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STRATEGIE DI SUSSISTENZA

Annali dellUniversit degli Studi di Ferrara Museologia Scientifica e Naturalistica

ISSN 1824-2707 volume speciale (2007)

Lo studio tecno-tipologico ed areale del calcare del sito paleolitico di Isernia La Pineta: un modello interpretativo delle strategie di sussistenza
Antonella Minelli1 & Maria Angela Rufo2
2 1 Facolt di Scienze Umane e Sociali, Universit degli Studi del Molise, via Mazzini 8, I-86170 Isernia Facolt di Lettere e Filosofia, Universit degli Studi di Napoli Federico II, c.so Umberto I, I-81100 Napoli antonella.minelli@unimol.it, mariaangelarufo@virgilio.it

___________________________________________________________________________________ Abstract Studies and researches carried out in the last years at the Palaeolithic site of Isernia La Pineta have shed new light on the activities carried out by human groups in the basin of Isernia during the Middle Pleistocene also offering an important key for the interpretation of their behavioural strategies. Analyses carried out on raw materials have confirmed the presence of two different lithotypes: flint and limestone; the lithological dichotomy is related to a functional dichotomy that seems to have conditioned the activities of human groups in different areas of the site. The necessity to deepen the study on the exploitation of limestone is a consequence of the evidence which was brought to light during last excavation campaigns concerning the identification of a remarkable concentration of flaked limestone pebbles and flake scars in some areas of the explored archaeosurfaces, particularly 3a and the overlying layers. The aim of the present study is to explain the characteristics of the limestone findings both in reference to raw material, its state of preservation and techno-typological evidences. Data so far available have permitted to obtain a precise knowledge of the environmental context and the territorial resources exploited by human groups showing their opportunistic capability to find the most advantageous behavioural solution for their necessities of subsistence. [Technotypological analysis and distribution of limestone at the Palaeolithic site of Isernia La Pineta: an interpretative model of subsistence strategies.] Keywords: Archaeosurfaces, Lithic industry, Raw material. ___________________________________________________________________________________ Il sito paleolitico di Isernia La Pineta si caratterizza per una ricchissima associazione di reperti litici e faunistici riferibili a pi archeosuperfici poste allinterno di una complessa serie stratigrafica (Peretto, 1983 a cura di; Coltorti et alii, 2005; Peretto & Minelli, 2006 a cura di). proprio grazie agli studi e alle ricerche svolte ed approfondite negli ultimi anni sul giacimento che si reso possibile considerare, in modo decisamente nuovo, le attivit realizzate dal gruppo umano che ha abitato il bacino di Isernia durante il Pleistocene medio; uninterpretazione che coinvolge lintera area di particolare interesse archeologico e scientifico, le cui caratteristiche legate alla sua messa in luce, conservazione, determinazione, interpretazione informatica, sono la chiave per limpostazione di un discorso pi ampio che ricade direttamente nella sfera dellevoluzione comportamentale delluomo preistorico. Lo studio che sintende presentare, seppure ancora in una fase preliminare, ha lo scopo di dedurre, a partire dalle caratteristiche tecnotipologiche del calcare, le modalit di sfruttamento della materia prima che presente sul sito in due forme litotipiche differenti, la selce ed il calcare (Peretto, 1994; Minelli, 2002; Crovetto et alii, 1994). Questa dicotomia litologica, e quindi anche funzionale, delle materie prime, sembra avere condizionato gli atteggiamenti comportamentali del gruppo umano, il quale ha operato un duplice sfruttamento della materia prima: molto intenso per quanto riguarda la selce, pi superficiale per ci che concerne il calcare. Lesigenza di incentrare uno studio pi particolareggiato sul calcare scaturita dallevidenza, presentatasi nelle ultime campagne di scavo, di una concentrazione rilevante dei supporti e dei manufatti in calcare in alcune zone delle

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archeosuperfici esplorate (Peretto, 1999 a cura di), in particolare la 3a e gli strati che la ricoprono; questa registrazione ha indotto ad approfondire lo studio delle caratteristiche dei reperti in calcare, sia in riferimento alla materia prima ed al suo stato di conservazione, sia alle tipologie riscontrate, che alle dimensioni delle stesse distinte nettamente da quelle in selce. Per ci che concerne la materia prima, le indagini stratigrafiche hanno permesso di individuare la zona prossima allaccampamento come area di approvvigionamento. Il calcare si presenta sotto forma di ciottoli di medie e grandi dimensioni, a volte particolarmente alterati. Pur tenendo conto delle difficolt interpretative, relative ad una facile erodibilit superficiale del calcare, stato possibile condurre uno studio tecnotipologico completo. Dei 384 reperti analizzati (Tab. 1), tutti localizzati nel I settore di scavo, 304 provengono dallo strato denominato 3coll, a indicazione di una serie di esondazioni che sono andate a coprire i livelli archeologici; 80 reperti dallo strato 3S6-9, che invece si caratterizza come uno strato di sabbie piuttosto grossolane anchesse ricche di materiale vulcanico.
Supporti Ciottolo Mezzo ciottolo Percussore Chopper Chopper-nucleo Rabot Nucleo Nucleo su scheggia Scheggia Incudine Indeterminato TOTALE 3coll 145 26 10 2 0 0 27 5 86 1 2 304 3S6-9 37 4 5 0 0 3 12 0 19 0 0 80

Fig.1. Isernia La Pineta; nucleo subpiramidale (Foto M.A. Rufo)

raro caso di piramidali o subpiramidali (Fig. 1). In ogni caso, i nuclei risultano debolmente sfruttati: il piano di percussione per il 90% dei casi naturale. Il numero dei distacchi presenti sulla faccia dei nuclei varia da 1 a 4; solo in rari casi, tra tutto linsieme litico studiato, sono stati riconosciuti nuclei a 5 o pi distacchi. Decisamente pi alta lincidenza dei prodotti su scheggia che costituiscono una buona parte dellinsieme studiato (Fig. 2). Uno studio mirato ha permesso di evidenziare tali caratteristiche: netta la predominanza di schegge interamente corticate, mentre tra le schegge a stacchi in faccia dorsale predominanti sono quelle ad uno stacco (Tabb. 2-3). Nella categoria dei talloni solamente due sono le tipologie individuate: corticato e liscio. Dunque sia la morfologia che la tipologia dei talloni da ricondurre ad un metodo di dbitage di tipo opportunista. La bassa incidenza dei prodotti su ciottolo non deve assolutamente essere associata ad una deficienza qualitativa, infatti, questa specifica classe tipologica risulta tecnologicamente e morfologicamente ben caratterizzata (Figg. 3-4).

Tab. 1. Isernia La Pineta; suddivisione tipologica dellinsieme studiato.

Ad una disomogeneit di ordine quantitativo, tra i due gruppi di reperti presi in esame, corrisponde una forte omogeneit tecno-tipologica e litologica. Come facile desumere dalla tabella proposta, oltre ad unalta incidenza dei ciottoli naturali, discretamente rappresentati risultano i nuclei, per i quali, nella gran parte dei casi si tratta di ciottoli di medie dimensioni di forma allungata e sezioni ovalari appiattite, oltre a piccoli blocchi di forma quadrangolare dalla morfologia irregolare e qualche

Fig. 2. Isernia La Pineta; serie di schegge a dimensione variabile (a, b: schegge intere di piccole dimensioni con stacchi in faccia dorsale; c, d: schegge intere di piccole dimensioni parzialmente corticate; e: scheggia intera di grandi dimensioni parzialmente corticata) (disegni D. Mengoli; 1/3 grandezza naturale).

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3S6-9 3coll TOT.

S. int. cort. % n. 20 12 80 48 60

Fram. cort. % n. 14 1 86 6 7

Tab. 2. Isernia La Pineta; distribuzione per strato delle schegge intere corticate (S. int. cort.) e dei frammenti corticati (Fram. cort.).

3S6-9 3coll TOT.

Uno stacco % n 10 2 90 19 21

Due stacchi % n 27 3 73 8 11

Tab. 3. Isernia La Pineta; distribuzione per strato di schegge intere che presentano stacchi in faccia dorsale.

Per quanto riguarda le dimensioni, sembra non esserci una grande variabilit: infatti la lunghezza pu essere facilmente racchiusa in un range che va da 4 a 12 cm, la larghezza, in una media di circa 8 cm. Tutti questi reperti sono ottenuti con un numero ridotto di stacchi, generalmente da 1 a 3 ed in senso unifacciale, a conferma di un debole sfruttamento della materia prima. La classificazione tipologica dei choppers, considerando in questo gruppo soltanto i reperti ad esso ascrivibili, mostra come in 3 casi si tratti di tipi non appuntiti, a tranciante convesso non denticolato ed in due casi a bordi convergenti asimmetrici. In ognuno dei manufatti esaminati la fronte prodotta dagli stacchi piuttosto larga formante un angolo piuttosto spesso. I rabots rappresentano certamente la tipologia di manufatto in calcare meglio caratterizzata: i tre studiati sono di grandi dimensioni (media

lunghezza: 110 mm, media larghezza: 72 mm, media spessore 48 mm) e sono ottenuti con un numero piuttosto elevato di stacchi, in qualche caso anche di grandi dimensioni, che fanno assumere al manufatto una caratteristica forma a ventaglio. I tre reperti analizzati nel corso di questo studio sono molto ben caratterizzati morfologicamente, ma spesso molto sottile il limite tra chopper e rabot. I dati emersi e finora proposti evidenziano una logica di sfruttamento della materia prima piuttosto semplice, in particolare un tipo di dbitage a pochi piani di percussione, non gerarchizzati e non preparati, con rapporti di adiacenza, opposizione ed ortogonalit. Dunque, la linea produttiva pu essere messa in relazione con un tipo di dbitage opportunista (unipolare ed ortogonale), quale risposta ad esigenze funzionali, produttive ed adattative. Lanalisi tecno-tipologica svolta, in particolare sullindustria in calcare, ben si inserisce nellinsieme delle conoscenze gi acquisite nel corso degli anni sul giacimento paleolitico di Isernia La Pineta, proponendosi sia come singolarit tecnotipologica, sia come parte di una coscienza comportamentale ben strutturata. dunque possibile affermare che il gruppo umano che ha abitato il bacino di Isernia avesse una sicura conoscenza delle risorse del territorio da cui una opportunistica capacit di sfruttamento delle risorse allinterno di un preciso contesto ambientale si sia ravvisata quale soluzione comportamentale pi vantaggiosa per la risoluzione delle necessit di sussistenza.

Fig. 3. Isernia La Pineta; chopper (disegni D. Mengoli; 1/5 grandezza naturale).

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Fig. 4. Isernia La Pineta; rabot (da sinistra: visione frontale, laterale, posteriore) (Disegni D. Mengoli; grandezza naturale). Ringraziamenti Si ringraziano lUniversit degli Studi di Ferrara, in particolare la persona del prof. Carlo Peretto, la Soprintendenza per i Beni Archeologici del Molise, il Centro Europeo di Ricerche Preistoriche (C.E.R.P) ed il gruppo di ricerca che ha preso parte alle attivit di indagine archeologica sul sito, in particolare: Marta Arzarello, Marilena Cozzolino, Rosalia Gallotti, Giuseppe Lembo, Annarosa Di Nucci, Ettore Rufo, Ursula Thun Hohenstein. Bibliografia Coltorti M., Feraud G., Marzoli A., Ton-That T., Voinchet P., Bahain J.-J., Minelli A., Thun Hohenstein U. & Peretto C. (2005): New 40Ar/39Ar, stratigraphic and paleolithic data on the Isernia La Pineta Lower Paleolithic site. Molise, Italy. Quaternary International, 131: 11-22. Crovetto C., Ferrari M., Longo L., Peretto C. & Vianello F., (1994): The carinated denticulates from the Paleolithic site of Isernia La Pineta (Molise, Central Italy): tools or flacking waste? The result of the 1993 lithic experiments. Human Evolution, 9: 175-207. Minelli A. (2002): Il giacimento paleolitico di Isernia La Pineta per lo sviluppo delle conoscenze del popolamento antico in Italia: i reperti litici e le archeosuperfici. Tesi di dottorato in Scienze Antropologiche, XV ciclo, curriculum Paleontologia Umana, Consorzio Universitario di Bologna, Ferrara e Parma (inedita). Peretto C. (1983, a cura di): Isernia La Pineta. Un accampamento pi antico di 700.000 anni fa. Calderini Editore, Bologna. Peretto C. (1994): Le industrie litiche del giacimento paleolitico di Isernia La Pineta. La tipologia, le tracce di utilizzazione, la sperimentazione. Isernia, Istituto Regionale per gli Studi del Molise V. Cuoco, Cosmo Iannone Editore, Isernia. Peretto C. (1999, a cura di): I suoli dabitato del giacimento paleolitico di Isernia La Pineta, natura e distribuzione dei reperti. Istituto Regionale per gli Studi Storici del Molise V. Cuoco, Cosmo Iannone Editore, Isernia. Peretto C. & Minelli A. (2006, a cura di): La preistoria in Molise. Gli insediamenti nel territorio di Isernia. Centro Europeo di Ricerche Preistoriche, Collana Ricerche 3, Aracne Editrice.

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Il complesso musteriano di Grotta Reali (Rocchetta a Volturno, Molise): prime osservazioni sullindustria litica
Ettore Rufo
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Dipartimento di Biologia ed Evoluzione, Universit degli Studi di Ferrara, c.so Ercole I dEste 32, I-44100 Ferrara ettore.rufo@tin.it

___________________________________________________________________________________ Abstract Grotta Reali, a Mousterian site discovered not long ago in Rocchetta a Volturno (Molise), opens inside of a tufa bank, which runs along the basin of the Volturno river for about 5 Km. The analysis of the lithic assemblage, to be ascribed to a recent phase of the Middle Palaeolithic, has shown the application of different dbitage methods: both opportunistic (S.S.D.A.) and predetermined methods (Levallois, discoid, laminar) are well represented. I wish to remark the meaningful presence of blades obtained thanks to a laminar method sensu stricto. [The Mousterian complex of Grotta Reali (Rocchetta a Volturno, Molise): preliminary analysis of the lithic industry.] Keywords: Travertine, Middle Palaeolithic, Methods of dbitage. ___________________________________________________________________________________ Grotta Reali situata nel comune di Rocchetta a Volturno (Molise), alle sorgenti del fiume Volturno e ad unaltitudine di circa 500 m s.l.m. La scoperta del sito risale allestate del 2001 e si deve al sig. Pierluigi Berardinelli; i susseguenti sopralluoghi dei ricercatori dellUniversit di Ferrara hanno condotto allindividuazione del contesto di provenienza del materiale rimaneggiato e allindividuazione di livelli insediativi sul lato meridionale di una placca di travertino che attraversa il bacino dellalto Volturno per 5 km circa (Brancaccio et alii, 1988; Violante et alii, 1994) ed interessata per tutta la sua estensione da diffusi fenomeni carsici. La grotta, aprendosi in una parete di cava attualmente in disuso, appare parzialmente alterata da episodi di crollo, naturali o indotti, s che risulta oggi poco agevole ricostruirne la morfologia originaria. Nel 2002, sotto la direzione della Soprintendenza Archeologica del Molise e dellUniversit degli Studi di Ferrara, stata condotta una verifica stratigrafica preliminare, che ha messo in luce una successione di circa 2,5 metri di potenza, all'interno della quale sono stati riconosciuti almeno due orizzonti antropizzati intercalati a livelli sterili di matrice sabbiosa. In ragione dello stato di conservazione non ottimale del deposito, le indagini sul campo sono state precedute dallo studio del materiale di superficie, prima via per un inquadramento cronologico-culturale del complesso, attribuito, su base tecno-tipologica, ad una fase recente del Paleolitico medio. In tal sede si presentano, dunque, i primi risultati emersi dallanalisi di un significativo campione di manufatti fuori-strato, recuperati a partire dal 2001 ai piedi della grotta. Il complesso si presenta altamente omogeneo (dato confermato dalle prime osservazioni condotte sul materiale proveniente dal sondaggio), cosicch, pur nella natura della raccolta, stato possibile procedere ad unanalisi tecnologica completa e ad una fedele ricostruzione della catena operativa, la quale sembra si sia svolta interamente - o prevalentemente - in situ, come suggerito dalla presenza di prodotti e sottoprodotti provenienti dalle diverse fasi della lavorazione. Quanto allo stato superficiale, i manufatti si caratterizzano per un buono stato di conservazione, se si eccettua la presenza, nel 90% del campione, di una patina bianco-opaca, a distribuzione totale e profondit variabile, evidentemente legata al substrato sabbioso-travertinoso del deposito, che

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impedisce per solo in rari casi la determinazione litotipica e la lettura tecnologica. La materia prima utilizzata esclusivamente selce, ascrivibile ad almeno nove tipi diversi, di colore variabile tra il bianco, il grigio e il nero, omogenea, a tessitura medio-fine, prelevata sotto forma di lastrine di dimensioni medio-piccole come suggerito dallandamento dei residui corticali su alcuni supporti - in affioramenti o depositi detritici poco distanti; in tal senso, una serie di prospezioni ha portato allindividuazione di due presunte aree di approvvigionamento, ubicate a circa 3 km in linea daria dal sito. Allo stato attuale delle ricerche non sembra vigano relazioni tra tipo di materia prima e scelte tecniche. Linsieme analizzato si compone di 4412 pezzi (Tab. 1).
SUPPORTI Schegge a dbitage identificabile Dbris e frammenti Nuclei Percussori Lastrine TOTALE n. 1934 2418 58 1 1 4412 % 43,83 54,81 1,31 0,02 0,02 100,00

Tab. 1. Composizione generale dellinsieme.

Fig. 2. 1) Nucleo Levallois a scheggia preferenziale; 2) Nucleo a punta Levallois; 3) Nucleo Levallois ricorrente centripeto; 4) Nucleo a piani ortogonali; 5) Nucleo sublaminare; 6) Nucleo su scheggia (disegni E. Rufo).

Allinterno del campione, altamente rappresentativa la categoria dei dbris, sottoprodotti provenienti da fasi intermedie delle catene produttive, i quali, pur se non ricollocabili negli schemi operazionali, aggiungono veridicit allipotesi che la lavorazione si dispiegasse sul sito; tale idea rafforzata dalla significativa percentuale di schegge corticali e semicorticali (14%). Relativamente alle sequenze di produzione, lapproccio tecnologico (Boda et alii, 1990; Inizan et alii, 1995) ha evidenziato lapplicazione di diversi metodi di dbitage autonomi (Fig. 1) - pur se talvolta supponibile la messa in opera di catene operative miste (Boda, 1997) - preferenzialmente descritti a partire dallesame dei nuclei (Fig. 2). Il dbitage a piani ortogonali (Forestier, 1993) o opportunista (Arzarello, 2004) quello meglio rappresentato.

Lo sfruttamento alternato/incrociato di pi piani di percussione, mirato ad una produttivit massimale, d vita a nuclei residuali globulosi o poliedrici di dimensioni generalmente ridotte (Fig. 2, n. 4) e schegge di dimensioni variabili e morfologia non standardizzata. Ben rappresentati i metodi comunemente definiti con predeterminazione. Tra questi, particolarmente incidente il metodo Levallois, qui attestato nelle sue varianti lineale e ricorrente (centripeto, unipolare e bipolare) (Boda, 1994; Chazan, 1997; Van Peer, 1992) (Fig. 3); dallesiguo numero di nuclei a scheggia preferenziale si deduce che tale modalit veniva probabilmente introdotta in una fase iniziale della catena operativa, che proseguiva poi secondo una gestione ricorrente.

Fig. 1. Percentuali di attestazione dei diversi metodi di dbitage.

Fig. 3. Metodo Levallois: numero di prodotti per modalit.

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Da rilevare, poi, la significativa attestazione di punte Levallois, associate ad alcuni nuclei gestiti secondo il principio della nervatura-guida (Inizan et alii, 1995). Per quel che concerne gli schemi ricorrenti, maggioritaria risulta lapplicazione della modalit unidirezionale, che fornisce, generalmente, prodotti allungati, talora a tendenza laminare. Di un certo interesse l'attestazione del dbitage discoide, che sembra configurarsi nell'insieme come una catena operativa indipendente, pur non escludendosi una sua introduzione secondaria nellambito di catene Levallois ricorrenti centripete, dalle quali esso distinto in base ai sei criteri tecnici fissati in letteratura (Boda, 1993), ma non sempre validi (Mourre, 2003; Peresani, 2002; 2003; Slimak, 2003; Terradas, 2003). La sua incidenza nel complesso di Grotta Reali ne accentua linteresse documentario, poich il metodo discoide attualmente segnalato in un numero esiguo di siti italiani, a causa di una sospetta sottorappresentazione indotta da generalizzazioni di eredit bordesiana (Grimaldi, 1996; Peresani, 2003). La presenza di lame ottenute attraverso uno sfruttamento di volume, dunque tramite un metodo laminare stricto sensu, si pone come elemento di nuovo spessore nello studio del comportamento tecno-economico dei neandertaliani, contribuendo al dibattito che da circa due decenni sta vedendo sfatarsi il binomio esclusivo Homo sapiens-metodo laminare (Arzarello, 2004; Meignen & Bar-Yosef, 2002; Revillion, 1994; Revillion & Tuffreau, 1994; Slimak, 1999). Le lame ottenute tramite metodo laminare hanno bordi e nervature (sub)paralleli, indice di regola prossimo a 3l=L e derivano da una gestione uni-bipolare del nucleo. Non sembrano rappresentati metodi di creazione o ripristino della
Bibliografia Arzarello M. (2004): Contributo allo studio del comportamento tecno-economico delluomo di Neandertal: lindustria litica della serie musteriana del Riparo Tagliente (Stallavena di Grezzana, Verona, Italia). Tesi di Dottorato inedita, Universit degli Studi di Ferrara. Boda E. (1993): Le dbitage discode et le dbitage Levallois rcurrent centripte. Bulletin de la Socit Prhistorique Franaise, 90 (6): 392-404. Boda E. (1994): Le concept Levallois: variabilit et mthodes. Monographies du C.R.A., 9, CNRS, Paris. Boda E. (1997): Technogense de systmes de production lithique au Palolithique infrieure et moyen en Europe occidentale et au Proche-Orient. Habilitation diriger des recherches, Universit de Paris-X-Nanterre. Boda E., Geneste J.M. & Meignen L. (1990): Identification des chanes opratoires lithiques du Palolithique ancient et moyen. Palo, 2: 43-80. Bordes F. (1961): Typologie du Palolithique ancien et moyen. Imprimeries Del mas, Bordeaux.

convessit sagittale tramite distacco di lame a cresta (tipo Paleolitico superiore). Occasionale, da ultimo, lapplicazione di schemi bisonanti (dbitage su scheggia). Gli strumenti sono poco rappresentati (4% dellinsieme), con prevalenza dei raschiatoi su encoches e denticolati compositi (Bordes, 1961); la scelta dei supporti per il ritocco non sembra ispirata ad una selezione specifica su base morfologica o dimensionale. Come anticipato, lomogeneit del complesso di Grotta Reali confermata dal confronto col materiale di scavo, in corso di studio. Ipotetiche, allo stato attuale, le deduzioni sulle modalit di occupazione del sito, sebbene la ricchezza dellinsieme e la sua variet tecnologica lascino presumere che i gruppi neandertaliani che occuparono il sito svolsero al suo interno attivit differenziate. I diversi elementi dinteresse restituiti dal sito (quale la presenza, nel tecnocomplesso, di unimportante componente laminare da sfruttamento volumetrico) ne fanno comunque un punto di riferimento, oltre che per gli studi sul Paleolitico medio del Molise (regione sinora affetta da vuoti documentari in tale settore), anche per il pi generale dibattito sul comportamento tecnoeconomico dellUomo di Neandertal.
Ringraziamenti Si ringrazia, per il diverso e immancabile supporto dato alle ricerche, lUniversit degli Studi di Ferrara e, in particolare, il prof. Carlo Peretto, la Soprintendenza Archeologica del Molise, il Centro Europeo di Ricerche Preistoriche di Isernia, il Comune di Rocchetta a Volturno, lequipe coinvolta nelle prime indagini sul sito di Grotta Reali (Marta Arzarello, Marilena Cozzolino, Annarosa Di Nucci, Giuseppe Lembo, Antonella Minelli, Marco Pavia, Maria Angela Rufo, Ursula Thun Hohenstein).

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Analisi tecno-economica di una concentrazione di scarti litici (US 411) dai livelli epigravettiani di Riparo Tagliente (Stallavena di Grezzana, Verona)
Maria Giovanna Cremona & Federica Fontana
Dipartimento di Biologia ed Evoluzione, Universit degli Studi di Ferrara, c.so Ercole I dEste 32, I-44100 Ferrara crmmgv@unife.it, federica.fontana@unife.it

___________________________________________________________________________________ Abstract A small concentration of lithic waste products (Stratigraphic Unit 411) has been recently recovered in the Epigravettian deposits of Riparo Tagliente. In this paper we will not discuss the functional significance of this concentration but we will try to describe some portions of the reduction sequences which were recognised by the technological analysis and the refitting of the elements that compose the assemblage.[Techno-economical analysis of a concentration of lithic waste products (S.U.411) from the Epigravettian layers of Riparo Tagliente (Stallavena di Grezzana, Verona).] Keywords: Late Epigravettian, Lithic concentration, Waste products, Techno-economical analysis. ___________________________________________________________________________________
Introduzione Il presente studio fa parte di un progetto pi ampio che, attraverso lesame analitico delle diverse testimonianze emerse dallesplorazione sistematica, ancora in corso, dei depositi epigravettiani di Riparo Tagliente, si propone di mettere in evidenza le modalit di occupazione e di sfruttamento delle risorse naturali nel sito da parte degli ultimi gruppi paleolitici (Fontana et alii, in questo volume; in press). Riparo Tagliente rappresenta uno dei giacimenti pleistocenici pi significativi dellItalia settentrionale sia per la seriazione dei depositi, di cui costituisce la sequenza di riferimento per la fase pi antica dellEpigravettiano recente, sia per lo stato di conservazione degli stessi. Situato nellarea della Lessinia, in provincia di Verona, il riparo si apre lungo il fianco sinistro della Valpantena, a 250 metri di quota, presso la localit di Stallavena (Comune di Grezzana). La sequenza stratigrafica identificata costituita da due serie di depositi densamente antropizzati, separati da una superficie di erosione in forte pendenza verso lesterno del riparo: uno pi antico situabile tra circa 60.000 e 30.000 anni or sono (Wrm inferiore e medio), con industrie musteriane ed aurignaziane, e uno pi recente, che copre la durata di alcuni millenni, collocandosi alla fine del Paleolitico superiore (Tardiglaciale wrmiano), con industrie dellEpigravettiano recente (Bartolomei et alii, 1982). Per quanto riguarda i depositi epigravettiani, nellarea finora pi intensamente indagata (settore nord-occidentale), estesa su una superficie complessiva di circa 50 m2, sono individuabili due principali zone: la prima corrisponde alla superficie protetta dal riparo, la seconda allarea antistante la volta rocciosa. Larea protetta dal riparo caratterizzata dalla presenza di strutture di abitato mentre quella antistante la volta si distingue per la presenza di accumuli pressoch continui di resti antropici, principalmente composti da scarti litici e resti di pasto, con una distribuzione areale differenziata nelle varie zone (Fontana et alii, 2002; Liagre, 2005). In particolar modo, nellarea pi esterna si susseguono livelli a prevalente matrice limosoargillosa, con presenza di resti di pasto e scarti di lavorazione in stato caotico e di alcune concentrazioni di diversa natura fra cui lunit stratigrafica 411, oggetto del presente studio. Lunit stratigrafica 411 Lunit stratigrafica 411 localizzata tra due grandi massi di crollo, allinterno di una lieve depressione formata da pietrisco calcareo ed estesa su una superficie di circa 1 m2, con spessore massimo di 18 cm (Fig. 1). Composta principalmente da scarti litici, associati a tre ciottoli con tracce di utilizzo come percussori/abrasori, tale ammasso conteneva anche

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scarsi frammenti faunistici, alcuni elementi di microfauna e malacofauna, frustoli di carboni e frammenti di ocra; tutta larea interessata dalla presenza dellunit stratigrafica risultava fortemente concrezionata. Il principale riferimento stratigrafico in questa zona esterna costituito dal livello di pietrisco US 365, su cui US 411 poggiava, associato, in base a confronti preliminari effettuati con la successione messa in luce nellarea della trincea, ai tagli 14-15 riferibili al Dryas antico. Approccio metodologico e obiettivi dello studio Lapproccio metodologico adottato in questo lavoro consiste nello studio tecno-economico dei manufatti litici che compongono linsieme esaminato (US 411) al fine di risalire alle sequenze di gesti compiute dagli scheggiatori, dal momento dellacquisizione della materia prima fino allabbandono dei manufatti prodotti. In particolare, il presente studio, concentrandosi principalmente sulla lettura tecnologica dei manufatti e sullanalisi dei rimontaggi effettuati, ha avuto due principali obbiettivi: innanzitutto, quello di contribuire alla ricostruzione delle catene operative e, in secondo luogo, quello di associare le informazioni emerse da tale studio con i dati spaziali, al fine di indagare la composizione strutturale dellinsieme e capirne il

significato funzionale nellambito dellarea esterna del riparo. Per ragioni di spazio, in questa sede ci limiteremo ad esporre i risultati dello studio tecno-economico che ha consentito di ricostruire alcuni segmenti delle catene operative messe in atto dai gruppi epigravettiani, tralasciando gli aspetti relativi allinterpretazione funzionale dellammasso. La lettura tecnologica e i rimontaggi Linsieme litico esaminato (US 411), comprende complessivamente 1.214 elementi, suddivisi tra prodotti, sottoprodotti e residui (nuclei) (Cremona 2003-2004). Sono stati individuati 31 rimontaggi: 3 su nucleo, 12 attribuibili alla fase di messa in forma (4 dei quali associati a gestione e produzione), 14 alla fase di gestione (2 dei quali associati alla fase di produzione e 3 a quella di messa in forma) e 2 alla fase di produzione. Le materie prime utilizzate appartengono a quattro diverse formazioni geologiche, la cui presenza attestata sui Monti Lessini occidentali e individuabile entro un raggio di alcuni chilometri dal sito (Bertola comm. pers). Si tratta di selci di et giurassica riferibili al Gruppo di San Vigilio (Calcari Grigi) e di et cretacica (Formazioni del Biancone, Scaglia Variegata e Scaglia Rossa).

Fig. 1. Planimetria del tetto di US 411.

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In particolare, lUS 411 risulta composta prevalentemente da litotipi della formazione del Biancone (90,5%), con una netta prevalenza della variante di colore grigio scuro (B4 e B4-B2) seguita da quella di colore bruno chiaro (B2). Tali valori rispecchiano grosso modo quelli relativi alle materie prime disponibili localmente, con una leggera sovrarappresentazione di tipi B4 e B4-B2. Dal punto di vista delle catene operative, escludendo gli elementi non diagnostici (41,7%), linsieme appare composto prevalentemente da elementi riconducibili alle fasi di gestione (28%) e messa in forma dei nuclei (18%). I supporti di plein dbitage vi appaiono invece scarsamente rappresentati (8,3%) mentre, in proporzione, presente un discreto numero di nuclei (4%). La fase di messa in forma dei blocchi attestata dalla presenza di alcuni manufatti diagnostici e da una serie di rimontaggi. Le due operazioni essenziali, apertura del piano di percussione e della superficie di scheggiatura, si svolgono senza un ordine prestabilito. La prima avviene generalmente con il distacco di una calotta accompagnata da altre schegge finalizzate a conferire al piano un orientamento e una morfologia adeguata anche se non mancano attestazioni che evidenziano lutilizzo diretto di superfici naturali o di fratture preesistenti sul blocco selezionato. In secondo luogo, lapertura della superficie di scheggiatura mette pure in evidenza comportamenti diversi: lame di apertura su convessit e spigoli naturali, ma anche preparazione di creste frontali tramite il distacco di schegge ortogonali allasse di scheggiatura come ben evidenzia un rimontaggio composto da una serie di schegge semi-corticate (Fig. 2). In alcuni casi la scelta operata chiaramente legata alla morfologia dei blocchi. La fase di produzione , invece, scarsamente documentata, per la rarit dei prodotti (lame e lamelle) presenti nellinsieme.

Fig. 2. Rimontaggio di schegge corticali per la realizzazione di una cresta.

Lesame dei nuclei consente, tuttavia, di evidenziare che questa procede, nella maggior parte dei casi, in modo unidirezionale partendo dalla faccia pi larga del supporto utilizzato (ciottoli o arnioni di forma sub-ovale o sub-parallelepipeda) o da quella pi stretta (blocchetti o arnioni piatti), per estendersi eventualmente alle facce adiacenti con andamento semitournant. In alcuni casi si rileva anche lutilizzo di un piano accessorio, in posizione opposta a quello principale, con funzione di gestione della convessit longitudinale. I moduli dei prodotti (rilevati anche in base ai negativi dei distacchi sui nuclei), rientrano nel range degli elementi lamellari e laminari, ma non consentono di evidenziare la ricerca di standard precisi, dato il campione limitato a disposizione, attestandosi le dimensioni tra i 5 e 30 mm di larghezza e i 20 e gli 80 mm di lunghezza, senza intervalli significativi. Ben documentata invece la fase di gestione che si alterna a quella di produzione, finalizzata a rimettere in forma il nucleo, tramite interventi effettuati in posizioni prestabilite. Lanalisi dei rimontaggi e dei singoli elementi ha consentito di evidenziare lo svolgersi di operazioni diverse. Il ripristino della superficie di scheggiatura avviene con il distacco di schegge di mantenimento, frequentemente a partire dallo stesso piano, pi raramente da un piano secondario opposto: in genere questa operazione implica un arretramento del colpo sul piano di percussione e le schegge prodotte presentano spessori maggiori, soprattutto nella porzione prossimale. Il mantenimento della convessit trasversale della superficie di scheggiatura e la ripresa del ritmo di dbitage si svolgono, invece, principalmente mediante il distacco di lame laterali: queste presentano un dorso frequentemente corticato, evidenziando la generale assenza di preparazione dei fianchi del nucleo, mentre la presenza di creste parziali realizzate in corso di lavorazione (no-crte) indica lo svolgersi di ulteriori operazioni volte a ripristinare landamento delle nervature in vista del distacco di una lama dal fianco. Infine, il ripristino del piano di percussione realizzato tramite il distacco di schegge e tablettes di ravvivamento. Per quanto riguarda labbandono dei blocchi utilizzati, si nota la presenza di un numero esiguo di nuclei giunti alla fase finale di sfruttamento (per dimensioni o spessore), mentre la maggior parte degli elementi risulta rapidamente abbandonata a causa di incidenti che ne hanno alterato la volumetria generale o portato alla formazione di irregolarit sulla superficie di scheggiatura. Al rapido abbandono di questi elementi, si associa la presenza di altri supporti che non recano alcuna traccia di sfruttamento o caratterizzati esclusivamente dal distacco di uno o due negativi (pre-nuclei).

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In contrasto con questo aspetto di rapido abbandono, attestata la presenza di nuclei ricavati da frammenti o da schegge spesse, fra cui un esemplare quasi interamente rimontato (Fig. 3).

Fig. 3. Rimontaggio di un nucleo ottenuto da un frammento.

Conclusioni Lanalisi effettuata ha consentito di ricostruire alcuni segmenti delle catene operative messe in atto nellambito di un preciso momento della frequentazione del riparo, prevalentemente riferibili alle fasi di messa in forma e gestione di alcuni nuclei, e di fare alcune considerazioni sulle modalit di sfruttamento delle risorse litiche, evidenziando una serie di comportamenti tecnologici, in parte gi riscontrati nel corso di altri studi (Liagre, 2005): lintroduzione nel sito di abbondanti quantit di noduli, blocchetti e ciottoli silicei di qualit diversa che spesso non appaiono essere stati sottoposti a precisi criteri di selezione; una raccolta dei diversi litotipi che rispecchia, in buona parte, la disponibilit offerta dal territorio limitrofo; una notevole variabilit nelle operazioni di messa in forma di noduli, blocchetti e ciottoli, in parte correlabile alla forma e alle dimensioni degli stessi; la presenza di un numero abbondante di nuclei abbandonati ad uno stadio iniziale di sfruttamento o, comunque, ancora
Bibliografia Bartolomei G., Broglio A., Cattani L., Cremaschi M., Guerreschi A., Mantovani E., Peretto C. & Sala B. (1982): I depositi wrmiani del Riparo Tagliente. Annali dellUniversit di Ferrara, sez. XV, 3 (4): 51-105. Cremona M.G. (A.A. 2003-2004): Contributo allo studio delle modalit di occupazione e di sfruttamento delle risorse nel sito epigravettiano di Riparo Tagliente. Analisi tecnologica dellUS 411. Tesi di Laurea in Ecologia Preistorica. Universit di Bologna, Corso di Laurea in Conservazione dei Beni Culturali. Fontana F., Guerreschi A. & Liagre J. (2002): Riparo Tagliente. La serie epigravettiana. In: Aspes A. ( a cura di): Preistoria Veronese, contributi e aggiornamenti. Memorie del Museo Civico di Storia Naturale di Verona, 2^ serie, sez. Scienze dellUomo, 5: 42-47. Fontana F., Bertola S., Bonci F., Cilli C., Thun Hohenstein U., Liagre J., Pizziolo G. (in questo volume): Lunit stratigrafica

potenzialmente produttivi, la prevalenza di scarti tecnici e residui e la scarsa rappresentazione dei prodotti che probabilmente venivano trasferiti verso altre aree del sito o allesterno dello stesso. chiaro che tali aspetti non possono essere considerati con valore assoluto per identificare le caratteristiche relative alla modalit di sfruttamento delle risorse nel sito, ma devono essere visti nellambito dello specifico contesto spaziale dal quale provengono. Tali caratteri sembrano infatti contraddistinguere gli insiemi litici che si ritrovano nella zona esterna allaggetto del riparo, presenti sotto forma di concentrazioni di entit e composizione diversa, indicando per questa area una funzione di zona di accumulo di scarti, sia derivati da attivit di lavorazione in posto, sia qui riversati da altre aree (Liagre, 2005; Fontana et alii, in press). Mancano, invece, allo stato attuale delle ricerche, studi di dettaglio per la zona interna, dove si collocano le vere e proprie strutture dabitato, studi che sicuramente potranno ulteriormente chiarire le modalit di sfruttamento delle risorse litiche e lorganizzazione delle attivit allinterno del sito. In conclusione, la frequentazione di Riparo Tagliente da parte degli ultimi gruppi di cacciatoriraccoglitori europei, iniziata subito dopo il ritiro dei ghiacci dalle Alpi meridionali, appare strettamente legata alle favorevoli caratteristiche topografiche ed ambientali offerte dai Monti Lessini, di cui un aspetto essenziale rappresentato dallabbondante presenza di materie prime silicee, il cui intensivo sfruttamento ben documentato in tutti i livelli archeologici del sito.
Ringraziamenti Il presente lavoro costituisce una sintesi di una parte della tesi di Laurea di MG. C. svolta sotto la supervisione scientifica di F. F. Ringraziamo il prof. Antonio Guerreschi per aver messo a disposizione il materiale di studio oggetto di questa indagine e per i preziosi suggerimenti. Un particolare ringraziamento alla dott.ssa Maria Chiara Turrini per la realizzazione delle mappe digitali.

11 nei depositi epigravettiani di Riparo Tagliente (Stallavena di Grezzana, VR). Analisi integrata di attributi tecnologici, funzionali, paleoeconomici e spaziali, 95-98. Fontana F., Guerreschi A., Bertola S., Bonci F., Cilli C., Liagre J., Longo L., Pizziolo G. & Thun Hohenstein U., (in press): The first occupation of the Southern Alps in the Late Glacial at the site of Riparo Tagliente (Verona, Italy). Detecting the organisation of living-floors through a G.I.S. integrated analysis of technological, functional, palaeoeconomic and spatial attributes. Proceedings of the XV U.I.S.P.P. Congress, Lisbon, 2006, BAR Int. Series. Liagre J. (2005): Gestion de lactivit de taille et de lespace domestique au Tardiglaciaire en Italie nord orientale. Analyse des Officine Litiche de labri Tagliente (Vneti). Universit Aix-Marseille I, Universit de Provence, Ecole doctorale N 355 Espace, Culture et Socits, Formation doctorale : Prhistoire. 380 p.

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Annali dellUniversit degli Studi di Ferrara Museologia Scientifica e Naturalistica

ISSN 1824-2707 volume speciale (2007)

Studio tipologico dellindustria sauveterriana di Galgenbhel/Dos de la Forca (Bolzano)


Ursula Wierer
Dipartimento di Scienze Ambientali G. Sarfatti, Sezione Ecologia Preistorica, Universit degli Studi di Siena, via della Cerchia 5, I-53100 Siena - mimmurs@hotmail.com

___________________________________________________________________________________ Abstract Flint industry of the mesolithic site Galgenbhel/Dos de la Forca in the valley bottom of the Adige River (Bolzano, Italy) shows an unusual typological structure of the retouched artefacts, which are dominated by common tools. On the base of the characteristics of microlithic armatures, compared to the ones recovered at the contemporaneous rockshelters of Romagnano Loc-III and Gaban (Trento), it is possible to ascribe the industry to the middle Sauveterrian, in accordance with the 14C dates. [Typological analysis of the Sauveterrian industry of Galgenbhel/Dos de la Forca (Bolzano).] Keywords: Early Mesolithic, Middle Sauveterrian, Microlithic armatures. ___________________________________________________________________________________
Introduzione Il sito mesolitico Galgenbhel/Dos de la Forca ubicato nei pressi di Salorno in Provincia di Bolzano, un piccolo riparo sottoroccia nel fondovalle dellAdige a 225 m s.l.m. Gli scavi archeologici, effettuati tra il 1999 e il 2002 dallUfficio Beni Archeologici di Bolzano, hanno messo in luce una serie stratigrafica datata tra la met del IX e la met del VIII millennio B.C. cal. (Fig. 1, n. 1). Le caratteristiche dellindustria litica inseriscono lintera serie nel Sauveterriano che caratterizza il Mesolitico antico sul versante meridionale delle Alpi. Il sito stato ripetutamente meta di gruppi umani che sfruttavano soprattutto le risorse legate allambiente umido (Bazzanella et alii, 2004; c. s.; Wierer & Boscato, 2006). Questo lavoro, svolto nellambito di un dottorato di ricerca (Wierer, 2004), presenta i risultati dellanalisi tipologica con lo scopo principale di un inquadramento pi dettagliato nellambito del Sauveterriano. Analisi tecnologiche e funzionali sono in corso; dati preliminari sulle materie prime sono pubblicati (Bertola et alii, 2006). Lanalisi tipologica Lo studio prende in considerazione i manufatti ritoccati delle campagne di scavo 1999-2001, tenendo conto dellaccorpamento delle unit stratigrafiche in 5 fasi di frequentazione. Negli insiemi litici del Galgenbhel si osserva innanzitutto una predominanza, talvolta massiccia, degli strumenti sulle armature, con indici tra 56% e 83% (Tab. 1). A livello di gruppi tipologici emerge la somiglianza dei complessi litici delle fasi 2 e 3 e delle fasi 4 e 5. Per questo motivo i rispettivi dati vengono accorpati nella valutazione statistica (Tabb. 2-3). Gli strumenti comuni (Fig. 1) sono frequentemente ricavati su prodotti di decorticamento e della gestione dei nuclei. Sono generalmente di taglia ridotta (circa il 90% ricade entro i 40 mm), anche se mostrano un leggero aumento dimensionale a partire dalla fase 1. La laminarit oscilla tra 18% e 31%. La struttura tipologica degli strumenti dominata in tutte le fasi dalle schegge ritoccate, seguite dalle lame ritoccate e dalle troncature (Tab. 2). La frequenza dei grattatoi, in graduale aumento, diventa tuttavia significativa soltanto nelle fasi pi recenti 4+5.
Ritoccati (nr.) strumenti armature Totale Ritoccati (%) strumenti armature Fase 1 260 200 460 Fase 1 56,5 43,5 Fase 2 157 35 192 Fase 2 81,8 18,2 Fase 3 106 21 127 Fase 3 83,5 16,5 Fase 4 92 63 155 Fase 4 59,4 40,6 Fase 5 25 17 42 Fase 5 59,5 40,5 Totale 640 336 976 Totale 65,6 34,4

Tab. 1. Numero e indici di frequenza degli strumenti e delle armature (secondo Broglio & Kozlowski, 1983)

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Gruppi tipologici (Broglio & Kozlowski, 1983) A-Grattatoi B-Schegge ritoccateI C-Bulini D-TroncatureII E-Lame ritoccateIII F-Becchi e perforatori G-Coltelli a dorso H-Punte I-Pezzi scagliati K-Compositi L-Diversi M-Frammenti Totale A-M Totale A-L

Fase 1 nr. 8 109 4 40 41 4

Fase 2 nr. 10 64 6 13 28

Fase 3 nr. 11 39 3 11 16 1 1

Fase 4 nr 13 29 3 15 10 2

Fase 5 nr. 4 9

Totale nr. 46 250 16

Fase 1 % A-L 3,8 51,7 1,9 19,0 19,4 1,9 0,9 0,9 0,5

Fasi 2+3 % A-L 9,8 47,9 4,2 11,2 20,5 0,5 0,5 1,4 3,3 0,9 -

Fasi 4+5 % A-L 17,2 38,4 3,0 18,2 13,1 2,0 1,0 5,1 2,0 -

3 3

82 98 7 1

2 2

2 5

1 2 2 3 1

1 2 1

6 14 4 1

1 49 260 211 29 157 128 19 106 87 16 92 76 2 25 23

115 640 5 Tot. 211 Tot. 215 Tot. 99

Tab. 2. Numero e indici di frequenza degli strumenti per gruppi tipologici (IInclusi gli incavi su scheggia non frammentari; II Incluse le troncature su scheggia; IIIIncluse lame a dorso > 30 mm.)

I grattatoi sono caratterizzati da una forte incidenza dei tipi frontali e dei tipi corti (2>ia>1). Nelle singole fasi al massimo 1/5 dei grattatoi sono su lama. Gli esemplari su scheggia tettiformi, ogivali, a spalla e a muso (classe XVI), tipici dei complessi sauveterriani, sono presenti in basso numero (fase 1: 5; f. 3: 3; f. 4: 2 e f. 5: 3). Le schegge ritoccate includono per lo pi strumenti poco sistematizzati nel supporto e nel ritocco. Questo sembra talvolta dovuto alluso del margine attivo piuttosto che a una modificazione intenzionale del bordo. Il gruppo comprende anche numerosi incavi su scheggia (Fig. 1, nn. 4, 28, 30). Si segnala infine lassenza degli skrobacz. Le troncature, spesso parziali, sono per lo pi corte, in molti casi ricavate su scheggia. Soprattutto nella fase 1 si sottolinea la presenza di parecchie troncature ipermicrolitiche (< 16 mm) (Fig. 1, nn. 26-27). Tra le lame ritoccate si annoverano in tutte le fasi diversi esemplari ad incavi, incluso il tipo bilaterale nelle fasi 1 e 2. Infine si segnala un coltello a dorso curvo di tipo Rouffignac (Fig. 1, n. 14).
Gruppi tipologici (Broglio & Kozlowski, 1983) N-Punte su lama/sch.lamin.I O-Punte a dorso P-Segmenti Q-Dorsi e troncature Q/R-Frr.dorsi tronc./triangoli R-Triangoli S-Punte a due dorsi U-Punte e lame a dorso margII V-Diversi a dorsoIII W-Frr. di dorso Totale N-W Totale N-V Fase 1 nr. 9 8 16 21 10 44 16 4 10 62 200 138 3 1 1 1 6 5 1 2 15 35 20 4 1 1 7 21 14 2 3 Fase 2 nr. Fase 3 nr. 1 2

Nellambito delle armature microlitiche, i cui esemplari interi misurano al massimo 30 mm si verifica una diminuzione di taglia nelle fasi 4+5 (Fig. 2). Lo spessore delle armature fortemente standardizzato, visto che per il 97% non supera i 3 mm. Su 79 armature lestremit formata da un piquant tridre che attesta luso della tecnica del microbulino per laccorciamento del supporto dorigine. Lusuale applicazione di tale tecnica del resto provata dallalto numero di microbulini rinvenuti nel sito (618, tra cui 438 dalla fase 1). Poche armature sono a dorso trasversale rispetto allorientamento del supporto; soltanto qualche sporadico dorso mostra ritocco bipolare. Quanto alla struttura tipologica delle armature il sito penalizzato dal basso numero di esemplari, motivo per cui le percentuali delle fasi 2+3 e 4+5 sono da considerare con cautela. I gruppi pi frequenti sono i triangoli, le punte a due dorsi (fasi 1 e 2+3) e i dorsi troncati (fasi 1 e 4+5) (Tab. 3).Tra i triangoli si manifestano dei sensibili cambiamenti tipologici nellambito della serie (Tab. 4).
Fase 4 nr 2 5 5 8 1 13 1 2 2 24 63 39 6 17 11 4 2 3 1 1 Fase 5 nr. Totale nr. 12 19 22 36 17 66 27 8 15 114 336 222 Tot. 138 Tot. 34 Tot. 50 Fase 1 % N-V 6,5 5,8 11,6 15,2 7,2 31,9 11,6 2,9 7,2 Fasi 2+3 % N-V (2,9) (14,7) (2,9) (8,8) (11,8) (17,6) (26,5) (5,9) (8,8) Fasi 4+5 % N-V (4,0) (12,0) (10,0) (24,0) (6,0) (32,0) (4,0) (4,0) (4,0)

Tab. 3. Numero e indici di frequenza delle armature microlitiche. Tra parentesi: percentuali calcolate su basso numero di strumenti (ILarghezza minima: 6 mm; IIIncluse le lame a dorso marginale < 30 mm; IIIIncluse le lame a dorso < 30 mm).

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Triangoli nr. Fase 1 isosceli corti isosceli lunghi scaleni corti scaleni lunghi a base lunga scaleni lunghi a base corta indeterminabili lunghi indeterminabili Totale
Fig. 1. 1 - Schema stratigrafico con date 14C AMS cal. 2 (ETH, Zurigo) e fasi di frequentazione; 2-30 - Strumenti comuni: 2, 25: Bulini; 3, 6, 16, 20-21: Lame ritoccate; 4-5, 13, 22-24, 28, 30: Schegge ritoccate; 7, 11, 19: Grattatoi; 8, 17-18, 29: Frammenti ritoccati; 9, 12, 26-27: Troncature; 10, 15: Pezzi scagliati; 14: Coltello a dorso (1-10: Fasi 4+5, 11-18: Fasi 2+3, 19-30: Fase 1) (disegni L. Baglioni).

Fase 2 5 (1)

Fase 4 Fase 5 Totale 1 4 (1) 2 22 (3) 5 (1) 2 (1) 12 (1) 1 9 (1) 15 (2)

1 17 (2) 1 8 1 15 (2) 1 45 (4)

1 7 (1)

6 (1)

13 (2)

1 3 (1) 66 (8)

Tab. 4. I triangoli suddivisi per classi (tra parentesi gli esemplari con terzo lato interamente ritoccato).

Nelle fasi 1 e 2 sono quasi esclusive le forme lunghe, classificabili come isosceli (def. G.E.E.M. 1969, p. 357) e come scaleni a base lunga. Assenti nella fase 3, i triangoli segnano un netto cambiamento con la fase 4, dove aumentano le forme corte e predominano gli scaleni lunghi a base corta. Lincidenza dei triangoli con terzo lato totalmente ritoccato sempre bassa; tra questi si segnala un unico triangolo del tipo Montclus nella fase 4 (Fig. 2, n. 8). Le punte a due dorsi sono generalmente allungate, soltanto la fase 1 comprende qualche punta corta (I.a.<3). Nelle fasi 1-3 sono frequenti gli esemplari

con indice di allungamento superiore a 4 che per la loro morfologia fusiforme rispondono alla definizione delle punte di Sauveterre (G.E.E.M., 1972). Tra gli sporadici segmenti il tipo corto presente soltanto nella fase 1 e le forme sinusoidali nelle fasi 1 e 4. I dorsi e troncatura, significativi nelle fasi 4+5, mostrano per la maggior parte una troncatura obliqua o un piquant tridre. In questultimo caso potrebbe trattarsi di armature in corso di lavorazione (Fig. 2, nn. 23-24). Confronti e considerazioni Le caratteristiche tipologiche dellindustria sono state confrontate con i complessi litici di Romagnano Loc-III (strati AF-AE: Sauveterriano antico; AC9-3: Sauv. medio; AC2-1: Sauv. Recente) (Broglio & Kozlowski, 1983) e di Riparo Gaban entrambi ubicati 20-30 km pi a valle, nei pressi di Trento (strati 30 FC: Sauv. medio e 29 FB: Sauv. Recente) (Kozlowski & Dalmeri, 2000). La debole incidenza delle armature microlitiche al Galgenbhel costituisce un fenomeno insolito nellambito delle industrie sauveterriane del fondovalle atesino dove queste non scendono quasi mai sotto il 60%. Le fasi 1 e 4+5 con il 40% circa trovano confronto unicamente con lo strato AC5 di Romagnano, indicato come anomalo allinterno di un processo evolutivo uniforme (Broglio & Kozlowski 1983, p.146) Per il valore delle fasi 2+3 non esiste finora termine di paragone. Anche la struttura tipologica degli strumenti inconsueta rispetto ai coevi siti trentini dove abbondano solitamente i grattatoi (in media 40% a Romagnano e a Gaban). Soltanto nello strato AC4 di Romagnano le schegge ritoccate predominano sugli altri gruppi. A Galgenbhel si osservano inoltre le seguenti differenze: - scarsi grattatoi su lama (a Romagnano e Gaban il rapporto grattatoi su lama/scheggia di circa 1:1), - schegge con incavo/i abbondanti (sconosciute a Romagnano e Gaban),

Fig. 2. Armature microlitiche: 1, 19: Punte su lama/sch.laminare; 2, 20-22: Segmenti; 3-4, 13, 23-24: Dorsi e troncatura; 5-9, 1415, 25-26, 28-31: Triangoli; 10-11, 16-17, 32-33: Punte a due dorsi; 12, 18: Punte a dorso; 27: Diverso rimontato con residuo di lavorazione (1-11: Fasi 4+5, 12-17: Fasi 2+3, 18-33: Fase 1) (disegni L. Baglioni).

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- maggioranza di troncature corte (scarse a Romagnano e presenti con un solo esemplare a Gaban), - lame ritoccate ad incavi o a ritocco denticolato ben rappresentate (solo due nella sequenza di Romagnano, pi frequenti a Gaban). Tra gli strumenti del Galgenbhel lunico carattere in sintonia con il Sauveterriano medio la generale presenza delle schegge denticolate: nella serie di Romagnano sono esclusive proprio della fase media. Nella struttura delle armature le principali differenze del Galgenbhel si esprimono in un tasso generalmente pi alto dei dorsi troncati e in unincidenza inferiore dei segmenti (massimo 11% rispetto al 8-27% di Romagnano e Gaban). Un fenomeno osservato a Romagnano nel corso del Sauveterriano medio la sostituzione dei triangoli isosceli lunghi e scaleni lunghi a base lunga con gli scaleni lunghi a base corta. A Salorno, in assenza del fondo di base stabile individuato tra i triangoli di Romagnano (gli scaleni lunghi a base lunga e gli scaleni corti), il cambiamento tipologico allinterno del gruppo sembra pressoch totale. Per via del picco degli isosceli lunghi nelle fasi 1 e 2, la base della nostra serie pu essere avvicinata allo strato AC7 di Romagnano, mentre la fase 4 prossima ai livelli AC5-AC3 per laumento degli scaleni lunghi a base corta. La somiglianza con i livelli del Sauveterriano medio viene sostenuta anche dalla scarsit dei triangoli a tre lati interamente ritoccati (caratteristici del Sauveterriano antico e recente). I triangoli del Riparo Gaban, costituiti per il 90-98% di scaleni, molti dei quali lunghi a base corta, hanno caratteristiche recenziori rispetto al Galgenbhel, come confermato
Bibliografia Bazzanella M., Betti L. & Wierer U. (2004): Galgenbhel/Dos de la Forca. Un nouveau site sauveterrien dans la Vallee de lAdige (Bozen/Bolzano, Italie). Acts of the XIV UISPP Congress, Lige (BE), 2001, Section 7 - The Mesolithic, BAR International Series 1302, Oxford, 215-225. Bazzanella M., Betti L. & Wierer U. (c. s.): Mesolithic wetland exploitation at Galgenbhel / Dos de la Forca, Italy, Eastern Alps. The fish fauna. Proceedings of the 13th Fish Remains Working Group Meeting, ICAZ, Basilea (CH), 2005, Verlag Marie Leidorf, Rahden. Bertola S., Bazzanella M. & Wierer U. (2006): Le risorse litiche utilizzate presso il sito di Galgenbhel/Dos de la Forca (Salorno-BZ, Val dAdige): modalit di approvvigionamento e direttrici di spostamento. Atti della XXXIX Riunione Scientifica dellIIPP, Firenze, 2004, 367-371. Broglio A. (1992): Mountain sites in the context of the North-East Italian Upper Palaeolithic and Mesolithic. Preistoria Alpina, 28: 293-310. Broglio A. & Kozlowski S.K. (1983): Tipologia ed evoluzione delle industrie mesolitiche di Romagnano III. Preistoria

anche dalla relativa frequenza degli esemplari a tre lati ritoccati. Le punte a due dorsi con la prevalenza delle forme lunghe rispetto a quelle corte, si inseriscono bene nel Sauveterriano medio (cfr. AC9-AC3 di Romagnano). In base alle caratteristiche tipologiche, in particolare grazie alle armature microlitiche, i complessi del Galgenbhel possono essere inquadrati nella fase media del Sauveterriano, attribuzione in sintonia con i risultati delle datazioni radiometriche (Fig. 1, n. 1). Secondo queste ultime, la sequenza di Salorno coprirebbe quasi tutto il lasso cronologico di tale fase (cfr. Broglio, 1992). Diversamente da Romagnano, dove i sensibili cambiamenti tipologici delle armature durante il Sauveterriano medio vengono percepite come tendenza evolutiva, al Galgenbhel essi marcano un cambiamento netto tra le fasi 1 e 4. Il motivo da cercare sia nella mancanza del citato fondo comune dei triangoli che nella quasi completa assenza del gruppo dalle fasi 2+3. La particolarit strutturale degli insiemi litici del Galgenbhel potrebbe essere legata alla diversa vocazione economica del sito, con faune che indicano una chiara preferenza per lattivit della pesca. Nonostante le differenze lindustria litica permette di correlare il sito con i coevi giacimenti della conca di Trento, lasciando pochi dubbi sullappartenenza dei gruppi umani alla stessa cerchia culturale.
Ringraziamenti Ringrazio lUfficio Beni Archeologici della Provincia di Bolzano per laffidamento del materiale in studio, Annamaria Ronchitelli per la sua costante disponibilit al confronto, Giampaolo Dalmeri per i chiarimenti riguardo la tipologia utilizzata e Lapo Baglioni per aver curato i disegni dellindustria litica.

Alpina, 19: 93-148. G.E.E.M. (1969): Epipalolithique-Msolithique Les microlithes gomtriques. Bulletin de la Socit prhistorique franaise, 66, Etudes et Travaux, 355-366. G.E.E.M. (1972): Epipalolithique - Msolithique. Les armatures non gometriques 1. Bulletin de la Socit Prhistorique Franaise, 69, Etudes et Travaux, 364-375. Kozlowski S.K. & Dalmeri G. con la collab. di Bassetti M., Bruhn F., Cusinato A. & Griggo C. (2002): Riparo Gaban: the mesolithic layers. Preistoria Alpina, 36: 3-42. Wierer U. (2004): Il sito di Galgenbhel/Dos de la Forca a Salurn/Salorno (BZ). Aspetti culturali e ambientali del Mesolitico antico nellarea alpina. Tesi di Dottorato in Preistoria-Ambiente e Culture. Universit di Siena, XVI ciclo. Wierer U. & Boscato P. (2006): Lo sfruttamento delle risorse animali nel sito mesolitico di Galgenbhel/Dos de la Forca (Salorno BZ): la macrofauna. In: Tecchiati U., Sala B. (a cura di), Studi di archeozoologia in onore di Alfredo Riedel, Ripartizione Beni Culturali, Bolzano, 2006, 85-98.

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I percussori del Riparo "Ermanno de Pompeis" presso l'Eremo di San Bartolomeo di Legio (Pescara).
Barbara Zamagni
Dipartimento di Scienze Archeologiche, Universit degli Studi di Pisa, via Santa Maria 53, I-56126 Pisa b.zamagni@arch.unipi.it

___________________________________________________________________________________ Abstract The study examines the hammerstones coming from excavations at the "Ermanno de Pompeis" Shelter, which is interpreted as a flint workshop referred to the Italian Epigravettian; the frequentation of the site is datable to the end of Late Glacial. Two types of hammerstones have been observed: the larger ones, strictly linked to the extraction of flint pebbles, and the smaller ones referred to the flaking of the raw material. These hammerstones are always calcarenite pebbles, selected within the sediment of the stream flowing below the shelter, or within the bedrock conglomerate. The hammerstones used for flint flaking and retouching are 136, 50 of which are fragments, generally with lamellar shapes. Preferential use areas are the ends and the edges, while the traces on the sides are very rare; the use-wears show generally intense and repeated percussion, often with flake detachments due to impacts. [The hammerstones from the "Ermanno de Pompeis" Shelter near the San Bartolomeo of Legio hermitage (Pescara).] Keywords: Italian Epigravettian, Flint workshop, Hammerstones. ___________________________________________________________________________________ Introduzione Il presente lavoro esamina i reperti legati all'estrazione e alla lavorazione della selce: i percussori in calcare provenienti dagli scavi del Riparo "Ermanno de Pompeis" presso l'Eremo di San Bartolomeo di Legio, sul versante settentrionale del Gruppo della Majella in provincia di Pescara, diretti da Giovanni Boschian del Dipartimento di Scienze Archeologiche dell'Universit di Pisa, iniziati nel 1990 e proseguiti con cadenza annuale fino al 1999 (Boschian, 2003). Lo scavo La successione indagata, dello spessore di circa 2 m, ha posto in luce livelli di frequentazione databili alla fine del Tardiglaciale pertinenti ad una officina litica riferibile all'Epigravettiano italiano. Il riparo, un'ampia nicchia lunga circa 40 m e larga 6-7 m, posto a pochi metri dal fondo del Vallone di San Bartolomeo: qui le pareti verticali pongono in luce rocce calcaree con intercalati noduli selciferi, spesso ben estraibili per la forte fratturazione della roccia. Lo studio dei reperti rinvenuti (tutti estremamente freschi e praticamente non rimaneggiati), della loro distribuzione nello spazio e degli aspetti geoarcheologici delle unit litologiche, ha permesso di ricostruire le catene operative dell'estrazione dei noduli e della lavorazione della materia prima. I percussori Per quanto riguarda la distribuzione spaziale dei reperti esaminati, la maggiore concentrazione di percussori localizzata per lo pi nell'Unit 4, l'officina litica vera e propria. Si distinguono due tipi di percussori: quelli pi strettamente legati all'estrazione della selce e quelli correlabili alla sua lavorazione (sbozzatura degli arnioni e ritocco di lame e schegge), ma entrambi provenienti dal sottostante conglomerato o dal letto del vicino torrente. I litotipi sono sempre calcareniti (packstone e wackestone: Dunham, 1962); l'aspetto fisico, come quello di tutti gli altri reperti del riparo, fresco,

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anche se non mancano esemplari che presentano superfici interessate da dissoluzione puntiforme del calcare. Per quanto riguarda la prima categoria, all'interno dello strato archeologico corrispondente al momento di massima frequentazione, sono stati rinvenuti, addossati alla parete di fondo, alcuni grossi ciottoli, ben arrotondati; hanno dimensioni intorno ai 20-25 cm e un peso che va dai 2 kg fino a oltre i 5. La loro superficie presenta evidenti tracce di impatto: si ipotizza quindi che venissero utilizzati per disaggregare la roccia della parete; altri oggetti da cava rinvenuti sono un piccone ed un altro strumento, un probabile cuneo, secondo la tipologia proposta da Galiberti (2001, pp. 40-41; 2005), entrambi in selce. Il primo ha forma non perfettamente fusiforme e sezione triangolare; si presenta interamente scheggiato con una sola estremit appuntita opposta ad una superficie non funzionale (Fig. 1). La tessitura della roccia silicea media, il colore beige con inclusi biancastri; le misure sono 19.5x7.5x6.2 cm per un peso di 803 g.

Fig. 2. Cuneo in selce.

Il secondo costruito in selce grigia, a tessitura grossolana, mediante scheggiatura scagliosa bifacciale presentante un restringimento mediano ed un tranciante ad un'estremit opposta ad una superficie non funzionale. L'usura, costituita da minute scheggioline, che si rileva su un margine dello strumento nella zona di maggiore restringimento, potrebbe essere dovuta ad una possibile immanicatura; conserva inoltre buona parte del cortice (Fig. 2); dimensioni 12x8.4x4.5 cm, peso 341 g. I percussori utilizzati nella scheggiatura e ritocco della selce sono 136, 86 integri e 50 frammentari. Le dimensioni sono prevalentemente comprese tra i 3 e gli 8 cm. Le loro forme sono lamellari, pi raramente discoidali: si nota quindi una certa tendenza nella scelta e quindi nellutilizzo dei ciottoli (Ricci Lucchi 1980, pp. 150, 156). Le zone d'uso preferenziali sono le estremit e i margini, pi rare le tracce sulle facce; le usure indicano percussione in genere intensa e ripetuta, spesso con stacchi dovuti agli impatti (Fig. 3).

Fig. 1. Piccone in selce con una estremit appuntita.

Fig. 3. Percussore discoidale con margine spianato dovuto a una intensa attivit di percussione.

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Questi strumenti sono perfettamente correlabili con la tecnica di scheggiatura, attestata dai rimontaggi effettuati, che prevedeva l'uso di percussori relativamente poco duri, costituiti appunto dai ciottoli calcarenitici; i bulbi di distacco delle lame e delle schegge prodotte nell'officina sono perci poco rilevati, mentre i talloni sono lisci, talora naturali. Lo stesso alto numero dei prodotti di scheggiatura rinvenuti finora nel riparo (75.000) ben si correla con l'elevato numero dei percussori e con le loro tracce di uso intenso. Sempre attinenti alla tecnica di scheggiatura sono alcune lunghe strie longitudinali che si riscontrano sui margini di 5 reperti e riferibili ad una azione di raschiatura del margine del piano di percussione del nucleo, atta a smussare eventuali scalini o crestine (Fig. 4) (Negrino 2002, p. 243).

Fig. 5. Frammento di martelletto (a) dove si notano le tracce puntiformi (b) leggermente allungate dovute all'uso come percussore indiretto associato a uno strumento in selce.

Due frammenti presentano infine tracce di utilizzo puntiforme o leggermente lineare, localizzate alle estremit delle facce piane, dovute al contatto ripetuto con materia litica (Fig. 5). Una probabile funzione riscontrata sperimentalmente da de Beaune (1997) quella di "martelletti" (maillet) nella percussione indiretta per la lavorazione di materiali organici (legno e materie dure animali), come per esempio la perforazione di conchiglie; Cyclope neritea e Natica sp. forate sono del resto presenti tra i materiali dell'officina (Zamagni, 2006). Questo secondo tipo di percussore trova confronti con numerosi siti del Gravettiano e dell'Epigravettiano, con diffusione in tutta la penisola italiana (Aranguren & Revedin, 1997; De Stefani & Peresani, 2005). Riguardo ai due strumenti in selce (piccone e cuneo) non sono stati rinvenuti confronti in giacimenti coevi, mentre trovano ampia diffusione in siti neolitici ed eneolitici italiani ed europei (Weisgerber, 1999).
Fig. 4. Percussore allungato con butterature (a) e striature (b). Particolari delle striature (c, d).
Ringraziamenti Si ringraziano per la cortese disponibilit il signor G. Almerigogna per i disegni e G. Boschian per la realizzazione delle foto e la composizione delle figure.

Bibliografia Aranguren B. & Revedin A. (1997): Il ciottolo inciso ed utilizzato dall'insediamento gravettiano di Bilancino e i "ciottoli a cuppelle" in Italia. Rivista di Scienze Preistoriche, XLVIII: 187-222. Beaune de S.A. (1997): Les galets utiliss au Palolithique suprieur. XXXIIe supplment Gallia Prhistoire, CNRS Editions, Paris. Boschian G. (2003): Il Riparo "Ermanno de Pompeis" presso l'Eremo di San Bartolomeo di Legio. Scavi 1990-1999. Atti della XXXVI Riunione Scientifica IIPP, Chieti-Celano 2001, Edifi, Firenze, 105-116. De Stefani M. & Peresani M. (2005): Ciottoli con tracce d'utilizzo dai depositi epigravettiani di Cava Romita. Atti

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della XXXVIII Riunione Scientifica I.I.P.P., PortonovoAbbadia di Fiastra, 2003, Firenze, 799-803. Dunham R.J. (1962): Classification of Carbonate Rocks According to Depositional Texture. In: Ham W.E. (Ed.), Classification of Carbonate Rocks, A.A.P.G. Memoir, 1: 108-121. Galiberti A. (2001): Proposta di una scheda tipo per la classificazione e lo studio degli utensili litici da miniera (picconi e mazzuoli). Rassegna di Archeologia, 18A: 3955. Galiberti A. (2005): Utensili per l'attivit estrattiva e per lavori di supporto ad essa relativi. In: Galiberti A. (a cura di), Defensola. Una miniera di selce di 7000 anni fa, Protagon Editori Toscani, Siena, 125-140.

Negrino F. (2002): I percussori. In: Campana N., Maggi R. (a cura di), Archeologia in Valle Lagorara. Diecimila anni di storia intorno a una cava di diaspro, Origines, Firenze, 234248. Ricci Lucchi F. (1980): Sedimentologia. Parte I. Materiali e tessiture dei sedimenti. CLUEB, Bologna. Weisgerber G. (a cura di) (1999): 5000 Jahre Feuersteinbergbau. Die Suche nach dem Stahl der Steinzeit, Bochum. Zamagni B. (2006): Manufatti in materia dura animale dal Riparo "Ermanno de Pompeis" presso l'Eremo di San Bartolomeo di Legio (Pescara). Atti della XXXIX Riunione Scientifica I.I.P.P., Firenze, 2004, 947-950.

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La fauna pleistocenica di Isernia La Pineta (Molise): analisi archeozoologica delle US 3S1-5


Annarosa Di Nucci & Ursula Thun Hohenstein
Dipartimento di Biologia ed Evoluzione, Universit degli Studi di Ferrara, c.so Ercole I dEste 32, I-44100 Ferrara annarosadinucci@hotmail.com, ursula.thun@unife.it

___________________________________________________________________________________ Abstract An archaeozoological and taphonomical analysis has been carried out on the macromammals remains coming from the sandy levels US 3S1-5 of the archaeological deposits of Isernia La Pineta (Molise, Italy). The study revealed that this assemblage has been modified by a relevant anthropic activity related to butchery actions as cutmarks and intentional bone breakage. Thus, it is possibile to confirm that human groups that lived in Isernia La Pineta during the Middle Pleistocene, by their intensive activities of exploitation and processing animal carcasses, were the main factors of modification of the faunal assemblage. [The Pleistocene fauna of Isernia La Pineta (Molise): archaeozoological analysis of the US 3S1-5.] Keywords: Middle Pleistocene, Archaeozoology, Subsistence strategies. ___________________________________________________________________________________ Introduzione Il sito di Isernia La Pineta si impone, grazie alla gran quantit di materiale archeologico rinvenuto, tra i pi importanti giacimenti preistorici fondamentali per lo studio dellantico popolamento nel bacino mediterraneo. Gli scavi del giacimento, condotti dallUniversit degli Studi di Ferrara in collaborazione con la Soprintendenza per i Beni archeologici del Molise, hanno messo in luce una sorprendente quantit di resti faunistici e di manufatti litici, testimonianze di unintensa frequentazione antropica avvenuta durante le fasi iniziali del Pleistocene medio. Nella importante sequenza stratigrafica si distinguono tre fasi insediative: la prima (archeosuperficie 3c) che poggia su uno strato di travertini che costituiscono la base della serie stratigrafica del giacimento. La seconda (archeosuperficie 3a) che giace sopra un notevole spessore di limo lacustre di origine alluvionale, cui seguono livelli costituiti da sedimenti lacustri (ghiaie e sabbie), in cui si trova la terza superficie dabitato, denominata archeosuperficie 3S10 e linsieme faunistico oggetto di questo studio (US3S1-5). Al tetto della serie stratigrafica, si rinvengono livelli di ceneri vulcaniche (Delitala et alii, 1983; Coltorti et alii, 1982; 2005; Peretto, 1999; 2006). Lassociazione faunistica, riconosciuta nelle archeosuperfici, riferibile alle fasi iniziali del Pleistocene medio. I numerosi taxa presenti consentono di delineare, assieme ai dati palinologici, unampia biodiversit che il risultato di ambienti naturali diversificati, da quelli a prateria aperta che favoriscono il pascolo ai grandi erbivori, alle aree pi boschive, probabilmente pi frequenti sui rilievi circostanti il sito, popolate dai Cervidi, fino alle zone umide con ippopotami, tartarughe e uccelli acquatici (Sala, 2006). Associati ai reperti ossei si ritrova unabbondante industria litica costituita da strumenti su scheggia in selce, soprattutto denticolati e da strumenti su ciottolo, come choppers e chopping tools in calcare (Peretto, 1994; Minelli & Peretto, 1999-2000; Rufo et alii, 2006). Il presente lavoro ha lo scopo di presentare i risultati conseguiti dallo studio archeozoologico effettuato sugli insiemi faunistici raccolti nel livello 3S1-5 del I settore di scavo durante le campagne di scavo 2000-2004 al fine di comprendere lentit dellintervento antropico nel loro accumulo. Particolare attenzione, stata rivolta allanalisi delle alterazioni delle superfici ossee per ottenere dati

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tafonomici utili allinterpretazione dellaccumulo, con particolare riguardo al riconoscimento di qualsiasi evidenza o traccia che potesse essere ricondotta ad attivit antropiche (Di Nucci, 20022003). La composizione dellinsieme faunistico Il numero totale dei reperti rinvenuti nellarea esplorata e appartenenti al livello 3S1-5, ammontano a 1024 (NRT), dei quali 464 indeterminati (ND) e 560 determinati (NRD); tra i resti ossei determinati, 374 sono stati definiti solo a livello anatomico (NRDa), mentre 186 sono i resti per cui si riusciti a giungere anche ad una determinazione specifica (NRDt) (Tab. 1). La bassa percentuale dei reperti determinati totalmente (18,16%) rispetto a quelli non determinati (45,31%) e determinati a livello anatomico (36,52%) imputabile soprattutto alla presenza di numerosi frammenti ossei diafisari, cranici e vertebrali (Tab. 2), la cui determinazione a livello specifico resa difficoltosa dallelevata frammentazione dei reperti per fattori antropici e post-deposizionali. Sulla base del numero dei resti (Fig. 1, Tab. 2), le specie pi rappresentate sono il bisonte (Bison schoetensacki), seguita dal rinoceronte (Stephanorhinus hundsheimensis), lorso (Ursus deningeri) e lelefante (Elephas (Palaeoloxodon) antiquus). Con un numero molto esiguo di reperti sono presenti anche il daino (Dama dama cf. clactoniana), il megacero (Megaceroides solilhacus), il cervo (Cervus elaphus cf. acoronatus) e la iena (Hyaena cf. Hyaena brunnea), segnalata per la prima volta proprio in questo campione di studio (Sala, 2006). Il bisonte risulta essere la specie pi rappresentata del complesso faunistico, con 64 reperti che costituiscono il 34,59% dei NRDt; di questa specie sono presenti numerosi resti dentari, tra cui 3 M3 destri e 3 M3 sinistri, che permettono il

NRT US 3S1-5 % 1024 100,00

ND 464 45,31

NRD 560 54,69

NRDa 374 36,52

NRDt 186 18,16

Tab. 1. Isernia La Pineta. US 3S1-5. Rappresentazione del campione: numero totale dei resti (NRT), numero dei resti non determinati (ND), numero dei resti determinati (NRD), numero resti determinati anatomicamente (NRDa), numero resti determinati tassonomicamente e anatomicamente (NRDt).

calcolo del Numero Minimo di Individui (NMI) che assommano a tre. I segmenti anatomici pi frequenti sono (Tab. 2): per il cefalico, frammenti craniali, tra cui un cranio quasi completo, denti isolati, frammenti mandibolari e cavicchie; per lo scheletro assiale non sono stati identificati reperti attribuibili a tale porzione scheletrica ma, comunque, si sottolinea tra i NRDa (Tabb. 1-2), la presenza di alcuni frammenti con dimensioni riferibili alla taglia del bisonte. Per lo scheletro appendicolare si riscontrano frammenti attribuibili sia agli arti anteriori che posteriori. Il rinoceronte la seconda specie pi rappresentata, con 35 reperti, pari al 18,92% dei NRDt. Di tale specie, (Tab. 2), si hanno soprattutto resti dentari (21), frammenti mandibolari (3) anche con denti in connessione anatomica e frammenti di cranio (1). I reperti dello scheletro appendicolare sono pochi, tuttavia si nota la prevalenza di frammenti attribuibili agli arti anteriori, rispetto a quelli posteriori dove sono stati identificati solo 2 tarsali. La presenza di 2 M3 destri permette il calcolo del NMI che di 2 individui. Lorso la specie pi rappresentata tra i carnivori; con un totale di 34 reperti costituisce il 18,38% dellinsieme dei resti ossei determinati (NRDt). Anche per questa specie i segmenti ossei maggiormente presenti, (Tab. 2), sono i denti isolati, seguiti da frammenti mandibolari con denti in connessione anatomica e due frammenti di cranio. Per lo scheletro assiale non si ha nessun reperto, mentre per quello appendicolare sono presenti

Fig. 1. Isernia La Pineta. US 3S1-5. Rappresentazione grafica della composizione faunistica.

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Segmento anatomico

Corno/palco Cranio Mandibola Dente isolato Vertebra Costa Scapola Omero Ulna Radio Carpale Metacarpale Falange ant. Coxale Femore Tibia Tarsale Metatarsale Falange post. Diafisi Epifisi Metapodiale Sesamoide Malleolare Falange ind. NRDt NMI 4 34 2 1 20 1 5 35 2 1 1 2 1 2 1 1 2 1 1 1 2 7 16 1 1 15 1 3 21

5 3 4

3 18 1 1 1 3 6 1 1 11 17 8 16 2 2 4

lesiguo numero di reperti. I Cervidi sono rappresentati in totale da 9 resti ossei (4,86% dei NRDt), tra cui palchi isolati, denti isolati, tibia, metapodiali e falangi (Tab. 2); gli Ungulati, invece, sono rappresentati da 15 reperti (8,11% dei NRDt), tra cui denti isolati e frammenti mandibolari, alcuni frammenti di vertebre (3), di coste (6), una scapola incompleta, un frammento di omero, un frammento di tibia e una diafisi (Tab. 2). Analisi tafonomica Per quanto riguarda lo stato di conservazione delle superfici ossee, si osserva che i reperti esaminati presentano superfici diversamente interessate da fenomeni di alterazione quali erosione, esfoliazione e weathering con differenti gradi di intensit ed estensione. Talora tali alterazioni hanno reso difficoltosa lindividuazione delle strie legate allutilizzo di uno strumento litico e di quelle tracce originate a seguito di fenomeni di abrasione o calpestio. Della totalit del campione esaminato (NRT 1024) 629 reperti presentano superfici ben conservate, permettendo unanalisi dettagliata delle superfici ossee e il riconoscimento di strie di macellazione su 6 reperti (un frammento indeterminato, un frammento prossimale di radio di rinoceronte, un frammento di mandibola di bisonte e un metatarso, un metapodiale e una falange di orso). Il numero esiguo di strie di macellazione identificato su reperti determinati non permette una ricostruzione dellintero trattamento delle carcasse animali ma ne indica, comunque, qualche azione: la presenza di numerose strie sul frammento di emimandibola destra di bisonte, una nella fossa massetterina e una in prossimit della branca montante dove si inserisce il massettere, induce a pensare ad una azione di scuoiamento e/o disarticolazione. Le strie presenti sul frammento prossimale di radio di rinoceronte (Fig. 2) sono profonde e ripetute e documentano unazione di distacco di masse muscolari. Sul metatarsale e il metapodiale di orso, sono state rinvenute strie di macellazione imputabili ad unazione di scuoiamento, che nel caso del metapodiale, si presentano come raschiature che decorrono lungo lasse longitudinale della diafisi (Thun Hohenstein et alii 2005, p. 27); strie imputabili ad unazione di disarticolazione sono state, invece, rinvenute su una falange. Le evidenze di macellazione rinvenute su segmenti anatomici appartenenti allorso sono di particolare rilevanza; tali tracce, sebbene non siano numerose, documentano una delle prime tappe della macellazione e potrebbero comunque indicare il carattere saltuario di questa attivit nei confronti dellorso e confermare laccesso primario ad alcune carcasse (Thun Hohenstein et alii, 2005).

32

2 1 1

1 2 3 1 1 1 1 1 1 1

283 3

2 3 2 1 5 64 3 1 9 15 374

Tab. 2. Isernia La Pineta. US 3S1-5. Distribuzione dei segmenti ossei per specie e segmento anatomico.

metapodiali e falangi. Per quanto riguarda il Numero Minimo di Individui, lorso rappresentato da due esemplari per la presenza di 2 P4 sinistri e 2 I3 sinistri isolati. I reperti attribuiti allelefante sono 20 (10,81% dei NRDt) (Fig. 1, Tab. 2). I reperti pi frequenti sono i denti isolati (15), seguiti da una porzione di bacino (ileo+ischio+acetabolo) sinistro, un frammento di mandibola, una costa ed una diafisi; il Numero Minimo di Individui ammonta ad 1. In misura notevolmente inferiore sono rappresentate le altre specie (Fig.1, Tab. 2): il daino e il megacero sono rappresentati da soli resti di palco ed il cervo da un unico M3 sinistro; la iena rappresentata da un unico frammento distale di tibia destra che conserva parte della diafisi e tutta lepifisi articolare. Non stato possibile calcolare il NMI per

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Indeterminati 1 1 1 4 2 1 1

Rinoceronte

Megacero

Ungulati

Elefante

Cervide

Bisonte

Cervo

Daino

Orso

Iena

A. Di Nucci & U. Thun Hohenstein / Annali dellUniversit di Ferrara, Mus. Sci. Nat. volume speciale (2007)

Il numero totale di frammenti su cui stato possibile osservare tali evidenze ammonta a 333 reperti dei quali quelli determinati a livello tassonomico sono 32. Il bisonte la specie che presenta pi evidenze (NR 14; porzioni di cranio, mandibola, radio, metacarpale, femore, tibia, metatarsale, falange) seguito da rinoceronte (NR 5; frammenti craniali, mandibolari e di radio), orso (NR 4; unicamente frammenti mandibolari), ungulati (NR 4; frammenti di mandibola, omero, tibia e diafisi), cervidi (NR 2; frammenti di tibia e metapodiale), elefante (NR 1; frammento di diafisi) e daino (NR 1; frammento di metatarso). Conclusioni Lo studio archeozoologico e tafonomico del campione faunistico proveniente dai livelli sabbiosi 3S1-5 confermano un importante intervento antropico, documentato in particolar modo dalla presenza di strie di macellazione ed evidenze di fratturazione intenzionale. Dunque, possibile affermare che luomo resta uno dei principali agenti di modificazione delle carcasse animali allorigine di questo accumulo.
Ringraziamenti Si ringraziano in particolare i proff. Carlo Peretto e Benedetto Sala (Universit di Ferrara) per le utili discussioni sullargomento, la Soprintendenza per i Beni Archeologici del Molise, il Centro Europeo di Ricerche Preistoriche (C.E.R.P) ed il gruppo di ricerca che ha svolto le attivit di indagine archeologica sul sito, in particolare: Marta Arzarello, Marilena Cozzolino, Rosalia Gallotti, Giuseppe Lembo, Antonella Minelli, Ettore Rufo, Mariangela Rufo.

Fig. 2. Isernia La Pineta. US 3S1-5. Frammento prossimale di radio di rinoceronte (A) su cui si notano strie lineari che mediante losservazione al SEM hanno evidenziato le microstriature allinterno del solco principale (B, C) e la tipica morfologia a coda di cometa del punto di uscita dello strumento litico (D).

Lanalisi dei piani di frattura ha portato allindividuazione di un numero abbastanza elevato di reperti fratturati intenzionalmente, che a volte presentano i caratteristici incavi di percussione e/o distacchi in faccia corticale e midollare.
Bibliografia Coltorti M., Cremaschi M., Delitala M. C., Esu D., Fornaseri M., McPherson A., Nicoletti M., Van Otterlo R., Peretto C., Sala B., Schmidt V., & Sevink J. (1982): Reversed magnetic polarity at Isernia La Pineta, a new lower paleolithic site in Central Italy. Nature, 300: 173-176. Coltorti M., Feraud G., Marzoli A., Peretto C., Ton-That T., Voinchet P., Bahain J.-J., Minelli A., & Thun Hohenstein U. (2005): New 40Ar/39Ar, stratigraphic and palaeoclimatic data on the Isernia La Pineta Lower Palaeolithic site, Molise, Italy. Quaternary International, 131: 1122. Delitala M.C., Fornaseri M., & Nicoletti M. (1983): Datazioni argon-potassio sulla serie pleistocenica di Isernia La Pineta. In Isernia La Pineta. Un accampamento pi antico di 700.000 anni fa, Calderini Editore, Bologna, 65-66. Di Nucci A. (A.A. 2002-2003): Strategie di sussistenza adottate nel sito paleolitico di Isernia La Pineta. Analisi archeozoologica delle US 3S1-5. Tesi di laurea in Antropologia. Universit di Ferrara, Corso di laurea in Scienze Naturali. Minelli A. & Peretto, C. (1999-2000): Industria litica di Isernia La Pineta (Molise). Caratteristiche tecno-tipologiche, frequenza e distribuzione areale nellarcheosuperficie 3a del I settore di scavo. Rivista di Scienze Preistoriche, L: 15-37. Peretto C. (1999): I suoli dabitato del giacimento paleolitico di Isernia La Pineta. Natura e distribuzione dei reperti. Istituto Regionale per gli Studi Storici del Molise V. Cuoco, Cosmo Iannone Editore, Isernia.

Peretto C. (1994): Le industrie litiche del giacimento paleolitico di Isernia La Pineta, la tipologia, le tracce di utilizzazione, la sperimentazione. Istituto Regionale per gli Studi Storici del Molise V. Cuoco, Isernia. Rufo M. A., Minelli A. & Peretto C. (2006): Lindustria litica: lindustria in calcare del sito paleolitico di Isernia La Pineta. In Peretto C., Minelli A. (a cura di), Preistoria in Molise. Gli insediamenti del territorio di Isernia, CERP, Collana Ricerche, 3: 54-69. Sala B. (2006): I Vertebrati fossili: le nuove specie rinvenute a La Pineta. In Peretto C. & Minelli A. (a cura di), Preistoria in Molise: gli insediamenti del territorio di Isernia. CERP, Collana Ricerche, 3: 36-38. Sala B. (1996): Gli animali del giacimento di Isernia La Pineta. In Peretto C. (ed.), I reperti paleontologici del giacimento paleolitico di Isernia La Pineta, Luomo e lambiente. Istituto Regionale per gli Studi Storici del Molise V. Cuoco, Cosmo Iannone Editore, Isernia, 87-186. Tonon M. (1989): Note sullavifauna del deposito di Isernia La Pineta. Il Quaternario, 2: 171-173. Thun Hohenstein U., Di Nucci A. & Peretto C. (2005). Lo sfruttamento di Ursus deningeri nel sito Paleolitico di Isernia La Pineta. In: Malerba G. & Visentini P. (a cura di) Atti del 4 Convegno Nazionale di Archeozoologia (Pordenone, 13-15 Ottobre 2003). Quaderni del Museo Archeologico del Friuli Occidentale, 6: 23-29.

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Studio della distribuzione delle tracce antropiche sui resti di ungulati del Gravettiano antico di Grotta Paglicci (Rignano Garganico-Foggia): il trattamento delle frazioni distali degli arti di Bos primigenius
Jacopo Crezzini
Dipartimento di Scienze Ambientali G. Sarfatti, Sezione Ecologia Preistorica, Universit degli Studi di Siena, via delle Cerchia 5, I-53100 Siena - crezzini@unisi.it

___________________________________________________________________________________ Abstract The taphonomic study of ungulate bones from two Ancient Gravettian levels of Grotta Paglicci (Rignano Garganico FG), 22F and 2C, has showed a large quantities of anthropic traces on the bone surfaces related to the exploitation of the carcasses with lithic tools. The observation of marks distribution on every single identifiable skeletal element of ungulate has pointed out the high quantity of traces on carpals, tarsals, metapodial bones, sesamoides and phalanges of Bos primigenius. Experimentation carried out on the distal portions of cattle legs suggests, for this type of skeleton, the adoption of a probable chane opratoire. [Distribution analysis of anthropic traces on Ungulates remains from the Ancient Gravettian of Grotta Paglicci (Rignano Garganico - Foggia): exploitation of the distal portions of Bos primigenius limbs.] Keywords: Taphonomy, Limbs, Bos primigenius. ___________________________________________________________________________________
Il sito paleolitico di Paglicci Il sito paleolitico di Paglicci, situato nel comune di Rignano Garganico in provincia di Foggia, comprende la grotta e lattiguo riparo esterno. Questa cavit, di origine carsica, situata lungo la riva sinistra del Vallone di Settepende poco al di sotto di uno dei pi bassi gradoni calcarei di origine cretacica (100-150 metri s.l.m.) presenti sul fianco meridionale del Gargano. Al di sotto del versante si estende la pianura foggiana. Questa particolare posizione, al confine di due ambienti molto diversi, assicur ai cacciatori paleolitici che frequentarono il sito unampia scelta tra le prede cacciabili: cavallo ed uro dovevano infatti occupare, nelle fasi climatiche pi aride, le praterie e le steppe della pianura; camosci e stambecchi risiedevano invece nei dirupi a nord, mentre specie boschive come cinghiale, cervo e capriolo erano probabilmente presenti, durante le fasi umide, nelle macchie e nei boschi dei valloni. I livelli 23C e 22F I livelli 23C e 22F, oggetto di questo lavoro, sono inclusi nellampia stratigrafia del deposito interno di Grotta Paglicci che copre un arco di tempo compreso tra il Paleolitico inferiore e lEpigravettiano finale. Lindustria litica e le datazioni 14C che hanno fornito ambedue i livelli (28.100 400 B.P. per il vicino livello 23A e 28.300 400 B.P. per il 22F4), sono riferibili al Gravettiano antico (Palma di Cesnola, 1990; 1993). Allinterno del livello pi antico, il 23C, lungulato dominante lo stambecco con una percentuale del 17,2% sul totale dei macromammiferi ritrovati (Tab. 1). Segue luro, accompagnato da una buona presenza di equidi e del camoscio. I resti di cervo e cinghiale sono stati rinvenuti in quantit inferiori. Un tale tipo di associazione testimonia un ambiente di prateria derivata da una fase climatica fredda e asciutta, riferibile alla transizione KesseltTursac. I resti ossei recuperati allinterno del livello 22F mostrano una brusca diminuzione dei caprini con un forte aumento della presenza delluro (50,1% sul totale). Analisi tafonomica sperimentazione del materiale fossile e

Lanalisi tafonomica, condotta sui resti faunistici recuperati allinterno dei livelli 23C e 22F, ha fatto registrare una considerevole quantit di tracce antropiche presenti sulle superfici ossee: strie, incavi

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Equus ferus Str. NR 22F 23C 73 25 % 15,2 12

Equus hydruntinus NR 40 21 % 8,2 10

Equus sp. NR 10 9 % 2 4,3

Sus scrofa NR 29 13 % 6 6,2

Bos primigenius NR 235 28 % 48,7 13,4

Capra ibex NR 37 36 % 7,5 17,2

Rupicapra sp. NR 23 20 % 4,8 9,6

Cervus elaphus NR 22 14 % 4,6 6,7

Vulpes vulpes NR 5 28 % 1 13,4

Tab. 1. Numero dei reperti determinati e relative percentuali dei macromammiferi recuperati nei due livelli gravettiani di Grotta Paglicci (Boscato, 1996; 2004).

di percussione e fratture provocate dallutilizzo da parte delluomo di strumenti litici durante il trattamento delle carcasse (Boscato & Crezzini, 2005). Tra le ossa degli ungulati rappresentati, i resti di carpali, tarsali, metapodiali, falangi e sesamoidi di Bos primigenius riportano il maggior numero di evidenze. Attraverso una sperimentazione condotta sulle porzioni pi distali di zampe di bue domestico si cercato di ricostruire una possibile sequenza operativa adottata dalluomo nel trattamento di queste parti anatomiche. Le prove sperimentali (Fig. 1) sono state effettuate su zampe posteriori di vitello (11-12 mesi di et), comprendenti la seconda fila dei tarsali (cubonavicolare, gran cuneiforme, piccolo cuneiforme), il metatarso, le falangi ed i sesamoidi. Per le operazioni di taglio si sono utilizzate schegge di selce non ritoccata, mentre una grande incudine ed un percussore sono serviti per la frattura delle ossa.

La rimozione dei fasci fibrosi principali Lesame del campione gravettiano mostra numerosi elementi di gran cuneiforme, di specie diverse, con strie in posizioni analoghe. Considerando i reperti appartenenti a Bos primigenius, in essi le tracce occupano esclusivamente i lati mediale e dorsale di questo tarsale. Durante la sperimentazione questo osso stato segnato in posizioni simili da azioni di taglio condotte per lasportazione di legamenti e tendini (Fig. 2). Molti elementi di prime e seconde falangi provenienti dai livelli 23C e 22F presentano segni di taglio. Cinque di questi resti sono riferibili a prime falangi di Bos primigenius e riportano evidenze in norma dorso-laterale e dorso-mediale. Strie accessorie, provocate sulle prime falangi di bue domestico dal taglio dei fasci fibrosi dorsali durante la sperimentazione, si presentano del tutto simili per morfologia e posizione a quelle rilevate sul campione gravettiano. Sui resti di seconde falangi di uro recuperate negli strati gravettiani si registra una marcata variet di tracce per natura e posizione: tagli profondi sul lato laterale, strie in norma dorso-mediale e profonde tacche in prossimit della faccia articolare distale. Una delle ragioni di operazioni tanto intense sembra desumibile dallosservazione sperimentale. La seconda falange di bue, in connessione con le altre ossa, si presenta racchiusa in un sistema di strutture fibrose (e non solo) intricato in ogni sua parte, incastonata tra la prima e la terza falange e sovrastata in parte dallunghia. Appare quindi chiaro come, a prescindere dagli obiettivi, qualsiasi trattamento fatto su questi elementi richieda

Fig. 1. La sequenza operativa seguita nella sperimentazione: 1) spellamento; 2) rimozione dei fasci fibrosi principali; 3) frattura delle ossa in connessione anatomico.

Lo spellamento Lo spellamento iniziato incidendo la pelle in norma dorsale, sul collo dellepifisi prossimale del metatarso ed proseguito con un taglio lungo lasse principale dellarto. Incisioni successive, molto rapide, avvenute senza mai intaccare le superfici ossee sottostanti con la lama di selce, hanno permesso di portare a termine in breve tempo lo scuoiamento. Le diafisi dei metatarsi di vitello coinvolte solo in questa operazione non hanno riportato segni. Anche lazione pi incisiva, necessaria per staccare la pelle in prossimit della zona delle unghie, sia in norma dorsale che ventrale, non ha provocato strie sulle falangi. Asportata totalmente la pelle, la macellazione proceduta di pari passo con losservazione del campione fossile. Lanalisi tafonomica dei resti faunistici di Paglicci ha infatti suggerito alcune vie percorribili nelle prove sperimentali, dalle quali, a loro volta, si sono ottenute evidenze capaci di confermare o meno le metodiche adottate.

Fig. 2. Gran cuneiforme: confronto tra le strie presenti su un campione fossile (in basso) e quelle prodotte sulla superficie dello stesso osso nel corso della sperimentazione (in alto).

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Fig. 3. Seconda falange: frammento distale fossile con strie in norma dorsale (sin) e elemento integro con evidenze provocate dal taglio dei fasci fibrosi dorsali in sede sperimentale (dx).

applicazioni dure e ripetute. In Fig. 3 possiamo osservare le tracce presenti in norma dorsale sul campione gravettiano confrontate con quelle prodotte su una seconda falange durante la rimozione dei fasci fibrosi dorsali in sede sperimentale. La somiglianza dei danneggiamenti suggerisce come lelemento fossile possa essere stato danneggiato nel corso di operazioni simili a quelle eseguite nella sperimentazione. I resti riferibili a terze falangi di bue e di altri ungulati recuperati a Grotta Paglicci non presentano segni di interventi antropici. Parallelamente non si registrano danneggiamenti sulle superfici ossee delle terze falangi di vitello coinvolte nelle prove sperimentali. La scarsa probabilit di avere tracce su questo osso pu essere imputabile al grande sviluppo dellunghia che, coprendo quasi completamente la terza falange, la protegge dal contatto con gli strumenti litici. Nel campione fossile esaminato in questo lavoro si registrato un solo sesamoide prossimale di Bos primigenius segnato da interventi antropici. Questo reperto porta una tacca sulla superficie esposta. Evidenze simili sono state prodotte sui sesamoidi prossimali di bue sottoposti alla sperimentazione dal taglio delle strutture fibrose ventrali. Si segnala, inoltre, un solo sesamoide metatarsale di uro con evidenti segni di macellazione. Interventi sul legamento ventrale sembrano essere le cause pi ragionevoli di queste strie. Tali operazioni hanno infatti segnato questo piccolo osso nel corso delle prove sperimentali. La rimozione dei principali fasci fibrosi dorsali e ventrali ha consentito la successiva frattura di falangi e metapodiali per il recupero del midollo. Estato infatti appurato in sede sperimentale come la presenza di queste morbide strutture attutisca, tanto da renderlo inefficace, il colpo atto alla rottura delle ossa. La frattura delle ossa Grazie anche alla buona determinabilit che contraddistingue queste ossa, tra il materiale fossile

ritrovato si registrano un buon numero di falangi di varie specie fratturate intenzionalmente dalluomo. Tra queste, due sono riferibili a prime falangi di uro fratturate in norma dorsale. Molto interessante in particolare lelemento fossile che su questo lato riporta un incavo di percussione addossato ad una serie di strie, il cui sviluppo stato interrotto dal distacco di una parte dellosso (Fig. 4, particolare). La sequenza di interventi deducibile dalla sovrapposizione di questi segni pu accordarsi con la procedura seguita nella nostra sperimentazione: frattura delle ossa preceduta dallasportazione dei tendini e legamenti principali. Evidenze di fratture si registrano anche su frammenti di metapodiali. Tre resti riferibili a questi elementi ossei, tutti riconducibili a Bos primigenius, comprendono due frazioni di metatarsali ed uno di metacarpale. Tra questi, su due piccole porzioni prossimali, lazione antropica rappresentata sia da negativi di distacco che da strie in norma dorso-mediale. Allinterno del campione fossile esaminato in questo lavoro i resti di falangi e metapodiali di uro presentano numerose evidenze di colpi sul lato dorsale. Le prove sperimentali si sono quindi concentrate su un tipo di frattura operata colpendo le ossa su questo lato. Per quanto riguarda la rottura delle falangi, la sperimentazione ha dimostrato come sia pi vantaggioso agire su questi elementi scheletrici quando ancora si trovano in connessione anatomica con il metapodiale per mezzo di piccoli elementi fibrosi e cartilagini. In tal modo, ponendo il lato ventrale delle ossa su di unincudine, si assicura alle falangi un appoggio pi stabile rispetto a quello ottenibile trattando gli stessi elementi isolati. E possibile cos sfruttare al meglio la forza del colpo e di eventuali contraccolpi (Fig. 5). Procedendo in questo senso, lanalisi delle prime falangi di Bos primigenius pu essere arricchita da confronti con i risultati ottenuti nelle prove sperimentali. Come possiamo vedere in Fig. 4 le zone di frattura presenti su una prima falange

Fig. 4. Prima falange: frammento prossimale fossile con strie interrotte da un incavo di distacco (sin). Confronto con una prima falange aperta nel corso della sperimentazione (dx).

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Fig. 5. Illustrazione di due possibili procedure adottabili per la frattura della prima falange: 1) colpo su elemento isolato; 2) colpo su elemento in connessione anatomica.

fratturata in sede sperimentale e su un campione fossile hanno morfologie ben confrontabili. Anche riguardo ai resti fossili riferibili a metapodiali precedentemente descritti, i risultati ottenuti nelle prove sperimentali propongono altri interessanti confronti. Un frammento prossimale di metatarso riporta negativi di colpo relativamente simili, almeno nella posizione, a quelli presenti in prossimit dellarticolazione prossimale dello stesso osso, fratturato durante la sperimentazione attraverso un colpo dorsale (Fig. 6).

Fig. 6. Metatarso: evidenze di frattura su porzioni prossimali. Comparazione tra un campione fossile (dx) e un frammento prodotto nella sperimentazione (sin).

Conclusioni Tra i reperti ossei di ungulati recuperati nei livelli gravettiani 23C e 22F di Grotta Paglicci, i resti di carpali, tarsali, metapodiali, falangi e sesamoidi di Bos primigenius riportano un alta quantit di interventi antropici. Losservazione di queste evidenze suggerisce la probabile esistenza di una metodica adottata dalluomo nel trattamento delle frazioni distali delle zampe di questo bovide Prove sperimentali condotte sulle stesse porzioni degli arti di bue domestico hanno analizzato la seguente sequenza operativa:
Bibliografia Boscato P. (1996): Grotta Paglicci: la fauna a grandi mammiferi degli strati 22-24 (Gravettiano antico-Aurignaziano). Rivista di Scienze Preistoriche, XLVI (1): 145-176. Boscato P. (2004): I macromammiferi dellAurignaziano e del Gravettiano antico di Grotta Paglicci. In: A. Palma di Cesnola, (a cura di) Paglicci. LAurignaziano e il Gravettiano antico. Grenzi Ed., 49-62. Boscato P. & Crezzini J. (2005): Luomo e la Iena macchiata. Tafonomia sui resti di ungulati del Gravettiano antico di Grotta Paglicci (Rignano Garganico FG). In: Malerba G. & Visentini P.

Spellamento - Il trattamento della frazione distale della zampa di Bos primigenius da parte del cacciatore gravettiano aveva inizio, quasi certamente, con lo spellamento. Riguardo alluro per, questa operazione non sembra documentabile dallanalisi tafonomica dei suoi resti fossili. La sperimentazione dimostra infatti come lo scuoiamento non generi normalmente tracce sulle ossa delle frazioni distali dellarto di bue. Gli spessi fasci fibrosi presenti nella zampa di questo ungulato infatti, non permettono il contatto tra i margini taglienti della selce e la superficie ossea di questi elementi scheletrici. Rimozione dei fasci fibrosi principali - Sui resti gravettiani delle ossa di uro, costituenti la frazione di arto esaminata in questo lavoro, le tracce di taglio sono rappresentate da strie sulle superfici dorsali del gran cuneiforme, evidenze sui lati laterale e mediale delle prime falangi e segni di collocazioni diverse sulle seconde falangi e sui sesamoidi. Tali tracce sono comparabili a quelle prodotte dalla rimozione dei fasci fibrosi principali sulle ossa di bue sottoposte alla sperimentazione. Questa sembra essere unoperazione indispensabile per la successiva frattura delle ossa. La presenza di tendini e legamenti pi grandi pu infatti attenuare la forza dei colpi sferrati su falangi e metapodiali impedendone la rottura Frattura delle ossa in connessione anatomica - Le numerose tracce di frattura ritrovate in norma dorsale sulle superfici ossee dei resti di falangi e metapodiali di Bos primigenius (e non solo di questa specie) recuperati nei livelli 23C e 22F suggeriscono una rottura delle ossa avvenuta colpendo queste ultime sul loro lato dorsale. Lattivit sperimentale ha evidenziato inoltre come sia pi facile ottenere la frattura delle falangi colpendole quando queste si trovano ancora in connessione anatomica con il metapodiale grazie a piccole strutture fibrose e cartilaginee. In tal modo, appoggiando il lato ventrale di queste ossa su di un incudine, si assicura alle falangi un appoggio pi sicuro rispetto a quello ottenibile trattando questi elementi isolati, sfruttando al meglio la forza dei colpi e dei contraccolpi. Le analogie tra le evidenze prodotte sulle ossa durante la sperimentazione e quelle presenti sui resti degli stessi elementi scheletrici del campione fossile recuperato a Grotta Paglicci, avvalorano lipotesi che il cacciatore gravettiano adottasse metodiche analoghe a quelle descritte in questo lavoro nel trattamento della frazione distale degli arti di uro.
(a cura di), Atti del 4 Convegno Nazionale di Archeozoologia, Pordenone, 2003. Quaderni del Museo Archeologico del Friuli Occidentale, 6: 67-74. Palma di Cesnola A. (1990): Sui risultati degli scavi condotti a Grotta Paglicci nel 1989. In: Armando Gravina (a cura di), Atti XI Convegno Nazionale sulla Preistoria, Protostoria e Storia delle Daunia, San Severo, 1990, Gerni edizioni, 11-20. Palma di Cesnola A. (1993): La campagna di scavi 1991 a Grotta Paglicci. In: Giuseppe Clemente (a cura di), Atti del XIII Convegno Nazionale sulla Preistoria, Protostoria e Storia della Daunia, San Severo, 1991, GERCAP edizioni, 9-16.

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Ambiente ed economia di sussistenza nellet del bronzo. Analisi paleocarpologica dei siti perilacustri di Villaggio delle Macine (Castelgandolfo, Roma) e Castellaro Lagusello (Mantova): due realt a confronto
Marialetizia Carra
Dipartimento di Archeologia, Centro di Ricerche Archeobotaniche ArcheoFlorae, Universit degli Studi di Bologna, sede di Ravenna, via S. Vitale 30, I-48100 Ravenna c_leti@yahoo.it

___________________________________________________________________________________ Abstract The carpological researches on the specimens of the dwelling sites of Villaggio delle Macine (Castelgandolfo, Roma) and Castellaro Lagusello (Mantova) have provided important information in order to outline the paleo-environment and the economy of subsistence of local communities during the Ancient and Middle Bronze Age. In the middle of the protohistorical revolution, the archaeobotany research is mainly focused on agriculture and on the emergence and diffusion of the various agricultural practises; such practises are still limited to the picking of wild species and the daily use of plants and constitute the elements that are deducible from the analytical data. Given a statistical value these data depict a tangible and objective image of the daily routines. [Environment and subsistence strategies in the Bronze Age. Palaeocarpological analysis of the perilacustrine sites of Villaggio delle Macine (Castelgandolfo, Roma) and Castellaro Lagusello (Mantua): comparison among two realities.]

Keywords: Bronze Age, Pile dwellings, Carpology.


___________________________________________________________________________________ Introduzione Castellaro Lagusello (Mantova) e Villaggio delle Macine (Castelgandolfo, Roma), come altri giacimenti palafitticoli italiani ed europei, si sono dimostrati veri e propri archivi di informazioni non soltanto archeologiche, ma anche e soprattutto archeobotaniche; in tal senso, il presente intervento si propone di esporre i risultati delle analisi paleocarpologiche condotte sui reperti di questi abitati perilacustri risalenti allet del bronzo, confrontandone le peculiarit e sottolineandone differenze e analogie. Parte dei macroresti si conservata per imbibizione, grazie ai depositi asfittici di bacino lacustre; altri reperti, soprattutto cereali, ci sono pervenuti carbonizzati, probabilmente come risultato delle operazioni cui sono stati sottoposti i vegetali prima di diventare parte integrante della stratificazione archeologica del sito. Le deduzioni derivanti dalle analisi paleocarpologiche, condotte su vari campioni provenienti dai due siti, opportunamente prelevati, trattati mediante flottazione e setacciatura con setacci a maglie fini ed infine determinati e conteggiati, forniscono importanti informazioni per completare la ricostruzione del paleoambiente, delleconomia di sussistenza e, nel contempo, i medesimi dati, osservati dal punto di vista planimetrico, possono chiarire alcuni aspetti della distribuzione organizzativo-spaziale degli abitati. Tutti i dati raccolti informano, innanzitutto, sulla variet degli ecosistemi caratterizzanti lambiente perilacustre. Sia i pendii del cratere vulcanico del lago Albano, sia le colline moreniche dellarea benacense, durante let del bronzo dovevano essere ricoperti da una boscaglia termofila a latifoglie in cui vegetavano querce, noccioli, cornioli, biancospini e diverse Rosaceae, specie che ben si adattano a substrati drenati e a climi temperati; in entrambi gli insediamenti comunque maggiormente rappresentato lambiente di margine boschivo, caratterizzato da specie arbustive eliofile, quali Ficus carica L., Rubus fruticosus L., Sambucus ebulus L., Sambucus nigra L., Vitis vinifera L., Prunus spinosa L. e Physalis alkekengi

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CAPRIFOLIACEAE CHENOPODIACEAE POLYGONACEAE RANUNCOLACEAE ROSACEAE MORACEAE SOLANACEAE ALTRO

Fig. 1. Castellaro Lagusello. Le componenti selvatiche.

L., le cui caratteristiche ambientali ben si accordano a quelle delineate per le specie arboree con le quali condividevano, in sostanza, la stessa nicchia ecologica (Fig. 1). La maggiore frequenza di alcune di queste piante, in particolare del fico, del rovo, del sambuco e del corniolo risulta a volte fin troppo accentuata, tanto da sovrastimare lattivit antropica di raccolta di questi frutti spontanei (Fig. 2); questo pu essere collegato, oltre a specifiche problematiche di natura postdeposizionale, anche alla diversa produttivit di semi e di frutti in seno alle diverse specie (papavero e fico, per esempio, producono molta semente). Diversamente da Castellaro, dove questa associazione floristica non stata riscontrata, per larea laziale sono state identificate piante erbacee amanti di climi caldi e di substrati ben drenati (varie specie di Caryophyllaceae, Compositae e Labiatae, per citare solo le famiglie pi numerose), a rappresentare zone prative pi aride che potevano trovarsi marginalmente o frammiste agli ambienti boschivi, favorite dalla componente pedologica vulcanica, basica e ricca in minerali. Ovviamente, in entrambi i siti sono state rilevate anche tutte quelle specie tipiche degli ambienti di sponda lacustre, in particolare erbacee
CEREALI PAPAVERO ALTRI COLTIVI FICO MORA ALTRE SPECIE EDULI

appartenenti alle famiglie Cyperaceae, Labiatae, Polygonaceae e Ranunculaceae adatte a substrati pi o meno idrofili. A Castellaro, in particolare, stata osservata in molti campioni lassociazione Polygonum/Chenopodium, che ben si sviluppa in terreni umidi sabbiosi, ghiaiosi o limosi, ricchi di sostanze organiche e azotate. Molto meno rappresentate, sia in termini di numero di specie determinate che di singoli reperti conteggiati, sono le erbacee di sponda lacustre, tipiche di acque calme, stagnanti ed eutrofizzate (Potamogeton cfr. natans L., Ceratophyllum submersum L., Najas marina L., Lemna sp. L.) e le alghe (Chara sp.). Le considerazioni che derivano da quanto evidenziato mostrano un ambiente praticamente gi molto simile a quello attuale, con una distribuzione delle associazioni vegetali del tutto analoga, dovuta al perdurare nei secoli delle medesime condizioni edafiche. Lalimentazione era basata sui cereali (Figg. 35), principalmente su frumento (Triticum dicoccum Schrank, Triticum monococcum L., Triticum spelta L. e Triticum aestivum/durum) e orzo (Hordeum vulgare L.), secondo un abituale trend di frequenze attestato per let del bronzo anche in altri siti palafitticoli nazionali ed europei, accompagnati a Villaggio delle Macine, anche da altre specie rinvenute in minore quantit, ma facenti parte di quei cereali che erano gi presenti tra i coltivi fin dalla prima et del bronzo, se non dal Neolitico, quali Panicum miliaceum L. e Setaria italica L. (Carra, 1999-2000; Carra & Cattani, 2002; Castelletti et alii, 1991; Fugazzola Delpino, 1999; Fugazzola Delpino et alii, 1993; Jacquat, 19881989; Jones & Rowley-Conwy, 1984; Maler, 1999; Rottoli, 1993; 2000-2001). Tracce di altre coltivazioni riguardano, nellarea laziale, i legumi, tra cui spicca la fava (Vicia faba L.), il lino (Linum usitatissimum L.), impiegato ovviamente come pianta tessile e il papavero da oppio (Papaver somniferum L.), largamente usato a scopo medicinale e narcotico. Da Castellaro proviene, invece, la testimonianza di Brassica napus
HORDEUM TRITICUM CEREALIA

Fig. 2. Villaggio delle Macine. Le principali tipologie di reperti rinvenuti.

Fig. 3. Castellaro Lagusello. La cerealicoltura.

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T. AESTIVUM/DURUM T. DICOCCUM T. MONOCOCCUM T. MONOC/DICOC T. SPELTA

Fig. 4. Castellaro Lagusello. Analisi dei vari tipi di frumento rinvenuti.

var. oleifera Del., vegetale utilizzato per lestrazione di olio, un ibrido, indice certo di coltivazione. A partire dallepoca degli insediamenti, diventano pi numerose le piante denominate domesticoidi; per esempio, Vitis vinifera L. a Castellaro ascrivibile con un certo margine di certezza alla variet selvatica, a Villaggio delle Macine i dati morfometrici mostrano una prima evoluzione della specie selvatica, una sorta di regime di semiaddomesticamento, non ancora inquadrabile con sicurezza fra le specie coltivate. Il ritrovamento di numerosissime furcule1 (a Castellaro questa tipologia di reperti supera di molto il numero delle cariossidi e copre quasi la met dei macroresti determinati) induce a pensare che le operazioni di preparazione dei cereali, in particolare battitura e torrefazione, avvenissero allinterno dellabitato, in precise aree, opportunamente adibite a tali attivit. Questi trattamenti avevano lo scopo di separare i cereali dalle erbe infestanti e dai frammenti di spiga; presumibilmente, per, si preferiva lasciare le cariossidi avvolte nelle proprie glumette (pratica ben attestata soprattutto a Villaggio delle Macine), per laumento della capacit conservativa in rapporto al cereale pulito ed una migliore difesa da muffe e parassiti, inibendo, nel contempo il processo di germinazione del chicco (Jones & Rowley-Conwy, 1984). Per ci che concerne la ricostruzione delle pratiche agricole, la maggiore incidenza delle specie annuali infestanti dei coltivi rispetto a quelle perenni, lascia supporre che i campi venissero sottoposti a frequenti arature e zappature (Maler, 1999). Un altro aspetto legato allalimentazione, sembra essere suggerito dal ritrovamento di erbacee quali, per esempio, Silene alba (Miller) Krause, Carthamus lanatus L., Taraxacum officinale Weber e di piante infestanti dei coltivi come Chenopodium album L., Atriplex sp. L., Valerianella dentata (L.) Pollich, Brassica sp. L., Camelina sativa (L.)

Crantz, Echinocloa crus-galli (L.) Beauv., che potevano costituire una fonte alimentare integrativa in periodi di scarsi raccolti. Infine, altra importante fonte di sostentamento era data dai frutti eduli di piante che vegetavano nei pressi degli abitati; fichi, frutti di bosco (principalmente more e fragole), corniole, prugne e mele selvatiche, ghiande e nocciole completavano la dieta arricchendola di vitamine e fibre. Alcuni di questi frutti, potevano venire tostati (in entrambi i contesti sono stati rinvenuti quasi sempre carbonizzati) o essiccati per renderli pi appetibili e consentire una maggiore conservazione, a costituire scorte alimentari per i mesi invernali. Lanalisi di due siti che hanno conservato un cos grande numero di resti carpologici, ha reso possibile elaborare ipotesi concernenti altri usi dei vegetali, diversi da quello alimentare. Parliamo, per esempio, di tutta quella serie di vegetali usati dalluomo per ricavarne pigmenti per la colorazione dei tessuti, quali le bacche dellebbio (Sambucus ebulus L.) e del corniolo sanguinello (Cornus sanguinea L.), i petali del papavero e di alcune Compositae e i fiori delliperico (Hypericum sp. L.). Infine, anche se non sono state riscontrate prove concrete dellutilizzo di queste specie, esistono moltissime piante dotate di effetti curativi, per cui possiamo supporre limpiego a scopo medicinale del lattice del fico, della corteccia e dei fiori del corniolo, dei frutti del sambuco, delle bacche dellalkekengi, delle more, delle viole, del camepizio (Ajuga chamaepitys (L.) Schreber) e di altre Labiatae, di Polygonaceae e Umbelliferae. Per quanto riguarda lanalisi spaziale degli insediamenti, stato osservato come a Castellaro non siano presenti aree di concentrazione di una singola variet ma vi sia una distribuzione piuttosto uniforme dei macroresti allinterno dei quadrati campionati; al contrario, a Villaggio delle Macine sono visibili alcuni accumuli di cereali in associazione a specie eduli selvatiche. Tali
T. DICOCCUM T. MONOCOCCUM T. SPELTA TRITICUM SP. HORDEUM VULGARE ALTRO

Fig. 5 Villaggio delle Macine. Le coltivazioni.

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concentrazioni potrebbero essere interpretate ipotizzando la presenza, in corrispondenza di esse, di unarea comprendente zone di focolari o di stoccaggio, oppure di spazi adoperati come scarico o latrine, queste ultime normalmente identificabili dal rinvenimento di specie dai semi di piccole dimensioni allo stato non carbonizzato, come nel nostro caso (Jones & Rowley-Conwy, 1984). Inoltre, la diversit planimetrica registrata nella stratigrafia verticale della distribuzione dei reperti carpologici, pu essere interpretata come un cambiamento degli utilizzi degli spazi da parte della
Bibliografia Carra M. (A.A. 1999-2000): Economia di sussistenza alla fine dellEt del Bronzo nellarea benacense. Studio paleocarpologico dellinsediamento palafitticolo di Castellaro Lagusello in provincia di Mantova. Tesi di laurea in Ecologia Preistorica, Universit degli Studi di Bologna, Corso di Laurea in Conservazione Beni Culturali. Carra M.L. & Cattani L. (2002): Dati paleobotanici dellinsediamento di Castellaro Lagusello (MN). In: Aspes A. (a cura di), Preistoria Veronese. Contributi ed aggiornamenti, Memorie del Museo Civico di Storia Naturale di Verona, 2 serie, Sezione Scienze dellUomo, 5: 124-125. Castelletti L., Castiglioni E. & Rottoli M. (1991): Resti vegetali e alimentari da Lazise. In: Cera una volta Lazise, Catalogo della mostra, Neri Pozza Ed., Vicenza. Fugazzola Delpino M.A. (1999): La vita quotidiana del Neolitico. Il sito della Marmotta sul Lago di Bracciano. In: Pessina A. & Muscio G. (a cura di), Settemila anni fa il primo pane. Ambienti e culture delle socit neolitiche, Catalogo della mostra, Museo Friulano di Storia Naturale, Udine, 184-191. Fugazzola Delpino M.A., DEugenio G. & Pessina A. (1993): La Marmotta (Anguillara Sabazia, RM). Scavi 1989. Un abitato perilacustre di et neolitica. Bullettino di Paletnologia Italiana, 84: 181-304. Jacquat C. (1988): Hauterive-Champrveyres, 1. Les plantes de

comunit nel corso del tempo, tenendo anche conto che le strutture dellarea insediativa sembrano essere state progressivamente spostate in base alle variazioni del livello del lago (cambiamenti rilevati anche su base archeologica). Grazie allindagine archeobotanica di queste due distinte realt, stato possibile contestualizzare gli insediamenti, avere dati sullalimentazione, leconomia di sussistenza, lutilizzo dello spazio insediativo e conoscere le molteplici nicchie ecologiche che contraddistinguono gli ambienti perilacustri.

l'ge du Bronze. Catalogue des fruits et graines. Archologie neuchteloise, 7, ditions Ruau, Saint-Blaise. Jacquat C. (1989): Hauterive-Champrveyres 2, Les plantes de l'ge du Bronze. Contribution lhistoire de lenvironnement et de lalimentation. Archologie neuchteloise, 8, Editions du Ruau, Saint-Blaise. Jones G. & Rowley-Conwy P. (1984): Plant remains from the north italian lake dwellings of Fiav (1400 1200 b.C.). In: Perini R. (a cura di), Scavi archeologici nella zona palafitticola di FiavCarera. Parte I. Campagne 1969-76. Situazione dei depositi e dei resti strutturali, Patrimonio Storico Artistico del Trentino, 8, Trento. Maier U. (1999): Agricultural activities and land use in a Neolithic village around 3900 b.C.: Hornstaad Hrnle I A, Lake Constance, Germany. Vegetation History and Archaeobotany, Springer Berlin/Heidelberg, 8 (1-2): 8794. Rottoli M. (2000-01): Zafferone selvatico (Carthamus lanatus) e cardo della Madonna (Silybum marianum), piante raccolte o coltivate nel Neolitico antico a La Marmotta. Bullettino di Paletnologia Italiana, 91-92. Rottoli M. (1993): La Marmotta, Anguillara Sabazia (RM). Scavi 1989. Analisi paletnobotaniche: prime risultanze. In: Fugazzola Delpino M.A., DEugenio G. & Pessina A. (a cura di), La Marmotta (Anguillara Sabazia, RM). Scavi 1989. Un abitato perilacustre di et neolitica, appendice 1, Bullettino di Paletnologia Italiana, 84.

________________________
Elementi di sostegno della cariosside dei cereali, le furcule fanno parte dellasse centrale della spiga.
1

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Annali dellUniversit degli Studi di Ferrara Museologia Scientifica e Naturalistica

ISSN 1824-2707 volume speciale (2007)

Indagini archeozoologiche sul sito di S. Antonino (Savona): la fase insediativa della tarda et del bronzo
Alessandra Spinetti1, Daniela Marrazzo1 & Rosanna Giovinazzo2
Dipartimento di Storia Moderna e Contemporanea (DISMEC), Laboratorio di Archeologia e Storia Ambientale (LASA), Universit degli Studi di Genova, via Balbi 6, I-16126 Genova 2 Istituto di Storia della Cultura Materiale (ISCUM), Laboratorio di Archeozoologia, via di Sottoripa 129R/5, I-16124 Genova alessandra.spinetti@alice.it
1

___________________________________________________________________________________ Abstract This study aims to analyse the role played by animal species in the economy of the settlement during the Final Bronze Age. During the excavations carried out at the castrum of S. Antonino a significant number of animal bones were collected. The 950 identified animal bones have been recovered in ditches that are likely to have been used for discarding food. Sheep/goat are the most represented animals, followed by pigs and cattle. Among the domestic species, the dog is also present, while wild animals are less frequent and are represented by few elements of red deer and hare. The exploitation of marine resources seems to be scarce. Data were collected on species, skeletal parts, age at death, height at withers and method of butchery. [Archaeozoological investigations on the faunal remains from the site of S. Antonino (Savona): the Final Bronze Age occupational levels.] Keywords: Bronze Age, Faunal remains, Economy. ___________________________________________________________________________________ Indagini archeologiche Linsediamento fortificato di S. Antonino posto su unaltura in Pietra del Finale (un calcare miocenico modellato da intensi fenomeni carsici), con un culmine a 287 m s.l.m., situata nellimmediato entroterra di Finale Ligure in provincia di Savona (Boni, 1971). A partire dal luglio del 1982 sono state intraprese una serie di campagne di scavo dirette da Tiziano Mannoni e Giovanni Murialdo, ultimatesi nel 1998. Gli scavi archeologici sono stati effettuati, per la maggior parte delle US protostoriche con fasi occupazionali, mediante setacciatura con griglia di 2 mm. Questo approccio ha consentito di recuperare un numero elevato di reperti anche di dimensioni molto ridotte. Lelevata alcalinit del terreno ha consentito, inoltre, una buona conservazione dei resti ossei animali. La fauna stata studiata, in una fase preliminare, da Rosanna Giovinazzo che ha analizzato anche i resti ossei relativi alla fase tardo antica ed altomedievale (Giovinazzo, 2001). Uno dei dati pi eclatanti emerso durante le campagne di scavo a S. Antonino costituito dallindividuazione di una prolungata fase occupazionale relativa alla tarda et del bronzo. Questa inattesa scoperta colloca, attualmente, il sito di S. Antonino in una posizione rilevante nel quadro dellarcheologia della protostoria ligure, sia per la quantit e tipologia dei reperti recuperati, sia per lesiguit di scavi incentrati su questo periodo fino ad ora condotti nella regione. La conformazione della roccia di base del sito e la sovrapposizione dellinsediamento tardo antico, localizzato nell area D, hanno consentito una buona conservazione della stratigrafia protostorica in una situazione orografica decisamente sfavorevole, che in altre aree indagate ha comportato un ampio degrado dei terreni in posto. stato quindi possibile evidenziare una prolungata sequenza stratigrafica, datata tra il XV e gli inizi del X sec. a.C. (questa cronologia stata ottenuta tramite analisi al 14C eseguite su carboni prelevati da un livello stratigrafico superficiale, US 104, I taglio, e da uno profondo, US 104, IV taglio, relativi ad un suolo a lento accrescimento con una sovrapposizione di battuti fortemente antropizzati).

A. Spinetti et alii / Annali dellUniversit di Ferrara, Mus. Sci. Nat. volume speciale (2007)

Lo studio dei materiali ha fornito levidenza di una pi intensiva frequentazione nellet del bronzo recente (XIII a.C.) ed una successiva contrazione delle tipologie riconducibili al Bronzo finale. Nellarea D, scavata integralmente fino a raggiungere la roccia di base, non sono emerse strutture riconducibili a spazi abitativi conclusi. La fitta sequenza di buche da palo rinvenute nei livelli duso non consente la sicura identificazione di eventuali abitazioni presenti nellarea. Lipotesi interpretativa si orientata nel senso di un terrazzamento naturale impostato su un gradone roccioso utilizzato in modo intensivo e in un periodo prolungato, quale spazio di sosta e di attivit antropiche. Esso non era occupato da abitazioni ma forse da recinti, ai quali potrebbero essere ricondotte almeno alcune delle buche da palo individuate. Eventuali capanne potevano sorgere nello spazio soprastante sulla pendice dellaltura, sulla parte sommitale o di crinale (Murialdo, 2001). Le forme ceramiche individuate si riferiscono a produzioni locali in argille poco depurate, modellate a mano e cotte in ambienti scarsamente controllati. Tra queste sono attestate forme con decorazione degli orli e delle pareti incise o ad impressioni, o con cordoni ingrossati ad impronte digitate, prevalentemente destinate alla conservazione degli alimenti. A queste si associano forme pi rare in ceramica mediamente depurata o fine riconducibili ad una facies culturale corrispondente allet del bronzo recente (XIII-inizi XII sec. a.C.) e che trovano confronti con altri siti liguri (grotta della Pollera, Zignago, Vezzola, Camogli) e, pi in generale, con larea padana nord occidentale e con la Francia sud-orientale. Di particolare interesse risultano una serie di oggetti rinvenuti nellarea D: spilloni in bronzo di diversa tipologia, fusaiole, un rocchetto in terracotta ed, infine, una serie di punte di frecce con codolo in lamina di bronzo. La fauna Bench i reperti archeozoologici si presentino, essenzialmente, come fonti sui consumi carnei fornendo, quindi, una visione parziale del tipo di economia prevalente nella zona, il loro studio pu procurare importanti indicazioni sul sistema ecoculturale che li ha prodotti. Essi, inoltre, consentono una buona valutazione delle diverse risorse carnee e casearie nellalimentazione, cio sulla qualit dei regimi alimentari proteici e, parzialmente, sulla variet della dieta.

S. Antonino (Savona) Fauna domestica Vertebrati mammiferi Bos taurus L. Sus domesticus/Sus scrofa L. Ovis aries L./ Capra hircus L. Canis familiaris L. Fauna selvatica Vertebrati mammiferi Cervus elaphus L. Lepus europaeus Pallas Uccelli Indet. Malacofauna marina Ostrea edulis Acanthocardia tubercolata Ossa determinabili Ossa indeterminabili TOTALE Tab. 1. Specie animali identificate.

Periodo P/R: XIV-X sec. a.C.

225 313 378 6

24 33 40 -

1 2

11 13 950 5.947 6.924

1 2 14 86

Lo studio dei resti ossei animali provenienti da S. Antonino di Perti si propone come unimportante occasione per ottenere nuovi dati circa lapprovvigionamento carneo e le pratiche di allevamento in uso durante le due principali fasi di occupazione: quella protostorica, illustrata in questa sede, e quella tardoantica e altomedievale. I resti ossei della tarda et del bronzo presentano unalta percentuale di frammentazione, pari all86%, e, conseguentemente, un numero relativamente basso di ossa determinate (Tab. 1). Il campione relativo al periodo di frequentazione protostorica dellaltura e del successivo abbandono costituito da un totale di 6.924 reperti ossei, in maggioranza provenienti dallarea D, di cui 950 determinati. Linsieme comprende anche gli unici resti di cane recuperati durante lintero scavo, alcuni frammenti di cervo, lepre e malacofauna marina. I resti di mammiferi rinvenuti costituiscono il 94% dei frammenti ossei identificati e la maggior parte di questi appartiene alle specie domestiche di allevamento: ovicaprini, suini e bovini I reperti faunistici esaminati rivelano solo eccezionalmente segni di bruciatura ed anche le tracce di macellazione sono piuttosto rare. Le ossa degli ovicaprini sono quelle maggiormente rappresentate. In generale, tutti i distretti scheletrici sono presenti, suggerendo che gli animali venissero allevati in loco (Tab. 2).

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A. Spinetti et alii / Annali dellUniversit di Ferrara, Mus. Sci. Nat. volume speciale (2007)

S. Antonino (Savona)
Elementi Gruppo I scapola omero bacino femore Gruppo II radio ulna tibia rotula fibula Gruppo III cavicchie Gruppo IV mandibola mascella denti sciolti Gruppo V metacarpo astragalo calcagno metatarso falangi metapodi ossa isolate carpo/tarso % gruppi I II III IV V Bos taurus 1 9 5 3 6 4 4 4 102 7 6 3 8 36 15 12 Ovis aries / Capra hircus 2 15 6 3 3 2 14 1 3 5 2 251 4 15 5 4 25 8 10 Sus domesticus / Sus scrofa 10 11 6 10 7 14 7 9 2 122 15 6 7 5 48 12 22

Fig. 1. Ovicaprini: localizzazione delle tracce di macellazione (disegno modificato da A. Spinetti, tratto da Barone, 1976).

8,0 6,2 1,8 45,3 38,7

6,9 5,3 0,8 68,2 14,2

11,8 8,9 42,6 36,7

Tab. 2. Bovini, ovicaprini e suini: distribuzione degli elementi scheletrici.

I dati desumibili dalla saldatura delle ossa lunghe (Silver, 1969) e dalleruzione e consumo dei denti mandibolari (Silver, 1969; Payne, 1987) rivelano che la maggior parte degli individui veniva uccisa sia in et adulta, tra il secondo ed il terzo anno di vita, momento in cui si ottiene la maggior quantit di carne con bassi costi di produzione, che dopo il quarto anno, cio dopo aver sfruttato lanimale per ricavarne la lana. Le pecore risultano numericamente superiori alle capre. Laltezza al garrese delle pecore, ricavata dalla lunghezza totale degli astragali, segnala una media di 554 mm (Teichert, 1975; von den Driesch, 1976). Le tracce di macellazione sono state rinvenute sulle porzioni distali del radio, metacarpo, tibia e metatarso (Fig. 1). I suini sono quantitativamente e qualitativamente ben rappresentati nel campione in esame. I dati ottenuti tramite lesame della saldatura epifisaria indicano che gli animali erano

preferibilmente macellati in et sub-adulta, intorno ai 36 mesi (Silver, 1969). Lanalisi del grado di consumo dei denti ha evidenziato un livello piuttosto importante di consumo dello smalto della tavola masticatoria anche in animali stimati ancora in et giovanile, secondo i tempi di eruzione dei denti (Grant, 1982). Laccelerazione del ritmo di usura potrebbe essere imputata ad unalimentazione pesantemente condizionata dai frutti delle limitrofe boscaglie e dal probabile allevamento allaperto, in un ambiente boschivo idoneo, considerata la presenza di querce e lecci. Ancora una volta, tutte le parti dello scheletro risultano equamente rappresentate, indice di un allevamento e macellazione operate nel sito (Tab. 2). La ripartizione sessuale, effettuata sulla morfologia dei canini, ha indicato una maggiore presenza di scrofe, a differenza di quanto rilevato per le fasi successive, che annoverano, invece, tra gli animali macellati, quasi esclusivamente verri. Per quello che riguarda il calcolo dellaltezza al garrese, effettuato sulla lunghezza totale degli astragali, la misura media ottenuta di 657 mm (Teichert, 1969; von den Driesch, 1976). I frammenti di ossa di bovino sono stati rinvenuti in quantit minore rispetto agli ovicaprini e ai suini. I dati relativi allet di morte indicano come, generalmente, gli animali superassero i quattro anni di et e di come pochissimi venissero macellati allo stadio giovanile. Questo lascia supporre uno sfruttamento degli individui per i prodotti secondari nonch per la forza lavoro. Alcune scapole presentano tracce di macellazione cos come alcuni metapodi (Fig. 2). La presenza del cane limitata ad un solo individuo rappresentato da sei frammenti ossei. La fauna selvatica testimoniata, invece, da due scapole di cervo e due metatarsi di lepre.

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A. Spinetti et alii / Annali dellUniversit di Ferrara, Mus. Sci. Nat. volume speciale (2007)

Fig. 2. Bovini: localizzazione delle tracce di macellazione (disegno modificato da A. Spinetti, tratto da Barone, 1976).

Conclusioni Il materiale proveniente dai livelli di occupazione della tarda et del bronzo costituito, prevalentemente, dai resti delle tre principali specie domestiche di allevamento, ovicaprini, suini e bovini che sembrano essere state allevate in loco (Tab. 2). I bovini venivano utilizzati, con buona probabilit, come forza lavoro e macellati dopo i quattro anni, al termine del loro ciclo produttivo. Lanimale destinato espressamente al consumo della carne era, invece, il maiale, probabilmente allevato allo stato brado (le misurazioni effettuate sulle ossa lunghe sembrerebbero confermarlo), e
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macellato tra il secondo ed il terzo anno di vita. Gli ovicaprini, analogamente a quanto affermato per i bovini, venivano, verosimilmente, sfruttati per la carne ed anche per la lana. In questa fase la pratica della filatura risulta, infatti, ampiamente attestata da un numero significativo di fusaiole e da un rocchetto in terracotta. La presenza molto rara di segni di combustione potrebbe suggerire un metodo di cottura basato sulla bollitura della carne ancora connessa a parti ossee, oppure il completo distacco dal supporto scheletrico prima dellarrostimento. La caccia, la pesca e la raccolta di molluschi marini hanno lasciato poche testimonianze e non sembrano rappresentare unimportante risorsa alimentare. Pochi frammenti di molluschi marini sono le uniche testimonianze dellesistenza di contatti fra il sito e la costa (Tab. 1). Nel sito di S. Antonino sembra, quindi, essere testimoniata uneconomia alimentare ampiamente basata su attivit pastorali, nonch sullallevamento dei suini, probabilmente mantenuti allo stato brado.
Ringraziamenti Desideriamo ringraziare il prof. Tiziano Mannoni per aver messo a nostra disposizione la campionatura faunistica oggetto di questo studio ed il prof. Giovanni Murialdo per i dati di scavo.

bronzo. In: Mannoni T. & Murialdo G. (a cura di), S. Antonino, un insediamento fortificato nella Liguria bizantina, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Collezione di Monografie Preistoriche ed Archeologiche, 73-81. Payne S. (1987): Reference codes for wear states in the mandibular cheek teeth of sheep and goats. Journal of Archaeological Science, 14: 609-614. Silver I. (1969): The ageing of domestic animals. In: Brothwell D. & Higgs E. (eds.), Science in Archaeology, Thames & Hudson, London, 283-302. Teichert M. (1969): Osteometrische Untersuchungen zur Berechnung der Widerristhhe bei vor- und frhgeschichtlichen Schweinen. Khn-Archiv, 83: 37292. Teichert M. (1975): Osteometrische Untersuchungen zur Berechnung der Widerristhhe bei Schafen. In: Clason A.T. (a cura di), Archaeozoological Studies, Amsterdam, Oxford, New York, 51-69.

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Analisi funzionale dei manufatti relativi alla filatura e tessitura provenienti dallinsediamento del Bronzo Finale di Fonte Tasca (Archi, Chieti)
Valentina Mistretta
Dipartimento di Scienze archeologiche, sez. di Paleontologia umana, Paletnologia e Etnologia, Universit degli Studi di Pisa, via Santa Maria 53, I-56126 Pisa - valemistretta79@libero.it

___________________________________________________________________________________ Abstract This paper examines the evidences about spinning and weaving from the Late Bronze Age site of Fonte Tasca, composed by spindle whorls, spools and loom weights. A functional analysis of spindle whorls based on the use of Moment of Inertia, which considers mainly the size and the weight of tools, has allowed their influence on the thread production to be underlined. The results of the studies on the spools and the loom weights, which are very numerous in Fonte Tasca, have permitted to formulate some interesting conjectures about their role in the spinning and weaving and to reconstruct the complex activities carried out in the site. [Functional analysis of spinning and weaving artefacts from the Late Bronze Age site of Fonte Tasca (Archi, Chieti).] Keywords: Late Bronze Age, Spinning, Weaving, Moment of Inertia. ___________________________________________________________________________________
Lo scopo del presente lavoro quello di introdurre lutilizzo di formule matematiche da accostare allanalisi tipologica delle fuseruole al fine di proporre un metodo alternativo di analisi della funzionalit dei manufatti, prendendo in considerazione come fattori fondamentali il peso e il diametro. Le fuseruole sono rappresentate a Fonte Tasca da 87 esemplari in terracotta dalla morfologia piuttosto varia (Mistretta 2004, p. 194; Di Fraia 2005, p. 537). Analizzando alcuni siti neolitici italiani, come Fossacesia (Cremonesi, 1973), la Grotta dei Piccioni di Bolognano (Cremonesi, 1965), la Rocca di Rivoli (Barfield & Bagolini, 1976) o la Lagozza (Guerreschi, 1967), possibile seguire una variazione morfologica dal Neolitico finale allet dei metalli, con un passaggio dalla predominanza di forme discoidali piatte o lenticolari a quelle biconiche, piano-convesse e sferiche nella quasi totalit dei siti esaminati. Inoltre, le dimensioni delle fuseruole sembrano diminuire leggermente: in particolare si assiste sempre a una riduzione del diametro, che nelle fuseruole lenticolari e discoidali neolitiche ed eneolitiche si presenta sempre maggiore rispetto agli esemplari di et pi tarda. Anche le fuseruole francesi di epoca neolitica, per le quali si supposto un influsso dallarea settentrionale della penisola italiana, presentano dimensioni molto simili a quelle del Neolitico finale italiano e una sensibile riduzione del diametro col passaggio allet dei metalli (Vaquer, 1975). Purtroppo un confronto pi esauriente tra le dimensioni delle fuseruole neolitiche e quelle delle et successive si scontra con la penuria di dati disponibili in letteratura. Tuttavia emerge la possibilit di considerare la variazione di morfologia delle fuseruole e soprattutto la diminuzione del diametro come indipendenti da tendenze del gusto, ma piuttosto strettamente legate a esigenze di tipo funzionale, ossia il fenomeno potrebbe essere messo in relazione con il tipo di fibre utilizzato, con il tipo di tecnica impiegata (fuso sospeso, impugnato, poggiato a terra) e con il tipo di filo che si desiderava ottenere (semplice, doppio, spesso, sottile). In via di ipotesi potremmo attribuire tali cambiamenti nelle fuseruole, riscontrati nella maggior parte dei siti italiani dal Neolitico allet dei metalli, ad una evoluzione della tecnica di filatura. Appare probabile infatti che le fibre utilizzate per prime siano state quelle lunghe (presenti in quasi ogni tipo di pianta fibrosa, ad eccezione del cotone) in quanto pi facili da filare, dal momento che non necessitano di molte operazioni di preparazione e possono essere ritorte in un filo anche a mano. Le fibre corte invece, che hanno bisogno di essere preparate per poter essere filate, potrebbero essere state utilizzate in seguito, con la creazione di fuseruole adatte. In questo caso si tratterebbe di fuseruole pi leggere e veloci, come appunto le fuseruole biconiche, bitroncoconiche o

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cilindriche tipiche dellet del bronzo. In questa prospettiva, un cambiamento di dimensioni e di morfologia durante le varie fasi di occupazione di un sito testimonierebbe dunque un mutamento del tipo di fibra utilizzata o del tipo di filo prodotto, mentre la compresenza di fuseruole di dimensioni diverse in una medesima fase di occupazione lascerebbe intuire una produzione diversificata di filati. La necessit di realizzare tali manufatti in varie forme potrebbe, inoltre, giustificare lutilizzo predominante, in Italia come in altre aree, della terracotta per la loro produzione. Naturalmente non da escludere la possibilit che le fuseruole venissero realizzate anche con altri materiali, come ad esempio il legno che si conserva con maggiori difficolt. Per mettere in relazione il diametro delle fuseruole con il loro peso viene applicata la formula del momento dinerzia, cio la capacit di un corpo di mantenere costante la sua velocit senza rallentare n accelerare. La formula generale del momento dinerzia (MI) : MI = mr2 dove m indica il peso e r il raggio. Tale formula applicabile solo alle fuseruole di spessore costante, cio quelle discoidali o cilindriche, mentre per le altre morfologie presenti a Fonte Tasca sono state utilizzate le formule relative ai solidi di riferimento che pi si avvicinano alle forme in questione. Osservando la formula del MI notiamo che raddoppiando il peso e mantenendo costante il raggio MI raddoppia, mentre raddoppiando il raggio e mantenendo costante il peso MI quadruplica. Il diametro della fuseruola costituisce dunque il fattore pi importante ai fini del processo di filatura. Una fuseruola con MI maggiore avr una velocit minore ma un tempo di rotazione maggiore (cio si fermer dopo), mentre una con MI minore avr una velocit maggiore ma un tempo di rotazione minore. Questo dato appare importante se posto in relazione al tipo di fibra utilizzata, poich fibre lunghe avranno bisogno di una maggior energia torsionale, mentre quelle corte hanno bisogno di minore torsione. Le fuseruole di Fonte Tasca erano perfettamente in grado di filare sia la lana che le fibre vegetali, in genere pi resistenti alla torsione, ma purtroppo del tipo di fibra utilizzata non abbiamo alcuna testimonianza diretta. Sulla base degli studi condotti sulla fauna in area centro-meridionale e settentrionale, sembrerebbe emergere come dato costante dellet del bronzo un aumento dei caprovini finalizzato allo sfruttamento di prodotti secondari quali latte e lana (DErcole & Cairoli 1998, pp. 214-219). dunque molto probabile che la lana venisse utilizzata come fibra tessile a Fonte Tasca, sebbene non sia da escludere lutilizzo di altre fibre, come ad esempio il lino. Da recenti scoperte effettuate a Cipro, infine, emergerebbe la possibilit di considerare anche lutilizzo di un particolare tipo di seta presente in area mediterranea gi durante il II millennio a.C.1

Lo spessore di una fuseruola rappresenta un altro dato di notevole importanza, poich esso comporta un aumento del peso del manufatto che si ripercuote sulla sua frequenza di rotazione e quindi sul suo MI. Lo spessore agisce diversamente a seconda del suo posizionamento sul raggio della fuseruola: un aumento di spessore in prossimit dellasse di rotazione produrr un aumento di velocit della frequenza di rotazione, mentre un aumento presso la periferia causer un rallentamento. Nel caso di fogge discoidali piatte di spessore costante questo parametro non viene preso in considerazione, mentre appare essenziale nel caso di forme biconiche o bitroncoconiche, specialmente in presenza di una carena a spigolo vivo. Questo punto appare di grande importanza nel momento in cui, volendo mantenere costante il diametro e il peso della fuseruola si vuole aumentare la sua frequenza di rotazione. Lapplicazione del MI permette di riscontrare in maniera molto veloce la capacit di filatura delle fuseruole, consentendo di comparare in modo semplice i valori ottenuti su un campione anche molto consistente di manufatti senza dover per ognuno confrontare peso e diametro. Dopo lapplicazione della formula agli esemplari rinvenuti a Fonte Tasca stato possibile suddividere le fuseruole in base al valore di MI riscontrato. Prendendo 100 come valore arbitrario di riferimento, notiamo che le fuseruole con MI inferiore a 50 rappresentano il 94% (45), quelle con MI compreso tra 50 e 100 il 4% (2) mentre quelle con MI superiore a 100 solo il 2% (1). evidente che un MI basso indicher una frequenza di rotazione molto alta ma un tempo di arresto breve e dunque la produzione di fili stretti e sottili, mentre un MI alto indicher una frequenza di rotazione bassa e un tempo di arresto pi lungo e dunque produzione di fili lenti e spessi. Poich a Fonte Tasca unalta percentuale delle fuseruole ha un MI molto basso (compreso tra 3 e 50), possiamo ritenere la maggior parte delle fuseruole fosse utilizzata per la realizzazione di fili molto sottili e forse si pu anche ipotizzare che lintero ciclo di lavorazione delle fibre fosse finalizzato quasi esclusivamente alla produzione di un certo tipo di filato destinato o a tessuti particolarmente raffinati o ad attivit speciali di cucito e ricamo. Soltanto una fuseruola presenta un MI nettamente superiore alle altre (MI=425). Per questa fuseruola si pu ragionevolmente supporre un utilizzo finalizzato al raddoppiamento di due o pi fili per la produzione di fili molto spessi oppure per la filatura di fibre molto resistenti. Il diametro di perforazione di questa fuseruola di 0,7 cm, misura peraltro presente anche su altri esemplari pi piccoli. Ci testimonierebbe che il medesimo fuso poteva essere utilizzato con fuseruole di peso e diametro diverso per realizzare fili di diverso spessore e consistenza. La presenza di poche fuseruole con MI maggiore di 50 potrebbe collegarsi alla necessit di ottenere dei fili di maggiore spessore in relazione a particolari

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esigenze. possibile ad esempio che, al fine di ottenere fili pi spessi e resistenti da sistemare sul telaio come ordito, si ricorresse a fuseruole pi grandi e pesanti, mentre per i fili destinati alla trama si utilizzassero fuseruole piccole e leggere. I rocchetti rinvenuti a Fonte Tasca sono finora 121 esemplari (Mistretta 2004, p. 194; Di Fraia 2005, p. 537) tutti in terracotta e ripartiti in base alla morfologia delle teste, che possono essere piane, lievemente concave, a calotta, leggermente convesse, a sezione trasversale triangolare. Il ritrovamento di un numero cos cospicuo di rocchetti in materiale fittile costituisce uneccezione nel panorama italiano, giacch essi si presentano davvero sporadicamente non solo in Abruzzo ma anche nel resto della penisola. La presenza di rocchetti in materiale fittile testimoniata in altri siti, come ad esempio nel sito eneolitico di Maccarese con ben 38 esemplari (Rinaldi & Ciarico 2002, p. 133) e poi allinterno di altri insediamenti del Bronzo finale come Frattesina (Bellintani, 1992), Fossa 5 (Zanini 1998, p. 140), Stagno (Zanini 1998, pp. 114-115), Poggio del Molino (Zanini 1998, p. 130), Scarceta (Poggiani Keller, 1999), Sorgenti della Nova (Negroni Catacchio, 1981; 1995), Madonna degli Angeli a Tocco Casauria e Martinsicuro (Di Fraia, 1996; Fratini, 1997); tuttavia il numero di manufatti presenti in ogni singolo sito veramente esiguo e nettamente inferiore a quello di Fonte Tasca. Inoltre molti siti che presentano tracce di attivit tessile ne sono totalmente sprovvisti. possibile che lo scarso numero di rocchetti sia dovuto pi che altro alla deperibilit di alcune materie prime: essi infatti potevano essere facilmente prodotti in legno o in canna, materiali questi che si conservano con molta difficolt, e quindi il loro numero potrebbe essere sottostimato proprio per tale motivo. probabile che i rocchetti assolvessero pi funzioni nel campo dellartigianato tessile e certamente una comunit che praticava tali attivit non poteva esserne sprovvista. Il loro utilizzo pu essere associato al lavoro sul telaio, dal momento che potevano essere utilizzati come spola per facilitare linserimento dei fili di trama tra i fili di ordito. A questo proposito va segnalato che moltissimi esemplari presenti a Fonte Tasca possiedono dimensioni molto piccole, che potrebbero ben accordarsi con lipotesi di un utilizzo sul telaio, giacch dimensioni maggiori avrebbero costituito un intralcio al lavoro; daltra parte lesigua quantit di filo avvolgibile in tali rocchetti sembrerebbe compatibile pi con inserti limitati che con la costruzione dellintera trama. Infatti durante il Bronzo finale appaiono i primi esempi di tessuti con armatura a diagonale e con applicazione di motivi decorativi; possibile pertanto che con la specializzazione della decorazione su tessuto fossero necessari pi rocchetti per tenere a portata di mano fili di diverso colore o materiale in modo da realizzare disegni colorati sui tessuti (Migliavacca 1993, p. 111). Unaltra interpretazione pu essere formulata grazie al

ritrovamento nel nostro sito di alcuni esemplari di dimensioni maggiori rispetto alla maggioranza dei rocchetti. In questo caso si potrebbe pensare a supporti per lo stoccaggio del materiale filato, che evidentemente a Fonte Tasca doveva essere in quantit notevole, come testimonia lalto numero di fuseruole. Oltre a queste due ipotesi possiamo proporre un utilizzo molto simile a quello delle nostre odierne spagnolette (o sigarette): oltre alle dimensioni di molti rocchetti, abbastanza simili a quelle dei moderni supporti, la quantit, generalmente esigua, di filo arrotolabile sui rocchetti pu far pensare ad un utilizzo per attivit di cucito, che peraltro appaiono indispensabili nellambito di unampia produzione di tessuti, che ovviamente necessita non solo di ritocchi ma soprattutto di giunture per realizzare capi pi ampi. Inoltre particolari motivi decorativi potevano essere applicati anche dopo che il tessuto era stato tolto dal telaio, tramite il ricamo o il cucito o lapplicazione sul tessuto di altri materiali (Cataldi et alii, 2006). A Fonte Tasca sono stati rinvenuti 114 esemplari di pesi da telaio (Mistretta 2004, p. 194, Di Fraia 2005, p. 537), tutti di forma troncopiramidale, ad eccezione di un unico esemplare a forma di subparallelepipedo. I pesi da telaio costituiscono la prova archeologica dellutilizzo del telaio verticale dove i pesi venivano legati tramite un anello di corda o di metallo a gruppi di fili di ordito al fine di determinare unadeguata tensione. Il numero di fili per ciascun peso determina anche il tipo di tessuto prodotto, pi o meno fitto. Sebbene il ritrovamento di pesi testimoni in maniera certa la tessitura con questo tipo di telaio, non si pu escludere la possibilit che venissero utilizzati anche altri tipi di telai che non lasciano alcuna traccia, magari per la produzione di tipi diversi di tessuti, come ad esempio il telaio orizzontale, quello verticale a due rulli o il telaio a tensione per la realizzazione di tessuti di piccole dimensioni. I pesi di Fonte Tasca si presentano fortemente standardizzati nel tipo troncopiramidale il quale costituisce la tipologia caratteristica del Bronzo finale in Abruzzo come in gran parte dItalia. La presenza costante di tale morfologia, che rimarr predominante anche in epoca storica, lascia intuire che la scelta di una forma al posto di un altra celi particolari esigenze di tipo funzionale. In effetti, da un primo parziale confronto tra pesi da telaio di fogge diverse presenti in vari siti italiani sembrerebbe che il tipo troncopiramidale sia sempre di dimensioni minori rispetto agli esemplari di forma discoidale o cilindrica (Mistretta 2004, p. 189). Purtroppo lesiguit dei dati a disposizione non mi ha permesso di analizzare il problema in maniera sistematica. Analizzando il peso, che costituisce il dato pi importante per questi manufatti notiamo che esso si concentra essenzialmente tra i 50 e 80 g. Il numero di pesi da telaio con peso superiore a 100 di soli due esemplari, ma il peso di alcuni frammenti, (piuttosto consistente) fa ipotizzare che il numero di manufatti

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1500 1000 500 0


S.Rosa di Poviglio Forno del Gallo Lagozza Lucone Ledro Fonte Tasca massimo minimo

Fig. 1. Peso minimo e massimo riscontrato sui pesi da telaio

con peso superiore a 100 dovesse essere superiore. Tenendo conto del peso dei manufatti possiamo ipotizzare che il numero di fili per ciascun peso fosse piuttosto basso (poich altrimenti i fili non avrebbero ricevuto adeguata tensione) e che, quindi, i tessuti prodotti fossero poco fitti. Le dimensioni e il peso dei manufatti di Fonte Tasca, confrontati con altri siti anche non coevi, offrono risultati molto interessanti2, come mostra il grafico nella Fig. 1.
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1

I pesi di Fonte Tasca presentano un valore ponderale notevolmente inferiore a quello di tutti gli altri pesi presi in considerazione e questo pu indicare che la scelta del peso fosse fortemente influenzata dal tipo di tessuto che si voleva produrre e dal tipo di fibre utilizzate. Infatti nel caso di fili molto sottili, come quelli prodotti dalle nostre fuseruole, i pesi di Fonte Tasca sembrerebbero i pi adatti a tesserli. Per i manufatti di peso pi consistente ipotizzabile un utilizzo finalizzato alla produzione di stoffe diverse, probabilmente adoperando fili pi spessi. Comunque si pu ipotizzare, al di l del tipo di fibra utilizzata, che a Fonte Tasca si producessero tessuti molto leggeri e raffinati, probabilmente destinati non solo al consumo locale ma anche allesportazione verso altri centri.
Ringraziamenti Ringrazio il prof. Tomaso Di Fraia che con i suoi preziosi suggerimenti ha contribuito alla realizzazione di questo lavoro.

Di Fraia T. (2005): Fonte Tasca. Rivista di Scienze Preistoriche, Notiziario, LV: 537. Fratini T. (1997): La Protostoria nella Valle del Pescara. Museo delle Genti dAbruzzo, II (25). Guerreschi G. (1967): Il sito della Lagozza di Besnate e il Neolitico superiore padano. Tipografia Editrice Antonio Noseda, Como. Migliavacca M. (1993): Lo spazio domestico nellet del ferro. Preistoria Alpina, 29: 110-112. Mistretta V. (2004): Fuseruole, rocchetti e pesi da telaio di Fonte Tasca (Archi): un contributo allindividuazione di metodi e prodotti della filatura e della tessitura nellet del bronzo finale. Origini, Preistoria e protostoria delle civilt antiche, XXVI: 171-223. Negroni Catacchio N. (1981): Sorgenti della Nova. Una comunit protostorica e il suo territorio nellEtruria meridionale, Roma. Negroni Catacchio N. (1995) : Sorgenti della Nova. Labitato del Bronzo finale. Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria, Firenze. Poggiani Keller R. (1999): Scarceta di Manciano (Gr). Un centro abitativo e artigianale dellet del bronzo sulle rive del Fiora, Manciano. Rinaldi M.L. & Ciarico A. (2002): Definizione dei gruppi morfologici. In: Manfredini A. (a cura di), Le dune, il lago, il mare, Firenze: 132-133 Vaquer J. (1975) : La cramique Chassenne du Languedoc. Atacina, 8. Zanini A. (1998): Stagno. In: Zanini A (a cura di), Dal Bronzo al Ferro. Il II millennio a.C. nella Toscana centro-occidentale, Livorno, 103-115.
Polpenazze (Bazzanella & Mayr, 1999). Si tratta di reperti databili allet del bronzo media o recente, e dunque non coevi al nostro sito, ma sono tra i pochi di cui disponiamo per un confronto. Nellabitato piccolo di S. Rosa di Poviglio (BM) i reperti presentano un peso che varia da 290 a 1300 g, nellabitato grande invece (BR) il peso dei manufatti varia dai 1200 ai 1600 g, testimoniando quindi un aumento nel peso dei manufatti e un probabile cambiamento nel processo di tessitura. A Forno del Gallo a Beneceto il peso stabile tra i 600 e gli 800 g, mentre a Lucone di Polpenazze tra i 500 e i 950 g.

Nellisola di Cipro, allinterno del complesso industriale cipriota di Pyrgos-Mavroraki, il team della missione archeologica dellIstituto per le tecnologie applicate ai beni culturali (Itabc) del Consiglio Nazionale delle Ricerche, diretto da Maria Rosaria Belgiorno, ha scoperto alcune fibre di seta tortricida, un ritrovamento che attesta la conoscenza di questa tecnica tessile in ambiente mediterraneo gi allinizio del II millennio a.C., quando la seta vera e propria, quella del lepidottero Bombix mori, era prodotta e lavorata solo in Cina (Belgiorno, 2005). 2 I pesi da telaio esaminati provengono dalle terramare di S. Rosa di Poviglio (RE), di Forno del Gallo a Beneceto (PR) e da Lucone di

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La caccia nellItalia preromana: tra sussistenza e prestigio


Sara Cattabriga & Antonio Curci
Dipartimento di Archeologia, Universit degli Studi di Bologna, sede di Ravenna, via San Vitale 30, I-48100 Ravenna s.cattabriga@comune.fe.it, antonio.curci@unibo.it

___________________________________________________________________________________ Abstract During human evolution, the primary significance of hunting has enriched itself by new aspects since the Neolithic age, after mammals domestication, when hunting lost its original economic subsistence role. In fact, in ancient societies, as social organisation complexity grew, the importance of hunting decreased. Not even the efficacy of weapons, owing to metal introduction, increased the economic weight of hunting that will become a prerogative of the nobility. Celtic and Etruscan populations, for example, hunted only for power and prestige. Before the Roman Period, in Northern Italy, the peculiarity of the site of Monte Bibele, where hunting remains an important activity also for alimentary aims, induces to search out the real role of chase for these communities who lived in the same geographical district, between economic choices, environment's conditions, social and cultural appearances. [Hunting in Pre-Roman Italy: between subsistence and prestige.] Keywords: Archaeozoology, Wild mammals, Hunting strategies. ___________________________________________________________________________________
Sin dai tempi pi remoti della storia del genere umano, la caccia rivest un ruolo fondamentale nel procacciamento delle risorse carnee e nel garantire l'apporto proteico necessario alla sopravvivenza. Questo significato originario per, nel corso del tempo, si arricchito di nuovi aspetti: con l'avvento della domesticazione dei mammiferi, infatti, le pratiche venatorie persero il ruolo centrale che detenevano nella sussistenza dell'uomo paleolitico. A seguito della rivoluzione neolitica, che trasform radicalmente leconomia delle comunit antiche, la caccia diminu progressivamente e talvolta scomparve completamente, soprattutto nelle societ che svilupparono un'organizzazione sociale ed insediamentale complessa. In et protostorica, inoltre, nonostante le tecniche di predazione avessero subito importanti innovazioni, quali lintroduzione del cavallo domestico e la diffusione dei metalli, che migliorarono l'efficacia delle armi, e nonostante la selvaggina continuasse ad abbondare negli ambienti circostanti, l'importanza economica della caccia risulta sempre piuttosto marginale. L'aumento della complessit sociale e culturale nelle comunit protostoriche influenz probabilmente la disomogenea disponibilit di armamenti allinterno delle comunit, in modo che l'attivit venatoria divenisse appannaggio delle sole classi pi elevate e che sembrasse donare prestigio a coloro che vi si cimentavano. Dalla letteratura non emergono dettagliatamente le abitudini cinegetiche delle popolazioni italiche preromane: possiamo comunque supporre che queste avessero sviluppato una buona attitudine alla caccia, nonostante non contribuisse pi da tempo al sostentamento delle comunit (Anderson, 1985; Galloni, 2000). Per quanto riguarda gli Etruschi, in una recente revisione della faune rinvenute in Etruria propria (De Grossi Mazzorin, 2006), stato evidenziato come lattivit venatoria venisse praticata soprattutto nei piccoli centri come San Giovenale e Gran Carro, mentre fosse praticamente inconsistente nella documentazione dei centri pi grandi come Cerveteri, Roselle o Populonia: il cervo e il cinghiale erano le prede maggiormente cacciate anche se, in questo periodo, si attesta anche la caccia alla lepre e ai volatili. Probabilmente per questa popolazione, la caccia rappresentava un elitario esercizio fisico, un privilegio esclusivo riservato al ceto aristocratico, del quale possediamo testimonianze in ambito funerario, ma anche nella produzione artigianale, che rappresentano scena di caccia ideali ed eroiche e sembrerebbero celebrare il ruolo del signore etrusco. Si pu dedurre, per frequenza di rappresentazione, che l'animale "preferito" fosse il cinghiale, seguito dal

S. Cattabriga & A. Curci / Annali dellUniversit di Ferrara, Mus. Sci. Nat. volume speciale (2007)

cervo; la caccia "leggera" ai volatili era anch'essa comune, mentre gli strumenti utilizzati maggiormente erano l'arco, la mazza, lo spiedo e l'ascia. Si praticava l'attivit venatoria quasi esclusivamente in gruppo, soprattutto se questa era indirizzata alla cattura di cinghiali, a piedi ma anche col carro e spesso con laiuto dei cani (Camporeale, 1984). Per ci che ci noto sui Celti transpadani, invece, si pu affermare che fra le prede pi ambite vi fossero le lepri, i cervi e i cinghiali: soprattutto la caccia alla lepre era quasi sicuramente una necessit per proteggere i raccolti nei campi agricoli, spesso attaccati da questa specie; anche la caccia ai cervidi per limitarne la popolazione, era frequente presso i Celti, poich la prolificit di queste specie poteva compromettere le colture agricole. Per quanto riguarda la caccia al cinghiale, notevolmente rappresentato nellarte celtica come simbolo di forza e di potere, attestata minimamente e non essenziale alla sussistenza. Gli altri animali selvatici come il lupo, i felini, lorso, la volpe ecc. sono scarsamente rappresentati ma dovevano essere necessari per il rifornimento di pellicce e di denti per i monili. Le fonti sui Celti ci rivelano che gli strumenti maggiormente utilizzati per la caccia erano spiedi, spade, coltelli, arco ma anche trappole e reti (Galloni, 2000; Mniel, 1987). Queste ultime erano spesso usate per la caccia alla lepre, che era considerata meramente alimentare e
Cavallo

quindi di tipo servile, mentre solitamente l'attivit venatoria, soprattutto indirizzata ai grandi mammiferi, doveva avere la stessa importanza della guerra, cui era associato anche il prestigio sociale, poich costituiva uno strumento nobilitante, di visibilit all'interno della societ celtica (Galloni, 2000). Lo storico latino Arriano scrisse: Coloro fra i Celti che cacciano sono fortunati e ricchi, non cercano cibo ma il nobile piacere (Cynegeticus, 3, 1). Dal mondo greco alcune fonti, come Senofonte, informano che nella tradizione ellenica gi a partire da tempi molto antichi, la caccia si trasforma da pratica ad arte: l'aggressivit e l'istinto si trasformano in saggezza formata da conoscenze e regole e il diletto acquisisce il posto delle necessit; ma la caccia doveva possedere un ruolo importante anche dal punto di vista del prestigio culturale che donava (Cinegetico, XII). L'interesse particolare per un approfondimento relativo al ruolo dell'attivit venatoria presso le comunit di et preromana sorto esaminando i dati sulle faune rinvenute nel sito etrusco-celtico di Monte Bibele, in provincia di Bologna, databile tra il IV ed il II sec. a.C., oggetto di studio da qualche anno (Curci et alii, 2000; Cattabriga, 2002; Curci & Cattabriga, 2005; Curci et alii, 2006). Il massiccio di Monte Bibele si colloca tra le valli dei fiumi Idice e Zena, sulla sua sommit si trova labitato, denominato pi precisamente Pianella di Monte Savino, costruito su
Altri mammiferi selvatici Ovicaprini Cinghiale Capriolo

Maiale

% NR

Barchessone Cappello (MO) Baggiovara (MO) Bologna (via Santa Caterina) Cabriolo (PR) Casale di Rivalta (RE) Castelrotto (VR) Colognola (VR) Forcello (MN) Gradisca (GO) Marzabotto (BO) Mirandola - Miseria Vecchia (MO) Monte Bibele (BO) Montereale (PN) Oderzo (PD) Padova - Largo Europa, area 1000 Padova - via dietro Duomo, fase V Pozzuolo (UD) Santorso (VI) Spina (FE) Spina (FE) Saggio A Stufels (BZ) Vadena (BZ) Verucchio (RN)

2,9

43,1 55,0 54,0

14,9 15,0 22,0 25,1 31,0 30,1 24,0 22,0 21,5 21,0 35,0 22,3 30,0 25,7 12,8 36,8 21,0 19,2 15,0 14,9 47,1 42,6 15,2

27,6 30,0 24,0 40,8 32,0 46,1 34,4 7,4 46,0 19,0 14,0 11,9 36,0 41,4 38,4 26,5 39,3 54,5 20,0 16,1 34,1 36,6 46,6

3,4

2,9

4,0

1,1

1,3 0,4 2,4 0,6 1,0

0,5 0,4 0,2 0,1

27,2 37,0 21,3 31,8 68,4 28,0 60,0 35,0

5,1 0,1 2,6 1,0 6,0 1,5 0,5 1,4 3,6 1,4 2,5 6,0 11,1 2,0 3,4 4,9 0,1 5,4 2,3 0,1 0,5 2,0 2,9 5,5 3,1 1,2 0,6 1,7 0,2 0,3 0,1 1,3 1,6 3,5 0,6 1,2 0,4 0,1 0,8 1,1 2,0 2,0 1,0 2,0 1,8 0,5 1,7 0,5 0,8 2,0 0,5 0,2 0,5 0,1 0,1 0,5

1,2 2,0 1,7 5,4 0,4 3,0 2,0 0,8 1,9 0,5

0,3 0,5 1,5 1,0 0,1 0,4 0,2 0,4 2,3 3,2

48,6 28,5 25,7 33,5 34,7 35,8 17,9 50,0 59,2 14,1 15,2 32,4

Tab. 1. Percentuali del numero dei resti dei siti dell'Italia settentrionale preromana.

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Uccelli

Rettili

Cervo

Asino

Cane

Pesci

Bue

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terrazzamenti per unestensione di circa 7000 mq, con strutture in muratura e un sistema stradale complesso (Vitali, 1983). In questo sito, nonostante l'economia di sussistenza sia fondata principalmente sull'allevamento delle specie domestiche, una discreta percentuale di resti (16,4% NR, 20,9% NMI) appartiene ad animali selvatici, con notevole variet di specie caratteristiche dell'ambiente montano-boschivo. Questi valori apprezzabili hanno indotto a riflettere sul loro reale significato, sia dal punto di vista quantitativo sia da quello qualitativo. La prima impressione che la caccia, a Monte Bibele, avesse una posizione di rilievo nell'economia del villaggio, costituendo una delle risorse di sostentamento integrativa, rispetto a quelle derivate dalle specie domestiche, ed essendo rivolta ad una copiosa variet di specie animali. L'abbondanza e la tipologia di tracce di macellazione rinvenute sui resti, non dirette esclusivamente al recupero di pelli o di materia prima, confermano che si tratta di risultati di battute di caccia a scopo alimentare. Considerando i dati relativi alle faune selvatiche di Monte Bibele (Tab. 1) emerge che il cervo, del quale si evidenzia la predominanza di resti postcraniali, accompagnata da un'assenza quasi totale di resti di palco, era lanimale maggiormente cacciato (quasi 12% di tutte le faune), seguito dal cinghiale, dal capriolo e dagli altri mammiferi selvatici caratteristici dellambiente boschivo che circonda il sito, come il lupo, lorso, il gatto selvatico ed il tasso, i cui resti presentano chiare tracce di macellazione che ne confermano lo
Sito Cronologia Cultura Etrusca Etrusca Etrusca Etrusca Etrusca Retica-Etrusca Retica Etrusca Castellieri Etrusca Etrusca Etrusca-Celtica Castellieri Paleoveneta Paleoveneta Paleoveneta Paleoveneta Paleoveneta Greco-Etrusca La Tene Retica Etrusca

sfruttamento alimentare. Questa particolare importanza economica della caccia a Monte Bibele, potrebbe essere interpretata come una sorta di anomalia nell'Italia settentrionale preromana, dove, pur essendo presenti contesti non dissimili dal punto di vista ambientale, la caccia svolge quasi sempre un ruolo marginale. Prendendo in esame, infatti, gli altri siti presenti in letteratura relativi al settentrione della penisola nell'et del ferro, che variano tra loro per complessit insediative, tipologia culturale delle popolazioni e contesti ambientali, si nota come a parte Monte Bibele e il sito etrusco di Spina, tra i centri pi grandi, e Colognola e Miseria Vecchia, tra quelli minori, i resti degli animali selvatici siano molto scarsi (Tabb. 1-2). Tale quadro interpretabile come limitata rilevanza economica della caccia, che probabilmente era esercitata per proteggere il raccolto, il bestiame e le popolazioni dagli animali selvatici pericolosi, per il rifornimento delle pelli e pellicce e per ottenere le materie dure di origine animale. Unaltra possibile interpretazione dellattivit venatoria, dallet protostorica in poi, legata alla manifestazione del prestigio delle classi sociali pi abbienti, le quali possedevano i mezzi adeguati per cacciare e traevano piacere nella pratica del diporto in s, senza fini legati a necessit alimentari. A Monte Bibele invece, il quadro che emerge da questa notevole e diversificata attivit venatoria, eccezionale dal punto di vista economico poich si potrebbe ipotizzare che la sussistenza fosse ben integrata dallutilizzo della risorsa carnea fornita dalla fauna selvatica.
Tipo Insediativo Villaggio Strutture produttive Citt Insediamento Centro protourbano Villaggio Abitato Centro protourbano Villaggio fortificato Centro protourbano Villaggio Villaggio d'altura Strutture abitative Strutture produttive Abitato fluviale Abitato fluviale Castelliere Villaggio Abitato Insediamento Abitato Villaggio Bibliografia FARELLO, 1995 FARELLO, 1993 FARELLO, 1995 FARELLO, www.fararcheo.it FARELLO, 1990 RIEDEL, 1985 RIEDEL, 1984a SCARPA, 1987 PETRUCCI, 1996 FARELLO, 1995 FARELLO, 1992 CURCI et alii, 2000; 2006; CATTABRIGA, 2002; CURCI & CATTABRIGA, 2005 PETRUCCI, 1996 TAGLIACOZZO & FIORE, 1992 TAGLIACOZZO, 1993 TAGLIACOZZO & CASSOLI, 1992 RIEDEL, 1984b; CSSOLA GUIDA et alii, 1998 CASSOLI & TAGLIACOZZO 1991 RIEDEL, 1978 RIEDEL, 1986 RIEDEL, 2002 FARELLO, 1997

Ambiente Pianura Pianura Pianura Pianura Pianura Pianura Pianura Pianura Alta Pianura Collinare Pianura Collinare Pedemontano Pianura Pianura Pianura Alta Pianura Pedecollinare Pianura Montano Pedemontano Collinare

VI sec. a.C. Baggiovara (MO) Barchessone Cappello (MO) IV sec. a.C. Bologna - Via Santa Caterina V sec. a.C. V-IV sec. a.C. Cabriolo (PR) VI sec. a.C. Casale di Rivalta (RE) V-IV sec. a.C. Castelrotto (VR) IV-II sec. a.C. Colognola (VR) V-IV sec. a.C. Forcello (MN) VI-V sec. a.C. Gradisca (GO) V sec. a.C. Marzabotto (BO) V sec. a.C. Mirandola (MO) Monte Bibele (BO) Montereale (PN) Oderzo (PD) Padova - Largo Europa Padova Via dietro Duomo Pozzuolo (UD) Santorso (VI) Spina (FE) Stufels (BZ) Vadena (BZ) Verucchio (RN) IV-II sec. a.C. V sec. a.C. IV-II sec. a.C. V-II sec. a.C. V sec. a.C. VII sec. a.C. V-II sec. a.C. VI-IV sec. a.C. IV-II sec. a.C. VI-IV sec. V sec.

Tab. 2. Elenco dei siti dell'Italia settentrionale preromana considerati.

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S. Cattabriga & A. Curci / Annali dellUniversit di Ferrara, Mus. Sci. Nat. volume speciale (2007)

Per ci che concerne le tipologie di specie cacciate, la situazione pu essere paragonata a quella dell'Etruria e a quella di area celtica, anche se a Monte Bibele, che si trova proprio sul crocevia d'influenza delle due aree, rispetto alle fonti e alliconografia, la caccia al cervo a prevalere rispetto a quella al cinghiale; non inoltre da sottovalutare la particolarit di un'alimentazione inusuale, allargata anche ad alcune specie selvatiche generalmente non utilizzate a tal fine come il lupo, lorso, il gatto selvatico ed il tasso. Tuttavia, le fonti storiche non prendono in esame le connotazioni sociali e culturali che la caccia doveva possedere per questa popolazione etrusco-celtica che risiedeva sullappennino emiliano. L'ipotesi secondo la quale, a Monte Bibele il peso economico della componente faunistica selvatica possa essere spiegato dalla collocazione geografica del sito, isolato in una
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zona collinare naturalmente protetta e ricca di selvaggina, sicuramente accettabile; allo stesso tempo anche la natura dellinsediamento, non ancora considerato urbano, ma di sicuro rilievo per la sua posizione lungo la direttrice transappenninica, cui bisogna aggiungere il riflesso dello spopolamento dei centri della pianura, divenuti ormai insicuri, potrebbe costituire un ulteriore elemento di interpretazione. Da ultimo, il fatto che il villaggio di Monte Bibele, fulcro di convivenza di culture diverse e complesse come quella etrusca e quella celtica, potesse avere una classe aristocratica fortemente gerarchizzata per la quale l'attivit venatoria fosse un privilegio ed un piacere d'lite, fortemente probabile e le evidenze archeologiche ed archeozoologiche possono costituirne un indizio.

Farello P. (1995): L'Emilia dal VI al V secolo a.C.: caccia e allevamento. Atti I Convegno Nazionale di Archeozoologia, Rovigo, 1995, Padusa Quaderni, 1: 209-234. Farello P. (1997): Reperti faunistici da Verucchio (RN) - Scavo 1963. Archeologia dell'Emilia-Romagna, I (1): 41-49. Galloni P. (2000): Storia e cultura della caccia. Laterza, Roma. Mniel P. (1987): Chasse et levage chez le Gaulois. Ed. Errance. Petrucci G. (1996): Lo sfruttamento delle faune nel Friuli occidentale tra let del ferro e la Romanizzazione Gradisca, Montereale, Palse. In: Malnati L., Croce Da Villa P. & Di Filippo Balestrazzi E. (a cura di), La Protostoria tra Sile e Tagliamento. Antiche genti tra Veneto e Friuli, Catalogo della Mostra, Padova, 469-473. Riedel A. (1978): Notizie preliminari sullo studio della fauna di Spina. Atti dellAccademia delle Scienze di Ferrara 55: 1-7. Riedel A. (1984a): The fauna of the excavations of Colognola ai Colli (Verona, Northern Italy) (Iron Age). Bollettino del Museo Civico di Storia Naturale di Verona, 11: 277-318. Riedel A. (1984b): The fauna of the excavations of Pozzuolo del Friuli (1980-1983) (Castelliere dei Ciastiei -Trench 1). Atti dei Musei Civici di Storia ed Arte, Trieste, 14: 215276. Riedel A. (1985): The fauna of the Iron Age site of Castelrotto (Verona). Padusa, XXI (1-2-3-4): 55-97. Riedel A. (1986): Die Fauna einer eisenzeitlichen Siedlung in Stufels bei Brixen. Preistoria Alpina, 22: 183-220. Riedel A. (2002): La fauna dellinsediamento protostorico di Vadena - Die Fauna der vorgeschichtlichen Siedlung von Pfatten, Rovereto. Museo Civico di Rovereto. Scarpa G. (1987): La fauna. In: De Marinis R. (a cura di), Gli Etruschi a Nord del Po, Catalogo della Mostra, 184-192. Tagliacozzo A. (1993): Le ossa animali. In: Balista C. & Ruta Serafini A. (a cura di), Saggio stratigrafico presso il muro romano di Largo Europa a Padova, Nota preliminare. Quaderni di Archeologia del Veneto, IX: 95-111. Tagliacozzo A. & Cassoli P.F. (1992): I resti ossei faunistici dell'abitato paleoveneto di Padova, via dietro Duomo. Bollettino del Museo Civico di Padova (1990), LXXIX: 111-133. Tagliacozzo A. & Fiore I. (1992): Oderzo, via dei Mosaici. I resti faunistici. Quaderni di Archeologia del Veneto, VIII: 166-173. Vitali D. (1983): Considerazioni sullabitato di Monte Bibele. In: Vitali D. (a cura di), Monterenzio e la Valle dellIdice, Archeologia e storia di un territorio, Monterenzio, 89-96.

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Annali dellUniversit degli Studi di Ferrara Museologia Scientifica e Naturalistica

ISSN 1824-2707 volume speciale (2007)

Analisi integrata in ambiente GIS di attributi tecnologici, funzionali, paleoeconomici e spaziali applicata allo studio di un ammasso di scarti litici (Unit Stratigrafica 11) dai depositi epigravettiani di Riparo Tagliente (Stallavena di Grezzana, Verona)
Federica Fontana, Stefano Bertola, Francesca Bonci, Cristina Cilli, Ursula Thun Hohenstein, Jeremie Liagre4, Laura Longo & Giovanna Pizziolo5
Dipartimento di Biologia ed Evoluzione, Universit degli Studi di Ferrara, c.so Ercole I dEste 32, I-44100 Ferrara Museo Civico di Storia Naturale, sezione di Preistoria, c.so Cavour 11, I-37129 Verona Dipartimento di Anatomia, Farmacologia e Medicina Legale, Universit degli Studi di Torino, c.so M. dAzeglio 52, I-10126 Torino 4 Maison de lArchologie, Service Municipal dArchologie de Chartre, 1 rue de lEtroit de Degr, FR-28000 Chartre 5 Dipartimento di Archeologia e Storia delle Arti, Universit degli Studi di Siena, via Roma 56, I-53100 Siena federica.fontana@unife.it

___________________________________________________________________________________ Abstract Extended excavations in the Epigravettian deposits of Riparo Tagliente which were carried out in the last decades in the external area of the shelter have allowed the presence of large accumulations mainly composed of lithic by-products to be identified. In order to investigate the formation dynamics and the functional meaning of one of this accumulations (Stratigraphic unit 11) an integrated analysis with G.I.S systems of technological, functional, palaeoeconomical and spatial was carried out. [Integrated analysis with GIS systems of technological, functional, palaeoeconomical and spatial data applied to an accumulation of lithic by-products (Stratigraphic Unit 11) from the Epigravettian deposits of Riparo Tagliente (Stallavena di Grezzana, Verona).] Keywords: Late Epigravettian, Integrated studies, Intra-site spatial analysis, Behavioural models. ___________________________________________________________________________________ Obiettivi e metodologia della ricerca Scopo della ricerca stato quello di valutare la possibilit di ricostruire modelli comportamentali relativi alla sfera socio-economica delle societ preistoriche con particolare riferimento alla funzione e allorganizzazione dello spazio abitato e alle modalit di sfruttamento del territorio attraverso unanalisi integrata di attribuiti tecnologici, funzionali e paleoeconomici e di dati spaziali. La ricerca, realizzata con il contributo del CNR (Progetto Giovani Ricercatori, Agenzia 2000) ha avuto per oggetto una paleosuperficie dellEpigravettiano finale (US 11) proveniente dal deposito superiore di Riparo Tagliente (Stallavena di Grezzana, Verona) (Fig. 1). Lo studio in oggetto stato condotto allinterno di un ambiente GIS (Geographic Information System) realizzando mappe distributive, prodotte integrando i database contenenti i dati attributivi ottenuti dallo studio interdisciplinare delle principali categorie di reperti rappresentate nellinsieme preso in esame - in particolare manufatti litici e resti faunistici - e i rilievi dellunit stratigrafica in formato digitale. Presentazione del sito e dellUnit Stratigrafica 11 Situato nei Monti Lessini, lungo il versante sinistro della Valpantena, a 250 m sul livello del mare, il sito di Riparo Tagliente caratterizzato da una serie stratigrafica suddivisa in due depositi principali, di cui quello superiore datato al Tardiglaciale e riferibile allEpigravettiano recente (Bartolomei et alii, 1982). Larea esplorata si caratterizza, nella zona protetta dallaggetto del riparo, per la presenza di strutture abitative e di combustione che hanno consentito di ipotizzare un utilizzo prevalente del sito come accampamento residenziale. Viceversa, larea esterna, dove collocata lUnit Stratigrafica 11, contraddistinta dalla presenza di consistenti accumuli di residui

F. Fontana et alii / Annali dellUniversit di Ferrara, Mus. Sci. Nat. volume speciale (2007)

Fig. 1. Planimetria della paleosuperficie US 11.

litici, associati ad altri reperti (in particolare resti di pasto) (Fontana et alii, 2002; Cremona e Fontana, in questo volume). LUnit Stratigrafica 11, messa in luce nel 1967 nei quadrati 7-8 della trincea esplorativa e successivamente identificata e scavata (1991-1995) nei quadrati 21-25 e 36-38 costituita da un livello, dello spessore compreso tra i 15 e i 20 cm, caratterizzato da un ammasso di prodotti, sottoprodotti e residui di scheggiatura e da un numero meno consistente di resti faunistici. Le analisi integrate che costituiscono loggetto di questa ricerca sono state applicate ad unarea campione di circa 4 m2 (qq. 21, 22, 23, 36, 37 e 38) relativamente ai primi due tagli (denominati taglio calco e II taglio). Il principale riferimento cronologico per questo livello rappresentato dalle datazioni assolute ottenute per il taglio/US 10 (12,040170 BP, tagli 10-8). Studio tecno-economico dellindustria litica Lanalisi tecno-economica effettuata ha comportato lesame di tutti gli elementi di

dimensioni superiori a un centimetro, per un totale complessivo di 2.521 manufatti, di cui 7 blocchetti di materia prima non lavorati, 14 blocchetti testati e pre-nuclei, 89 nuclei, 24 frammenti di nuclei, 1426 prodotti e sotto-prodotti della scheggiatura, 19 strumenti, 559 frammenti indeterminati e 397 schegge frammentarie o indeterminabili. Lesame della composizione litologica delle selci utilizzate ha evidenziato che queste appartengono a quattro diverse formazioni, tutte presenti localmente nel comprensorio geografico dei Monti Lessini, entro un raggio di qualche chilometro dal sito. In particolare, risultano prevalenti i campioni di et cretacica inferiore (72% complessivo) provenienti dalla Formazione del Biancone, contenente noduli e strati di selce di buona qualit e molto abbondanti. Meno considerevole appare il numero di campioni di et cretacica media (Scaglia Variegata, 13,6% complessivo) e superiore (Scaglia Rossa, 1,5% complessivo) e di et giurassica (Formazione di Tenno, Gruppo di San Vigilio, Calcari Grigi, 2,3%). Dal punto di vista dei depositi di provenienza si osserva che un numero esiguo di campioni (3%)

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mostra evidenze di raccolta presso gli affioramenti rocciosi, mentre la maggior parte risulta provenire da depositi secondari (alluvioni torrentizie, suoli e falde detritiche). Da interpretare in unottica opportunistica , in particolare, la percentuale dei blocchi provenienti da depositi torrentizi (15,8%), da ascrivere a torrenti locali dalla portata intermittente (quali lo stesso Progno di Valpantena, situato a poche decine di metri dal sito) e la cui scarsa attitudine alla scheggiatura deve aver spinto i cacciatori ad approvvigionarsi anche altrove. Viceversa, risulta elevata la percentuale di reperti provenienti da suoli e pozzetti carsici (39,8%) o dalle falde detritiche situate alla base degli affioramenti rocciosi (36,8%). Dal punto di vista della ricostruzione delle catene operative, linsieme dei manufatti determinabili appare dominato da elementi provenienti dalla gestione dei nuclei (44%), seguiti da quelli di messa in forma (26,5%), dai prodotti di plein dbitage (23,5%) e dai nuclei (6%). Complessivamente, sembrano potersi evidenziare modalit di messa in forma differenti, in relazione alla morfologia dei blocchi utilizzati e obiettivi diversi di produzione, talvolta associabili ai diversi tipi di materie prime impiegate. Lelevata incidenza di blocchetti non lavorati o testati e di nuclei abbandonati ad uno stadio iniziale delle operazioni di scheggiatura o in seguito ad incidenti di lavorazione evidenzia una scarsa attenzione nei confronti delleconomia della materia prima, atteggiamento che trova riscontro nellelevata disponibilit di rocce scheggiabili nellarea immediatamente circostante il sito. I manufatti ritoccati sono rari (19 elementi) e rappresentati prevalentemente da strumenti a ritocco semplice marginale, da alcune troncature, bulini e da un coltello a dorso. Dal punto di vista delle tecniche di scheggiatura, lanalisi macroscopica di alcuni parametri (regolarit della sagoma, sporgenza del bulbo e intensit delle onde di percussione sulla faccia ventrale, morfologia del tallone, presenza/assenza di preparazione della cornice e del piano di percussione) suggerisce limpiego alternato di due diversi tipi di percussori (pietra dura e pietra tenera), con un probabile uso prevalente del percussore in pietra tenera per il distacco dei prodotti di plein dbitage. Lanalisi tracceologica effettuata su un campione di 33 manufatti, composto da 11 elementi ritoccati (bulini, troncature, schegge ritoccate e raschiatoi) e da 22 supporti non ritoccati, ha evidenziato la presenza di superfici in buono stato di conservazione.

Fra i ritoccati 4 esemplari recavano tracce evidenti, fra cui un bulino presumibilmente utilizzato per la lavorazione di materiali duri (per es. osso fresco). Fra le lame, 8 presentavano tracce associabili alla lavorazione di materiali vegetali o sostanze anche pi dure, in un caso probabilmente legno secco. Analisi archeozoologica e tafonomica dei resti faunistici Lanalisi archeozoologica e tafonomica dei resti faunistici ha comportato lo studio di oltre 997 reperti che provengono non solo dallarea analizzata (58 reperti ossei) ma dalla totalit dei reperti raccolti nellUS 11. Essi sono rappresentati da frammenti di ossa lunghe, vertebre, sesamoidi, mandibole e denti, purtroppo spesso non identificati a livello di specie o genere a causa dellelevato grado di fratturazione imputabile principalmente allattivit antropica. I reperti identificati assommano a 143. La specie maggiormente rappresentata il cervo (24%), seguita da stambecco (19%), capriolo e cinghiale (11%), alce (10%), uro e/o bisonte (8%). I carnivori sono rappresentati dallorso (5%) e si attesta la presenza di lince, marmotta e castoro. Per quanto riguarda gli ungulati, linsieme faunistico composto da individui adulti e subadulti. Alcune ossa fetali sono riferibili ai cervidi e si attesta la presenza di denti decidui di orso e cinghiale. Il calcolo del numero minimo di individui stato effettuato sui denti e sul grado di saldatura delle epifisi; le specie pi presenti sono il cervo, lo stambecco e luro con 2 individui, il cinghiale e lorso sono rappresentate da 1 adulto ed 1 giovane, il cervo e lalce da un unico individuo. La maggior parte delle superfici ossee presenta un buono stato di conservazione, consentendo unanalisi dettagliata delle tracce legate allintervento antropico. Assai frequente appare la presenza di strie prodotte dal margine tagliente di uno strumento litico, mentre rare risultano le tracce riconducibili allattivit di roditori e carnivori, aspetto che ben si accorda con lintensa occupazione del sito da parte dei gruppi umani. Lesame micromorfologico effettuato al SEM indica gradi di conservazione differenziati delle strie di macellazione. Nei casi meglio conservati, le dimensioni, lorientamento e la localizzazione delle strie non lasciano dubbio sulla loro interpretazione e permettono di attribuirle alle diverse tappe della macellazione (scuoiamento, disarticolazione, rimozione della massa muscolare). Diversi frammenti diafisari con incavi marginali e coni di

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F. Fontana et alii / Annali dellUniversit di Ferrara, Mus. Sci. Nat. volume speciale (2007)

percussione testimoniano lapertura delle ossa lunghe per lestrazione del midollo. Integrazione dei dati in ambiente GIS Aspetto determinante ai fini dellinterpretazione dellammasso esaminato, lintegrazione dei dati allinterno di un ambiente GIS ArcView, ha avuto per oggetto la realizzazione di una serie di carte tematiche finalizzate ad identificare eventuali aree di concentrazione o particolari relazioni spaziali tra categorie diverse di reperti, quale riflesso delle caratteristiche strutturali e, eventualmente, funzionali dellarea esaminata. Le carte tematiche realizzate per gli elementi litici hanno tenuto conto di una serie di parametri (integrit, dimensioni, presenza/assenza di alterazioni termiche, materia prima e fase di appartenenza della catena operativa), non permettendo sostanzialmente di evidenziare patterns significativi di correlazione, quanto piuttosto una maggiore densit costante di tutti gli elementi in corrispondenza delle medesime zone. Fa eccezione la distribuzione dei reperti alterati dal fuoco che risultano prevalentemente concentrati verso la zona pi prossima allaggetto del riparo, caratterizzata da scarichi di ceneri provenienti dallo svuotamento dei focolari. I dati emersi mostrano complessivamente che linsieme esaminato si configura come un ammasso caotico, prevalentemente costituito da manufatti litici riferibili ad operazioni di messa in forma e gestione dei nuclei o allabbandono degli stessi. Gli elementi ritoccati non appaiono rappresentativi delle tipologie pi frequenti nel sito e la loro presenza allinterno dellinsieme esaminato appare del tutto anedottica. Da un punto di vista spaziale, i
Bibliografia Bartolomei G., Broglio A., Cattani L., Cremaschi M., Guerreschi A., Mantovani E., Peretto C. & Sala B. (1982): I depositi wrmiani del Riparo Tagliente. Annali dellUniversit di Ferrara, XV, 3 (4): 51-105. Cremona M.G. & Fontana F. (in questo volume): Analisi tecnoeconomica di una concentrazione di scarti litici (US 411) dai livelli epigravettiani di Riparo Tagliente (Stallavena di Grezzana, Verona): 59-62. Fontana F., Guerreschi A. & Liagre J. (2002): Riparo Tagliente. La serie epigravettiana. In: Aspes A. (a cura di), Preistoria Veronese. Contributi e aggiornamenti. Memorie del Museo Civico di Storia Naturale di Verona, 2^ serie, sez. Scienze dellUomo, 5: 42-47.

manufatti litici presenti non sembrano evidenziare alcuna relazione diretta con i resti faunistici associati, bench questi ultimi portino evidenti tracce di intervento antropico (strie di macellazione e fratturazione intenzionale). Lattestazione di elementi litici con evidenti tracce di utilizzo (prevalentemente riferibili alla lavorazione di materiali vegetali ma anche di osso secco) mostra che, nonostante lelevata presenza di scarti di fabbricazione, linsieme non pu essersi formato per esclusiva attivit di scheggiatura in loco (officina litica), ma in seguito alla realizzazione di attivit di sussistenza varie e/o allo scarico di materiali diversi legati a pratiche svoltesi altrove (svuotamento di focolari, produzione di supporti, lavorazione di materiali vegetali ecc.). Per concludere, lanalisi integrata, oggetto di questa ricerca, risultata idonea alla risoluzione delle problematiche affrontate, fornendo utili indicazioni circa linterpretazione dellinsieme esaminato. Tale studio si integra, a sua volta, nellambito di un programma di ricerca pi ampio avviato nel corso degli ultimi anni, che prevede lesame delle ricche evidenze che caratterizzano larea esterna del riparo (Cremona et alii, in questo volume; Fontana et alii, in press; Liagre, 2005) al fine di meglio delineare le modalit di utilizzo del sito e di sfruttamento delle risorse del territorio in cui questo collocato durante le fasi finali del Paleolitico superiore.
Ringraziamenti Ricerca realizzata con il contributo del CNR (Progetto Giovani Ricercatori, Agenzia 2000) e coordinata dal primo autore. Si ringrazia il prof. Antonio Guerreschi, direttore delle ricerche, per avere messo a disposizione i materiali e la documentazione per lo studio.

Fontana F., Bertola S., Bonci F., Cilli C., Liagre J., Longo L., Pizziolo G., Thun Hohenstein U. & Guerreschi A., in press. The first occupation of the Southern Alps in the Late Glacial at the site of Riparo Tagliente (Verona, Italy). Detecting the organisation of living-floors through a G.I.S. integrated analysis of technological, functional, palaeoeconomic and spatial attributes. Proceedings of the XV U.I.S.P.P. Congress, Lisbona, 2006, B.A.R. Int. Series. Liagre J. (2005): Gestion de lactivit de taille et de lespace domestique au Tardiglaciaire en Italie nord orientale. Analyse des Officine Litiche de labri Tagliente (Vneti). Universit Aix-Marseille I, Universit de Provence, Ecole doctorale N 355 Espace, Culture et Socits, Formation doctorale: Prhistoire, 380 p.

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Annali dellUniversit degli Studi di Ferrara Museologia Scientifica e Naturalistica

ISSN 1824-2707 volume speciale (2007)

I resti faunistici di San Pietrino di Tolfa (Roma)


Silvia Nutini
Dipartimento di Scienze Archeologiche, Universit degli Studi di Pisa, via S.Maria 53, I-56126 Pisa silvianutini2002@yahoo.it

___________________________________________________________________________________ Abstract This study is based on the examination of faunal remains from San Pietrino di Tolfa, on Tolfa mountains, near Bracciano Lake. The site is a terrace of 144 m2 where are 11 layers with remains of different ages: from the IV-V century B.C. to Ancient Neolithic. The study has been carried out on 786 animal bones coming from these layers. 16 species have been recognised, 6 of which belong to domestic and 10 to wild species. The domestic animals are bovines, ovines, swines, horses, donkeys and dogs. The bovines, ovines and swines have a food and economic intent. The wild animals are deers, roe-deers, foxes, wild cats, hares, badgers, porcupines, microfauna, birds and turtles; some of these species are adapted to a severe environment, such as the one that characterises todays Tolfa mountains. [Faunal remains from San Pietrino di Tolfa (Roma).] Parole chiave: Fauna, Breeding, Environment, Social-economic profile. ___________________________________________________________________________________ Introduzione La localit di San Pietrino si trova nel Lazio settentrionale, in prossimit dei Monti della Tolfa, poco distante dal Lago di Bracciano, in unarea collinare caratterizzata da rilievi tufacei, noti come castelline, e da una rigogliosa vegetazione di tipo mediterraneo. Il sito stato indagato, in seguito ad una segnalazione del 1985, nel corso di due campagne di scavo condotte nel 1988 e nel 1989 per conto della Soprintendenza dellEtruria meridionale. Alcune notizie preliminari, relative allo scavo e pi in particolare allorizzonte neolitico, sono state pubblicate sugli Atti del Convegno La Neolitizzazione tra Oriente e Occidente, tenutosi a Udine nellaprile 1999 (Fugazzola Delpino et alii, 2000); lanalisi dei materiali pi recenti a tuttoggi inedita. La stratigrafia Uno spesso deposito era presente sul terrazzo sottostante la sommit di una castellina tufacea, sulla cui cima stata ritrovata una necropoli altomedievale. Larea indagata, estesa su circa 144 metri quadri, ha messo in luce una stratigrafia caratterizzata da una serie di livelli preistorici, protostorici e dellet del ferro, tagliati e inglobati allinterno di un terrazzamento di et medievale. Verso la scarpata il deposito raggiungeva uno spessore di circa 2 metri. La successione degli strati, dallalto verso il basso, viene di seguito descritta: 1. strato 1, costituito interamente da 20 cm di humus; 2. strati 2a, b, c, 3a, b, c e 4a, b, c, d, e: avevano uno spessore medio di 70 cm e contenevano materiali e resti relativi a un rimaneggiamento moderno di strati pi antichi. (Proprio perch i reperti dall1 al 4 sono relativi ad episodi moderni di scavo, vengono esaminati nel loro insieme); 3. strati 5a e b: avevano una potenza crescente che andava dai 20 ai 120 cm, procedendo verso lestremit del terrazzo, sulla quale erano presenti blocchi di tufo, di grandi dimensioni. Questo deposito sembra poter essere riferibile ad un terrazzamento di et altomedievale;

S. Nutini / Annali dellUniversit di Ferrara, Mus. Sci. Nat. volume speciale (2007)

4. lo strato 5c, limitato da una fossa quadrangolare incidente gli strati sottostanti, conteneva materiali del IV-III sec. a.C. e resti rimaneggiati del VI-V sec. a. C.; 5. il materiale degli strati 5d e 5e appariva omogeneo e riferibile al VI-V sec. a. C.; 6. lo strato 7, fortemente inclinato, presentava uno spessore di circa 20 cm e i reperti venuti in luce sono tutti riferibili al Bronzo medio (cultura appenninica); 7. lo strato 8, ugualmente inclinato e di 20 cm di potenza, conteneva invece manufatti riferibili al Bronzo antico- medio (facies di Grotta Nuova); 8. gli strati 9 e 10, anchessi con forte pendenza verso il bordo del terrazzo e di vario spessore, hanno restituito resti databili al Neolitico antico, con ceramiche a larghe incisioni (tipo Sasso di Furbara) miste a ceramiche a decorazione cardiale; 9. lo strato 11 era rappresentato da una sacca residua di deposito, di spessore di circa 30 cm, contenente solo scarso materiale litico e ceramico, questultimo ad esclusivo decoro cardiale (Neolitico antico). La fauna Al fine dellindagine faunistica, sono state considerate 786 ossa, provenienti per lo pi dai livelli di superficie, alto medievali, etruschi, appenninici e neolitici; gli strati 5d, e e 11 non sono stati analizzati perch non hanno restituito alcun reperto osseo. Per ci che riguarda il materiale proveniente dalla ripulitura, dalla cava abusiva e dai sondaggi nord e sud, stato considerato solo il numero complessivo dei frammenti determinati e non determinati. Risultati e conclusioni Dallo scavo di San Pietrino provengono 786 reperti osteologici; di questi, 528 sono risultati indeterminati e 258 determinati (Tab. 1). Nonostante lesiguo numero, stato possibile distinguere 16 specie, 6 di fauna domestica e 10 di fauna selvatica (Tab. 2). La fauna domestica composta da bovini, caprovini, suini, equidi (cavallo e asino) e cane; i
N. R. F.N.D. (frammenti non determinati) F.D. (frammenti determinati) Totale numero dei reperti di fauna 528 258 786 % 67,2 32,8 100,0

SPECIE Fauna domestica Bos taurus L. Ovis vel capra Sus scrofa L. Equus caballus L. Equus asinus L. Canis familiaris L. Fauna selvatica Cervus elaphus L. Capreolus capreolus L. Vulpes vulpes L. Felis silvestris Schreber Lepus europaeus Pallas Meles meles L. Hystrix cristata L. Microfauna Aves Testudo sp TOTALE

N.R. 46 82 47 4 1 3 10 1 1 1 6 22 3 4 7 20 258

% 17,8 31,8 18,2 1,5 0,4 1,2 3,9 0,4 0,4 0,4 2,3 8,5 1,2 1,5 2,7 7,7 100.0

Tab. 2. Specie determinate nello scavo di S. Pietrino di Tolfa 1988- 1989.

caprovini, con i loro 82 resti, hanno la percentuale di presenza pi alta tra le specie animali rinvenute a San Pietrino. I bovini e i caprovini sono stati i primi ad essere addomesticati dalluomo; i bovini avevano, inizialmente, dimensioni pi grandi rispetto a quelle moderne, proprio perch il passaggio dallo status selvatico a quello domestico ha determinato cambiamenti dalimentazione e di vita che hanno influito sulla costituzione fisica.
SPECIE Fauna domestica Bos taurus L. Ovis vel capra Sus scrofa L. Equus caballus L. Canis familiaris L. Fauna selvatica Cervus elaphus L. Vulpes vulpes L. Felis silvestris Schreber Lepus europaeus Pallas Meles meles L. Hystrix cristata L. Microfauna Aves TOTALE 4 1 1 6 5 3 2 1 78 5,1 1,2 1,2 7,6 6,4 3,8 2,5 1,2 100,0 18 27 7 2 1 23,8 34,6 8,9 2,5 1,2 N. R. %

Tab. 1. Resti faunistici dello scavo di S. Pietrino di Tolfa 19881989.

Tab. 3. Fauna presente negli strati 1, 2, 3 e 4 (cava moderna con rimaneggiamento dei livelli antichi).

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SPECIE Fauna domestica Bos taurus L. Ovis vel capra Sus scrofa L. Equus asinus L. Canis familiaris L. Fauna selvatica Cervus elaphus L. Capreolus capreolus L. Meles meles L. Microfauna Aves Testudo sp TOTALE

N. R. 11 21 14 1 1 1 1 3 1 6 9 69

% 16,0 30,4 20,2 1,4 1,4 1,4 1,4 4,3 1,4 8,6 13,0 100,0

SPECIE Fauna domestica Ovis vel capra Sus scrofa L. TOTALE

N.R. 1 2 3

% 33,3 66,6 100,0

Tab. 6. Fauna presente negli strati 9 e 10 (Neolitico antico).

Tab. 4. Fauna presente negli strati 5a e 5b (et altomedievale). SPECIE Fauna domestica Bos taurus L. Ovis vel capra Sus scrofa L. Fauna selvatica Cervus elaphus L. Meles meles L. Testudo sp TOTALE 1 10 6 37 2,7 2,7 16,2 100,0 7 9 4 19,0 24,3 10,8 N.R. %

Tab. 5. Fauna presente negli strati 7a e 7c (et del bronzo medio - cultura appenninica).

Il tipo di bovino trovato a San Pietrino il Bos taurus L., specie tipica di allevamento, la cui presenza attestata sia negli strati di et moderna (Tab. 3), sia in quelli alto medievali (Tab. 4), sia in quelli del Bronzo medio appenninico (Tab. 5), in percentuale maggiore soprattutto nei primi due periodi. In un primo momento, il bovino veniva sicuramente utilizzato per scopi alimentari, essendo di stazza piuttosto grande e quindi considerato una buona riserva di carne; nel Bronzo medio, per, non da escludere che il suo impiego sia stato mirato anche verso il lavoro nei campi, essendo stato inventato, nel corso dellet del rame, laratro, atto alla preparazione dei terreni per lagricoltura e messo in funzione, oltre che dalla mano delluomo, dalla trazione animale. I caprovini sono allevati per utilizzi alimentari e economici (fornitori principali di latte e lana); proprio per questo, la loro presenza si ritrova in tutti i periodi rilevati nello scavo, dagli strati superficiali a quelli del Neolitico antico (Tab. 6), in numero rilevante soprattutto nellepoca altomedievale.

Inoltre bisogna far presente che negli strati 9 e 10, relativi al Neolitico, sono state determinate 3 sole ossa: un frammento di omero di caprovino, un frammento di astragalo e di metacarpo di suino. Ci indica il fatto che un approvvigionamento tramite allevamento di animali di medie/grandi dimensioni era presente in loco. I suini, cos come i caprovini e i bovini, sono tra gli animali domestici pi diffusi e domesticati fin dalle epoche pi antiche perch costituiscono unimportante fonte di carne e di grasso. A San Pietrino si ritrovano in tutti gli strati individuati, con un numero massimo di 14 resti nellinsieme altomedievale. La presenza dei suini pare abbinata a quella dei caprovini, e, se ci giusto, probabilmente la sua funzione sarebbe stata di tipo complementare: mentre gli ovini erano pi specifici al fine di un rendimento economico inerente alla produzione di lana o alla lavorazione di prodotti caseari (anche se non bisogna tralasciare il fatto che molte ossa rinvenute erano di animali giovani; alcuni denti addirittura datano let di morte a circa 18 mesi, per cui non si esclude una macellazione per puro scopo alimentare), i suini avevano una finalit legata al valore nutrizionale della propria carne. Il cavallo (Equus caballus L.) attestato con 4 resti di cui 2 provenienti dagli strati 1, 2, 3 e 4 e gli altri da ripulitura e dal detrito della cava abusiva, per cui linserimento cronologico risulta difficile essendo strati con abbondante materiale rimaneggiato. Lasino (Equus asinus L.) presente nel sito con un unico pezzo, una terza falange che si trova nellinsieme del materiale degli strati 5a e 5b, altomedievali. Lasino, in questarco di tempo, era utilizzato sia per il trasporto di merci che per il semplice spostamento per viaggi. Il cane, infine, attestato nello scavo con 3 resti, di cui uno appartenente agli strati di superficie, uno a quelli altomedievali e uno allinsieme raccolto da una fossa di ripulitura. Si pu ipotizzare che parte dei reperti degli strati 1, 2, 3 e 4 possano essere cronologicamente coevi con quelli provenienti dai livelli dellAlto Medioevo, in quanto probabili frammenti in giacitura secondaria. La fauna selvatica composta da resti di cervo, capriolo, volpe, gatto selvatico, lepre, tasso, istrice, microfauna (qualche resto non chiaramente attribuibile) uccelli (di cui un frammento

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SPECIE Fauna domestica Ovis vel capra Sus scrofa L. Fauna selvatica Cervus elaphus L. Meles meles L. Testudo sp TOTALE

N. R. 3 2 1 2 2 10

% 30 20 10 20 20 100

Tab. 7. Fauna presente nello strato 5c (materiale del VI-V secolo a.C. e IV-III secolo a.C.).

attribuibile a esemplare gallinaceo) e tartaruga. La maggior parte di questi indica un ambiente assai aspro caratterizzato dalla presenza di boschi e foreste, corrispondente al quadro ecologico riscontrabile ancora oggi sui Monti della Tolfa. Il cervo un mammifero ruminante; ha la caratteristica di svolgere le proprie attivit soprattutto di notte, mentre, nelle ore diurne, tende a nascondersi allinterno dei boschi. Suoi resti sono stati rinvenuti negli strati di superficie, in quelli altomedievali, e in quelli con materiale del periodo etrusco (Tab. 7) e appenninico. Risulta, quindi, che, anche se non in percentuale elevata, la presenza del cervo costante per tutto larco di frequentazione del sito di San Pietrino. Il capriolo ha il suo habitat naturale nelle foreste, dove vive solitamente in piccoli branchi. Ne abbiamo a testimonianza ununica falange destra, riportata alla luce dagli strati 5a e 5b. La volpe e il gatto selvatico sono mammiferi carnivori e cacciatori abbastanza agili; la prima appartenente alla famiglia dei canidi, il secondo a quella dei felidi. La loro testimonianza (2 frammenti) attestata solo negli strati 1, 2, 3, 4. La lepre solita vivere in localit con ricca vegetazione arborea; i suoi resti (6), cos come per le specie precedenti, sono stati rinvenuti solo negli strati di superficie.
Bibliografia Barone R. (1980): Anatomia comparata dei mammiferi domestici. Vol. 1, Osteologia, Ed. Agricole, Bologna. Fugazzola Delpino M.A., Negrino F. & Pessina A. (2000): I livelli a ceramica impressa di San Pietrino di Rota (Roma). Atti del Convegno La Neolitizzazione tra Oriente e Occidente, Udine, 1999, 366-380.

Il tasso (Meles meles L.) un mustelide lento e di abitudini notturne; dal numero dei resti (22) si pu dedurre che sia una specie abitudinaria dei Monti della Tolfa, in quanto tali resti sono distribuiti in tutti i vari periodi, tranne che nel Neolitico, toccando un picco massimo di 10 reperti negli strati 7a e 7c. interessante sottolineare che stato ritrovato un cranio in buone condizioni insieme ad altre parti scheletriche che sembrano verosimilmente essere riconducibili ad un singolo esemplare. Listrice un animale caratterizzato dalla presenza sul corpo di molti e lunghi aculei; nello scavo sono stati rinvenuti solo 3 reperti e tutti appartenenti allinsieme dei materiali di superficie. Le ossa di microfauna e di uccelli sono poche e difficili da attribuire a determinate specie; sono state rilevate, per lo pi, negli strati 1, 2, 3, 4, 5a e 5b. In una di quelle ritrovate nellinsieme altomedievale, si pu riconoscere una tibia di gallo, cosa che non sarebbe cos azzardata se si considera che lallevamento di pollame era molto frequente in questepoca. Infine parliamo della tartaruga che, con i suoi 20 resti, lanimale selvatico che ha frequentato di pi il sito dopo il tasso. I ritrovamenti a lei riferibili sono relativi a pezzi di guscio non saldabili tra di loro, provenienti dagli strati 1, 2, 3, 4, 5a, 5b, 5c, 7a e 7c. In conclusione si possono fare solo considerazioni di carattere generale poich, essendo il numero dei reperti esiguo, non possibile elaborare delle osservazioni, relative alle singole epoche rinvenute durante lo scavo, che siano pienamente attendibili. Dallanalisi della fauna, S. Pietrino pare avere uneconomia basata sullallevamento e la pastorizia; la caccia era sicuramente praticata, ma non era cos importante. Ad ogni modo, le specie selvatiche sono comunque fondamentali per capire lambiente che circondava il sito, il quale non doveva essere troppo differente dallhabitat che riscontriamo oggi nella zona dei Monti della Tolfa.

Silver I.A. (1971): The ageing of domestical animals. In: Brothwell D. & Higgs E.S (Eds), Science in archaelogy, Thames & Hudson, London, 250-268. Wilson B., Grigson C. & Payne S. (1982): Ageing and sexing animal bones from archeological sites. Bar B.S., 109.

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