nasce dalla crisi politica e istituzionale di quellincrocio la remota ma ancora virulenta decadenza che in millecinquecento anni senza patria ha cronicizzato nella penisola lomologazione del problema politico-statuale a una vera e propria questione morale. Nessuna meraviglia se lItalia sia stata un agglomerato senza popolo e un paese senza stato. Nessuna meraviglia se allinizio della peregrinazione presidenziale del 2011, si stampavano raccolte come Scusi, lei si sente italiano? dove Malaparte rispondeva: Non so che farmene di una patria che non sopporta la verit; e Flaiano: Per molti lItalia non una nazionalit ma una professione; mentre Montanelli si spingeva fino alla totale identificazione: Quel poco che sono, sento di esserlo come italiano; e Berselli consigliava la via mediana fra le Italie (al plurale, come cantavano nel 500 i conquistatori francesi di Carlo VIII): Conviene sceglierne un paio decenti, e limitare lorgoglio a quelle. Paese difficile, politica difficile. Perci, quando la tv ha calato il sipario sulla scena familiare del presidente senza retorica e senza orpelli, che in ventuno minuti ci aveva spiegato passato presente e futuro del paese senza sforzi mentali per gli ascoltatori, abbiamo avuto la sensazione che, al di l della tavola apparecchiata, si materializzassero, uno affianco allaltro negli scaffali, opere come Una e indivisibile, raccolta degli sforzi di Napolitano sulle capacit degli italiani, sulle loro risorse umane, di intelligenza e di lavoro, necessarie a superare prove pi che mai ardue, profonde e di esito incerto; e quelle sulla coscienza liberale dello stato, Lo scrittoio del Presidente e Prediche inutili di Luigi Einaudi. Dove inutili in parte sta per non lette, in parte inascoltate, in parte dimenticate, ma instancabilmente ripetute e da ripetere agli uomini di buona volont: quali del resto furono la minoranza eroica del Risorgimento e della Resistenza, lItalia di minoranza che fece lo stato, ma anche la stragrande maggioranza operosa della ricostruzione. Parole, direbbe linventore della porcata. Ma costui sa cosa significano e cosa fanno le parole? Per esempio, quelle del Discorso del Re e quelle del Mein Kampf? Sono stati bravi gli studiosi che alla vigilia di san Silvestro, commentando alla Sapienza il saggio di Napolitano, vi avevano colto lintreccio tra il linguaggio della politica e quello della storia: la storia comune, senza irenismi, di cui aveva parlato Pietro Scoppola. Unico 1

linguaggio per andare al profondo del problema: cio al divorzio tra politica e cultura, che da qualche decennio stravolge il necessario ripensamento dellidea di Nazione. Che nellet della globalizzazione non pi, forse dice Galasso il plebiscito di ogni giorno come laveva inteso Renan, ma in nessun caso pu essere il ritorno al Medio evo della vallata alpina, della rocca appenninica, della contea imperiale o vescovile e della sua economia curtense: le mille piccole patrie di un volgo disperso che nome non ha. Il messaggio di Napolitano, che ha reso semplice e naturale questintreccio di linguaggi, ha aperto proprio con esso le finestre sul presente e sul futuro. Sacrifici non brevi, che solo la giustizia e lequit potranno rendere accettabili Napolitano lha ricordato al governo Monti, allEuropa, ai partiti, ai responsabili dogni settore della vita pubblica ed economica, ai sindacati: per un verso richiamando precedenti prove, superate dagli italiani con la coesione nazionale, come quella del 1978, col cadavere di Moro gettato in faccia ai Palazzi della politica, anche allora latitante, e con linflazione al 20 per cento, che devastava milioni di famiglie a reddito fisso; cos come oggi le devastano i delinquenti che in poche settimane hanno trafugato allestero 11 miliardi di euro, degno compimento di una stagione, la loro, di ignominie morali, fughe dalla giustizia, abbandono del governo agli immeritevoli, disuguaglianze sociali enormi a favore delle caste, debito sovrano in ulteriore crescita, disoccupazione e inoccupazione, e addirittura rinuncia allidea stessa di un lavoro da parte di milioni di giovani e donne. Per un altro verso, il presidente parso sollecitare scadenze al dovere del governo di fare le cose che ora i cittadini aspettano, dopo aver accolto con disciplina, quasi di guerra, i sacrifici richiesti. Cos gi ieri i giornali intitolavano sui due nodi cruciali che il governo dovr affrontare ad horas: il lavoro e la spesa. Si parla di 25 mila voci e dieci tipologie di inefficienze, con tagli per 5 miliardi di euro; si parla di allarme dei sindacati per altre decine di migliaia di posti a rischio; si preannunciano incontri rapidi e concreti del governo coi singoli sindacati, per trattare sul lavoro. Non anche sulle altre questioni economiche, che spettano al governo. Cos si comincia anche a ripristinare le sfere di competenza, in uno stato che voglia tornare interamente alla Costituzione e alla concretezza. E si eviteranno le parole magiche e gli scatoloni vuoti, che Einaudi denunciava negli anni Cinquanta, e si torner per tutti a quella severit che la breve stagione di Padoa Schioppa ci aveva lasciato intravedere e che Napolitano ha rilanciato, senza complessi verso quegli stessi compagni che deplorano il suo linguaggio come liberale. Quasi che, in origine, liberale non fosse sinonimo di rivoluzione.E quasi che, in unItalia abbandonata da decenni al malgoverno della non politica, lasciando crescere le erbacce velenose dellegoismo e dellillegalit, non ci fosse bisogno proprio di una rivoluzione. Che in Occidente, cari compagni, chiamerebbero liberal, guarda un po.

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