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R ADICI DEL PENSARE

C LA U DIO M UTI
Tutta la nostra attivit, la nostra pratica quotidiana pervasa da presupposti teoretici sui quali inevitabilmente poggia. Questo vale anche per questo scritto. Le nostre idee cio vengono, come tutte le idee, da lontano: hanno avuto una storia e quindi un percorso fatto di alterne vicende, condizionato dalle contingenze che di volta in volta si presentano e che arricchiscono, accelerano o frenano un percorso storico, un po' come un fiume carsico che si interra e ne riemerge talvolta scorrendo rapido talvolta rallentando a formare una pozza.

I concetti, le teorie, le metodologie, le grammatiche, i codici, le logiche che stanno dentro e intorno a noi hanno una storia lunga: sono concetti che la filosofia occidentale ha sempre pensato ed indagato sin dai suoi inizi nell'antica Grecia. Occorre mostrare le radici e le cornici che ci hanno formato prima ed informato poi, le cornici che ci costituiscono e nell'ambito delle quali ci muoviamo.

Con Omero e la sua Enciclopedia dei Saperi (come tali l'Iliade e l'Odissea sono state utilizzate per diversi secoli) entriamo nella mentalit dell'antica Grecia dei secoli dall'VIII al VI a.C., quella mentalit da cui nascer la cultura greca classica e quindi il modo occidentale di vivere e pensare e che adombra tutti i temi sopra citati; Anassimandro intravede il mondo come un tutto sistemico con le implicite logiche della circolarit e spiralit e l'assenza di un principio forte di causa-effetto; Eraclito indaga ed esplicita la dialettica dei poli opposti e ne individua la conseguente logica del terzo incluso; Zenone di Elea dimostra la paradossalit dei tentativi di rendere conto dell infinito mediante il finito, del continuo mediante il discontinuo; in tutte queste logiche i paradossi sono la regola e non l eccezione: sono logiche della frontiera ed Epimenide di Creta scopre l'impossibilit logica di uscire dall autoriferimento, cio da questa frontiera: non puoi uscire dalla tua ombra, non puoi sollevarti tirandoti per i capelli. Il pensiero occidentale posteriore un grande ed infinito commento a questi temi, una loro continua variazione arricchita dalle esperienze di 2500 anni.

O M ERO
Gi nell'Iliade e nell'Odissea troviamo una dialettica della dualit complementare con il gioco che si intreccia fra i miti di Dioniso ed Apollo e che prefigurano qualunque dualit successiva; dualit condizionanti tutto il modo di pensare greco prima ed occidentale poi.

Nell'antica musica greca questa stessa dualit associa il flauto a Dioniso per il suo suono morbido, continuo, fluido, umido, che induce trance, che invita ad una

danza portata dalla melodia, che richiama sensualit, eros; per contrapposizione, ad Apollo associata la cetra per il suo suono punteggiato, discreto (discontinuo), secco, incisivo, un ritmo quindi che pure invita ad una gestualit corporea, cio ancora ad una danza: l'armonia fra le due contrapposizioni Dioniso/Apollo e flauto/cetra sta proprio qui, nel comune invito e richiamo ad una danza melodica e ritmica ad un tempo, secondo misura, nell'intuizione intima che siano due facce di una stessa medaglia: il tutto. Misura: metron in greco, lo stesso metron che regola le metriche dei canti degli aedi omerici come i ritmi delle danze delle varie feste. Lo stesso metron, misura che regola la dialettica dei confronti di opinioni nell'agor, delle leggi delle poleis, le citt-stato. "Mai di troppo, mai di troppo poco" recitava un detto dei sette sapienti greci.

Omero descrive la costruzione di una nave di legno dove il carpentiere adatta pezzi di legno tra loro per uno scopo; qui compare per la prima volta la parola 'armonia' per rappresentare linguisticamente il collegamento, il connettersi delle parti, una relazione fra l'intero (in questo caso lo scopo, l'oggetto finito) e le parti (adattate dal carpentiere) che lo compongono; se le parti si cor-rispondono armonicamente si ha un incremento di funzionalit (l'oggetto prodotto, la barca), un incremento di senso che deriva dalla risoluzione (scioglimento) di una apparente impossibilit, cio l'originaria non adattabilit delle parti fra loro prima della lavorazione; la lavorazione, la techne, trasforma la non adattabilit delle parti in un tutto (la barca) armonico. L'armonia implica allora una organizzazione, una strutturazione, una stratificazione delle relazioni fra intero e parti, nell'articolazione di ciascun componente nell'ambito dell'insieme: parti diverse per compiti diversi. Qualche parte funger da perno, la connessione che permette all'intero, all'insieme di muoversi in un ambiente, subirne le sollecitazioni, gli attriti, rispondendo come un tutto. Una volta costruita la barca, non si pu isolare un elemento atomico dal momento che ciascun elemento stato adattato allo scopo finale, al prodotto finale.

All'origine dell'armonia c' allora un'interpretazione (che avviene sempre dal punto di vista di chi interpreta e nell'ambito di una griglia, una grammatica, una mappa, un sapere che permetta di identificare ed inquadrare discorsivamente la problematica in questione), questa una interpretazione del contesto (navigazione), dell'ambiente (mare e vento), del territorio, delle risorse (le parti, le assi di legno della barca, gli utensili di costruzione, le tecniche conosciute, le abilit del carpentiere); l'interpretazione si traduce in un progetto tramite l'immaginazione del prodotto finito; il progetto guida l'esecuzione del lavoro. Il risultato una barca che risponde armonicamente alle sollecitazioni del mare e del vento: gioco fra rigidit e mobilit, fra equilibrio e movimento, stabilit nel mutamento; una danza che continua mediazione fra le opposte istanze della stabilit e del movimento allo scopo di conservare la struttura del tutto, l'integrit della barca, in occasione di un passaggio di stato (come ad esempio un'onda anomala, un colpo di vento). L'armonia allora mantiene dinamicamente una tensione fra istanze di per se non compatibili.

Complementarit degli opposti, tensione che armonia, questo il tutto, secondo un ritmo, una misura, un metron: il pensiero profondo che caratterizza tutta

la vita degli antichi Greci in questo complesso di tematiche, inizialmente inconsce, non portate a tema di riflessione ma vissute nell'intimo come in Omero.

in questa atmosfera che si svilupparono quelle condizioni sociali e mentali che portarono ad un tempo alla scrittura alfabetica, alla theoria, all'indagine critica, alla ricerca (skepsis in greco) senza nulla concedere alla superstizione o alla credenza: questo risulter nella distanziazione fra soggetto e oggetto e nella nascita della coscienza, dell'io, dell'autocoscienza e nella tematizzazione di quei temi di cui abbiamo detto sopra in proposte di interpretazione razionale; un percorso che occupa tutta la filosofia greca dagli inizi fino agli Stoci.

A RKH N
Arkhn l inizio, cos come noi oggi definiamo quel periodo; parola che qui vuole indicare un intreccio complesso di molteplici fattori non omogenei l un l altro ma che confluiscono e si coagulano in un grumo di eventi, in una realt che quella della Grecia dall 800 a.C. al 500 a.C.; eventi che si co-implicano e quindi si complicano a far emergere quella realt, quella unicit che la caratterizza come l inizio: l inizio del mondo Occidentale, che si distacca da quello Orientale, senza per questo opporvisi. Principio per noi: lo vediamo quindi dal presente, dalla fine, seppur momentanea dell oggi che funge da punto di arrivo in un legame che temporale, storico, evenemenziale. Noi oggi definiamo quello il nostro principio. Oggi interpretiamo quegli eventi, quella concomitanza di eventi, come un inizio di qualcosa, quel qualcosa che crediamo siamo noi oggi. Fossimo diversi da come siamo, l inizio non sarebbe quello ma un altro evento o grumo di eventi. Il principio allora, per essere tale, sempre visto da una fine, una destinazione, un destino; la destinazione che interpreta l inizio come inizio di un flusso di eventi che porta a s stessa. sempre stato cos e sar sempre cos, come potrebbe essere altrimenti? la destinazione che narra il suo inizio. Ogni flusso di eventi, ogni storia un racconto di quella serie precisa di eventi e non altra; altrimenti la storia potrebbe non stare in piedi o essere semplicemente un altra storia, una narrazione che sceglierebbe una diversa serie di eventi ed i punti di contatto, gli eventi in comune fra le storie sarebbero ben pochi. Questo stesso ragionamento un esempio di applicazione del detto "la mappa non il territorio". Altro punto la com-plessit di questo grumo di eventi, questi cio fanno plesso insieme (cum-plexus), tutti effetti senza cause: non si danno eventi che non siano correlati e co-implicantesi l un l altro; un evento ne favorisce un altro e ne facilitato nel suo sviluppo: ci pu essere un evento che funge da catalizzatore per altri eventi che retro-agiscono su tutto quel grumo facendogli prendere una strada piuttosto che un altra. Ciascuna emergenza condiziona e contamina ogni altra emergenza ed il flusso complessivo che viene a costituirsi grazie a questi incroci, intrecci, contaminazioni. A causa di questi condizionamenti reciprochi e retroazioni, non esiste allora una causa e poi un effetto ma solo una coerenza degli effetti fra loro e per di pi una coerenza individuata da noi, secondo noi, secondo una specifica interpretazione. Abbiamo disegnato noi la mappa per interpretare il territorio. Questo ragionamento a sua volta la base di qualunque pensiero che voglia dirsi sistemico.

Ci che qui stato chiamato emergenza poi il risultato di un operazione di filtraggio nostra fra tanti altri fattori forse ugualmente significativi, una emergenza per noi oggi secondo le nostre mappe; oltretutto queste stesse emergenze altro non sono che grumi di eventi a loro volta che noi raccogliamo sotto un nome comune per raccontare la nostra storia. Questa storia, una narrazione di quella specifica serie di eventi, di quello sviluppo interpretato e letto dalla prospettiva dell oggi come suo punto momentaneo di arrivo. Credere che la storia possa essere qualcosa di diverso, qualcosa di oggettivo pura illusione, una contro-narrazione fantasiosa.

Il grumo, il plesso di eventi che caratterizza, secondo noi oggi, ci che interpretiamo come nostro inizio, come Archn del mondo Occidentale, questo: a) il rapido sviluppo marittimo e mercantile dei Greci nel Mediterraneo; b) l importazione del sillabario Fenicio, la sua rielaborazione e trasformazione in alfabeto e la conseguente comparsa della scrittura alfabetica; c) l emergere della coscienza politica e sociale con la Polis e la con-costitutiva necessit di regolamentazione della convivenza in comune (Ethos) mediante la scrittura delle leggi (Dike); d) lo sviluppo della lingua; e) il conseguente emergere del discorso argomentativo; f) l emergere della coscienza e dell individuo e di un suo spazio e ruolo. Tutti questi eventi si sono condizionati a vicenda, hanno interagito e retroagito l un l altro: hanno fatto plesso, sistema insieme. Si aperto un mondo di possibilit e di gioco per il pensiero ed il discorso che da qui potranno svilupparsi con quel senso di libert e non limitatezza propria degli inizi di qualcosa e che dar origine alla riflessione, al pensiero speculativo. Nostro inizio come civilt anche perch il citato ordine di cose, il grumo, porta a specifici e coerenti riscontri sia nello sviluppo della poesia, dall epica alla lirica e alla tragedia, sia delle arti figurative.

M ERAVI GLI A ,

STUPO RE , PRO B LEMA

I P RI NCI PI ANTI DI M I LETO


A Mileto (VI secolo a.C.) ha inizio quella che noi chiamiamo filosofia , secondo noi, secondo la nostra narrazione. Ma esiste una sensazione, una percezione del principiare? I principianti sapevano di principiare? Nessuno certo sa n pu sapere se sta dando inizio a qualcosa, ad un flusso. Il flusso sempre individuato dopo, nella fattispecie da Platone ed Aristotele che guardano ai Milesii dalla loro, di Platone ed Aristotele, prospettiva di filosofi e cos stabilendo che questi Milesii iniziarono qualcosa. Per Platone ed Aristotele filosofo significava cercatore del sapere. Il principiare, invece, visto dalla prospettiva del principiante, altro non che un fare senza sapere e quindi anche senza sapere quel che viene dopo, lo sviluppo futuro. Quel fare, per quella prospettiva principiante, sembra indeterminato, definito dalla sua virtualit, orientato verso un dove non prevedibile da quella prospettiva; siamo noi, da Platone ed Aristotele in poi, a trovare delle determinazioni, degli eventi che ci sembrano oggi aver agito in modo sotterraneo verso quel flusso che crediamo, con Platone ed Aristotele e grazie a loro, di aver individuato.

a Mileto dunque che qualcuno per primo respir l essere, ci che c . Mileto una colonia greca sul mare, in Asia Minore: due confini dunque, il mare Egeo, mare Greco, e l entroterra Asiatico, oggi diremmo fra Oriente e Occidente. Mileto esposta allora alle influenze fenicie e persiane. Influenze di genti, di idee, di tecniche, tradizioni, culture. Nelle zone di confine si confrontano identit diverse e l identit stessa diviene tema di pensiero: qui nell incontro con l altro che nascono le domande chi sono io? , dove sono? e 'da dove vengo?', 'che cosa c'?'. Nell incontro ripetuto con l altro si d un riconoscimento nel ricordo ed allora occorre chiedersi come si dia permanenza, stabilit, nel cambiamento. Mileto uno degli aspetti e dei risultati del predominio marittimo e mercantile dei Greci nel Mediterraneo e va di pari passo con gli altri aspetti che hanno caratterizzato lo sviluppo culturale dei Greci: l emergere della coscienza politica con la Polis; la con-costitutiva necessit di regolamentazione della con-vivenza in comune (Ethos) con la scrittura delle leggi (Dike); l emergere della scrittura alfabetica; lo sviluppo della lingua. Mileto il grumo, il coagulo che da Platone ed Aristotele in poi consideriamo un principio: il principio del modo occidentale di pensare.

I Milesii, i Greci, non avevano una religione rivelata, un Verbo, che stabilisse il principio, stabilisse un senso alla vita e alla morte e alle cose del mondo; la religione greca mito e poesia, non Verbo, era il mito che fungeva da narrazione del senso del mondo; l'Iliade e l'Odissea erano la lore Enciclopedia dei Saperi: vi sono descritte tutte le tecniche dal marinaio, al fabbro, al fornaio, al vasaio, ai tessitori, ai tintori, al falegname, al carpentiere, all'agricoltore, al contabile e via dicendo. Per la prospettiva principiante di Talete, Anassimandro ed Anassimene, se volevano rispondere alle domande di sempre non potevano trovare risposte in alcun Verbo ma fare affidamento solo su stessi, i propri sensi e la propria ragione, guardare in faccia la realt di cui erano parte ed alla quale partecipavano. Questo segna un confine fra il prima dei teologi e dei narratori di favole , come li chiama Aristotele, ed il dopo di chi si d la physis come oggetto di indagine, ricerca, skepsi. La physis come tutto (to pan), tutto l esistente soggetto del pensiero e soggetto al pensiero: non ci sono limiti al pensiero. Si attua allora, passo dopo passo, una transizione dallo stile mitico di spiegazione allo stile razionale che vuole andare al di l delle apparenze molteplici dei fenomeni per trovarne una struttura esplicativa; transizione che ancora in corso se pensiamo ai miti che sempre hanno tinteggiato le nostre spiegazioni nel passato (spazio e tempo assoluti di Newton, etere della fisica dell 800) e ancora lo caratterizzano (costituenti ultimi della realt).

Ma perch i Milesii principiarono a cercare, a voler sapere? Platone fa dire a Socrate rivolto a Teeteto:

E proprio del filosofo questo che tu provi, di essere pieno di meraviglia, n altro cominciamento ha il filosofare che questo . [Teeteto 155 d].
Aristotele:

tutti gli uomini [ ] per natura tendono al sapere gli uomini sia ora sia in principio, cominciarono a filosofare a causa della meraviglia (dia to thaumazein) . [Metafisica I, 1, 980 a, 1; ivi, 2, 982 b, 14-15].

La meraviglia, thaumazein, fu dunque la causa del principiare a cercare, a voler sapere per rispondere alle domande poste dal mondo stesso: meraviglia della physis, del mondo nel suo darsi ai nostri sensi e alla nostra ragione: l enigma dell essere. La vita di tutti i giorni provoca domande attraverso fatti, eventi che aspettano risposte e spiegazioni, risposte e spiegazioni che non potevano venire da alcun Verbo.

Meraviglia e stupore si danno quando, di fronte a qualcosa di nuovo, non si capisce, quando non si riesce a far rientrare qualcosa di nuovo in una griglia interpretativa esistente, in una grammatica, un codice, una logica noti, in una qualche mappa a disposizione; ci si accorge della propria ignoranza [Aristotele, Metafisica I, 2, 982 b, 15-16] e si prova un pathos, un eros che spinge a risolvere lo spaesamento: si genera allora un problema. Prblema era un impedimento, una pietra, che, in una gara di corsa, veniva gettata sul cammino dell avversario per impedirgli di continuare. Problema allora qualcosa, un fatto, che impedisce alla griglia interpretativa corrente di spiegare, assumere qualcosa di nuovo nel suo ambito; qualcosa che sta fuori griglia e quindi fuori della spiegazione, non previsto dalla mappa. Il mondo ci sfida a spiegarlo e dispiega le sue astuzie; questa la situazione di chi si meraviglia, si stupisce: vivere il problema, vivere nel problema. Per proseguire nella ricerca (skepsi) evitando o risolvendo problemi, ostacoli, occorre darsi un cammino, una via, un'intenzione. I greci chiamavano la via Mthodos: l indagine di un campo problematico di domande senza risposte, un campo che non rientrava nella griglia, con una partecipazione alle cose dell indagine, un pathos, un eros. Se, attraverso Mthodos, partecipiamo allora siamo gi parte in causa, non ne stiamo fuori. Questa la via, mthodos, che i Milesii hanno insegnato da allora in poi: a) guardare il mondo, il suo enigma, in faccia senza antropomorfismi o pregiudizi religiosi o misterici, senza pre-costituito, senza un pre-; senza interventi da parte degli dei; enigma qualcosa di meravigliante, stupefacente, che ci sorprende, ci prende sopra e ci sovrasta: proprio per questo altre civilt si rivolgevano al Dio o al mistero per la sua spiegazione; ma convinzione greca che l'enigma, a differenza del mistero, abbia al suo interno le chiavi per dischiuderne, suggerirne un'interpretazione; b) far lavorare la domanda, il pensiero, il logos, sull esperienza, trasformando l enigma in problema; c) la domanda viene posta a se stessi non al Verbo: si passa dal mistero all enigma, al problema, es-ponendosi al rischio dell insuccesso, mettendo in gioco se stessi, con il cervello acceso ed i sensi aperti all aisthesis, alla sensazione, alla percezione.

Aristotele chiama i Milesii con il nome di physiologoi, coloro che fanno un discorso sulla physis logici della physis . Che cosa physis per i Milesii? Physis la totalit dell esistente in quanto appare, in quanto diviene e pulsa secondo ritmi che sono suoi; cio le cose che appaiono come appaiono ora-qui, il divenire della totalit nel suo manifestarsi: il respiro e la luce che rendono manifesto, tolgono il velo, a tutto ci che esiste e lo pongono di fronte a noi, al nostro sguardo, alla nostra presenza.

LA

DO M A ND A.

La domanda che i Milesii si fanno chiede come si dia permanenza, stabilit, nel cambiamento. Aristotele a darci il senso della loro risposta. Questa la lettura aristotelica, dalla prospettiva di Aristotele ed in prospettiva quindi della visione delle cose da parte di Aristotele: una sua interpretazione e traduzione, e tradimento, nel suo linguaggio. Non possiamo dire che fosse anche la visione dei Milesii, ma non possiamo neppure dire il contrario. Questo comunque il senso del loro messaggio al tempo di Aristotele:

[ ] elemento e principio delle cose esistenti ci di cui tutte quante sono costituite e da cui primamente provengono e in cui alla fine vanno a corrompersi, anche perch la sostanza permane pur cangiando nelle sue affezioni, e per questo motivo essi sono del parere che nulla nasca e nulla perisca, giacch, secondo loro, un tale principio naturale si conserva sempre . [Aristotele, Metafisica, I, 3, 983 b, 9-13].
Le cose tutte (ta panta, to holon), l esistente, non esce dal nulla, ma da una realt originaria, permanente, di cui sono anche fatte le cose (piano del micro) in quanto manifestazioni della totalit; una realt originaria che si tras-forma, nella forma appunto (affezioni, variazioni), generando tutte le cose; realt alla quale tutte le cose ritornano, ciclicamente e cos in eterno (piano del macro). Interpretando a nostra volta: dei cicli di esistenza delle cose che ubbidiscono ad un movimento spiralare della totalit, un elica secondo la legge lineare del tempo. Essendo la spirale, l elica la risultante della applicazione della dimensione lineare, successione temporale, al ciclo. I fenomeni tutti, nella loro molteplicit, sono variazioni di un unico tema di ripetizione e differenza; la physis il principio di azione di tutto ci che molteplice ed in divenire spiralare continuo. Si pensa forse ad una uniformit del tutto che risponde all'esigenza, tipicamente greca di quel periodo, di giustizia (dike, la chiama Anassimandro) e quindi di eguaglianza.

Come per i miti babilonesi ed egizi e per il mito esiodeo che narravano di un Chaos originario da cui si fossero separate tutte le cose, cos i Milesii sembrano presupporre la derivazione della molteplicit di tutte le cose da una unit di cui tutte le cose sono fatte: ma questo non ci che appare e dunque rompe con l apparenza e crea uno iato fra realt e apparenza, iato che richiede una indagine. Questo scetticismo (da skepsi, ricerca) porta i Milesii a tentare di spiegare ci che i miti assumevano senza spiegazione. L indagine, la skepsi, porter i successori dei Milesii a capire che l esperienza ad essere Chaos, occorre il logos per trasformare il Chaos in Kosmos, qualcosa di ordinato; il logos una funzione fra due mondi, una trasformazione che applica elementi del codominio, il Kosmos, a elementi del dominio, il Chaos, l esperienza. cos che nasce theoria, da theorein andare a vedere di persona . Chaos la totalit cos come si d all esperienza, Kosmos il Chaos lavorato, interpretato dal logos. Ma il logos parte di Chaos, parte della totalit. Autoreferenza. Si tenta di dare una risposta alla meraviglia, allo stupore che si prova stando in faccia al mondo, al Chaos, all esperienza, all essere ma essendone parte costituente ed interpretante. Spaesamento e tragicit: in Grecia che nasce la tragedia. Ma questa un altra storia.

Si comincia a pensare. Senza paracadute. Cosa sono gli dei se non dei rassicuranti paracadute? Delle fughe dal tragico?

A NA SSI MAN DRO : T A

PANTA , TO H LO N

Quando elaboriamo un concetto o una rete di concetti, una teoria non facciamo altro che rivisitare in modo nuovo, alla luce della nostra storia, secondo la nostra esperienza, concetti che gi vivono e lavorano in noi. Il nostro concetto di olismo, il tutto pi della somma delle sue parti, e pi in generale l'approccio sistemico di interpretazione del mondo, trovano la sua prima intuizione nel pensiero di Anassimandro.

A NASSI MAND RO
Leggendo le testimonianze che lo citano, Anassimandro ha pienamente vissuto l inizio come vuoto: non c era filosofia, non c erano scienze, c erano il mito e le spiegazioni mitologiche. La sua svolta consiste nell occuparsi con atteggiamento nuovo di ci che il mito gi descriveva: contenuti che oggi noi classifichiamo con le etichette di cosmologia, astronomia, geografia, biologia, filosofia. L
A T TE G G I A M E N TO

In virt di quella rivoluzione abilitata dalla scrittura alfabetica e che sfocia nello sguardo teoretico di fronte al mondo, Anassimandro non percepisce pi le voci degli dei, non ispirato da voci divine, ma pensa con la propria testa e sperimenta un nuovo modo di esprimere il suo pensiero e si ispira forse all esempio della prosa legislativa. Anassimandro il primo pensatore greco a scrivere in prosa, senza i vincoli posti dal.metro con una concentrazione del pensiero sul senso delle parole e dei concetti espressi. La poesia non pi l unico strumento di trasmissione del sapere; la prosa caratterizzata da una maggiore univocit di senso. Lo scritto pubblico: scrivere il problema ed una proposta di soluzione un porre il problema ad altri, alla discussione in modo trasparente aprendo cos una ricerca, un indagine alla quale altri possono collaborare. Concentrandosi sul solo frammento attribuibile in modo certo ad Anassimandro, troviamo intravisto in nuce per la prima volta un modo di pensare sistemico:

Anassimandro di Mileto disse: [ ] principio [ ] delle cose che sono [ ] l apeiron [ ]. Da dove la nascita (genesis) per le cose che sono, in tal direzione ha luogo anche la loro distruzione (phtora), secondo necessit: esse infatti scontano reciprocamente la pena e il fio dell ingiustizia secondo l ordine del tempo. [Anassimandro B1] (da Simplicio, in Ph, 24, 13).

Il da dove le cose originano l apeiron e al quale ritornano ciclicamente le cose trovando la loro distruzione; questo processo di generazione (genesis) e di ritorno (distruzione, phtora) avviene ineluttabilmente, ogni cosa scontando la pena e il fio della propria esistenza, secondo l ordine del tempo. In un altro frammento, Anassimandro individua un processo di separazione e differenziazione delle singole cose dalla cosa originaria attraverso un vortice (dine);

quello che qui significativo non certo il vortice ma il capire che le cose singole devono la loro esistenza ad un processo di separazione e differenziazione; individuazione, diremmo noi.

C I CL I E SPI RAL I .
Anassimandro pensa nel suo linguaggio, quello di cui disponeva, ci che oggi, a distanza di 26 secoli, anche noi tentiamo di pensare. Tra-ducendo, dal suo al nostro linguaggio, inevitabilmente si tra-disce e si tras-ferisce ci che si tra-duce in una diversa tra-dizione, il tradotto anche tra-dito: sovrapponiamo le nostre griglie, pensiamo Anassimandro con la nostra testa e tutta la storia che gli sta dentro e dietro. Allora possiamo credere che Anassimandro ci dica, nel nostro linguaggio, che le cose tutte provengono da qualcosa di non limitato (apeiron, privo di limiti) ed anche in-definito (ariston), in cui le cose sono ancora ad uno stato indistinto; apeiron in-differenziato o forse non meglio definibile, non differenziabile. L apeiron anche ci di cui allo stesso tempo le cose, il molteplice, sono costituite e da cui vengono all esistenza differenziandosi,: apeiron allora qualcosa determinato solo dalla sua estensione, infinit che abbraccia e governa tutte le cose, origine e legge di tutte le cose: sostanza e legge del mondo. Il Tutto avvolge, abbraccia tutte le cose e le governa. Il processo attraverso il quale le cose, il molteplice, vengono al mondo un processo di separazione dall'indistinto, differenziazione, individuazione che si produce a causa del continuo movimento dell apeiron che lo scinde in elementi che si contrappongono l'un l'altro. La separazione rottura dell unit di apeiron, il prodursi della diversit e del contrasto. Le cose tutte, molteplici, diverse, in contrasto fra loro, differenziandosi e quindi individuandosi e limitandosi, dandosi dei limiti in opposizione l un l altra, separandosi dall apeiron, hanno la loro esistenza al termine della quale ritornano all in-definito: oscillano fra genesis e phtora. Cos deve essere, necessariamente, ineluttabilmente, per ristabilire l unit dell apeiron, ristabilendo la giustizia (dike); rientrando nell apeiron le cose si de-individualizzano, si dedifferenziano rientrando nell indifferenziato. Le cose esistenti allora ubbidiscono ad una legge (dike) che impone che debbano alternarsi reciprocamente, l un l altra cos implicando una regolarit del mutamento. Alternarsi di realt che si oppongono, nell ambito del tutto, secondo l ordine del tempo (chronos), ora l una ora l altra. Sembra essere il tempo quindi a farsi carico della legge . Interpretando: la freccia del tempo che pone l ordinamento, quindi la successione, l ora...ora...; il tempo ponendo la dimensione lineare della successione im-pone l andamento spiralare al ciclo delle esistenze. A differenza del tempo eterno, ciclico, tempo di istanti indifferenziati (aion) tipico del mito, dell'epos, qui il tempo inteso come chronos, successione di istanti distinti.

I NTE RP RE TANDO S ECONDO I NOST RI SCH EM I DI RAGI ONAMENTO


Lo schema di questi ragionamenti, tradotto nel nostro linguaggio, sulla base delle nostre griglie interpretative, isomorfo ad alcuni nostri attuali schemi di ragionamento propri del pensiero sistemico. Oggi quel pensiero pu essere tras-ferito, tra-dotto (e tra-dito) in griglie che utilizzano i nostri concetti di sistema e ambiente e quello della loro co-evoluzione. S I S TE M A
E A MB I E N TE , L E F O R Z E I N G I O CO .

Quando si ha evoluzione di un sistema di elementi si produce, da un lato, una perdita di potenzialit del sistema nel suo complesso, una limitazione della sua possibilit di movimento a causa di una maggiore differenziazione e organizzazione del sistema cio mediante la definizione organizzatrice di un ordine gerarchico (struttura) che crea dei vincoli al sistema e, dall'altro la creazione di confini labili e non stabili determinati dal movimento delle parti e dalle aggregazioni degli elementi del sistema. Sistema e ambiente si modificano in modo autonomo e attraverso differenti dinamiche; durante l evoluzione si verifica non solo un adattamento del sistema all ambiente ma anche una deriva strutturale : il sistema non si adegua semplicemente alle variazioni esterne, ma conserva sia una sua stabilit interna (ciclo) sia l interazione con l ambiente (spirale) ottenendo quindi un accoppiamento strutturale tra un ordine ciclico (per es. metabolico) ed un ordine spiralare (per es. spirale evolutiva). Il ciclo (per es. metabolico) risponde primariamente ad una esigenza di efficienza interna mentre la spirale (per es. evolutiva) risponde ad una esigenza di efficacia di sviluppo complessiva del sistema. L esigenza di efficienza metabolica si traduce, per il sistema, nel fare meglio le cose che fa, nel perseguire quindi un eccellenza operativa. Vengono allora standardizzati i comportamenti ripetitivi, di routine e si utilizzano meglio le risorse e le competenze del sistema. Se il fine la autoconservazione dell autonomia propria del sistema allora l organizzazione del sistema avr un ordine ciclico e ritmico delle funzioni regolato dal tempo interno al sistema (chiusura operativa) che si costituisce come una unit di interazioni. Conseguentemente i flussi reali si muoveranno il meno possibile per poter perseguire una ottimizzazione dei flussi cio la massima efficienza metabolica. A mo' di esempio: le termiti sono organizzate in termitai secondo modalit pi o meno stabili, almeno secondo quanto ne sappiamo o comunque stabili rispetto ad es. alla storia dell'uomo; la loro organizzazione, il termitaio come insieme, in una situazione metabolica ciclica, ripetitiva, estremamente efficiente. L esigenza di efficacia di sviluppo si traduce invece nel fare innovativo, fuori degli schemi ripetitivi e nel fare cose alternative; in altri termini nell aprirsi al possibile cercando, tentando una differenziazione strategica, una evoluzione. Questo implica da parte del sistema una flessibilit ed un'apertura a modelli alternativi. La struttura flessibile ed aperta permette continue variazioni del tema originario, segue cio un ordine spiralare aperto alle trasformazioni e alle relazioni con l ambiente esterno, ordine spiralare che conserva l esperienza, ha una sua memoria, pu fare confronti, pi o meno impliciti, e operare una scelta. In questa dinamica i sistemi aperti devono assicurarsi l entropia negativa (per es. Informazione, risorse, energia) attraverso l assorbimento di input materiali e immateriali in quantit superiore a quella necessaria per il funzionamento. Conseguentemente i flussi informativi devono

muoversi il pi liberamente possibile per poter perseguire la massima integrazione dei processi cio la massima efficacia nello sviluppo del sistema nel tempo. Questa l'evoluzione del sistema. Come esempio si prenda la stessa evoluzione degli ominidi dallo stadio pi vicino ai primati fino all'uomo sapiens sapiens (l'attuale). Il presente di ogni sistema un reticolo di continui adattamenti e continue derive strutturali in divenire perenne, processo che fa parte dell'evoluzione. In questo senso il presente condizionato dal passato ed anticipatore del futuro. Gli avvenimenti passati e futuri non possono modificare direttamente il presente, la loro interpretazione, secondo una determinata griglia, mappa, e quindi la loro traduzione in azioni nel presente che pu condizionare gli eventi presenti: soltanto gli eventi presenti hanno la possibilit di modificare in maniera diretta altri eventi presenti. Quanto agli eventi futuri questi saranno analogamente condizionati dagli eventi che oggi sono presenti secondo la medesima dinamica. Questa dinamica, questo cambiamento si verifica nella struttura del sistema che rappresenta l organizzazione in un dato momento di tempo. Il comportamento del sistema , in ultima analisi, la risultante dei cambiamenti di azione e di posizione di un sistema ed regolato da una intenzionalit, un progetto esplicito o implicito, che funge da sistema di riferimento per la conservazione e l adattamento del sistema. In quest ottica, la competizione nell ambiente in funzione di questo fine, non fine a s stessa. Come esempio si pu pensare a come si siano modificate le attivit commerciali dai primordi Assiri all'oggi di internet. Queste dinamiche sono comuni sia ad elementi individuali sia ad organizzazioni complesse di quegli elementi e rispondono alla domanda che i Milesii per primi si posero di come sia possibile la permanenza, la stabilit, nel cambiamento continuo: come sia possibile per un elemento, individuo, una organizzazione, rimanere se stesso in un ambiente in divenire continuo al quale deve continuamente adattarsi e quindi cambiare esso stesso. Il pensiero chiave che stabilit e cambiamento sono opposti ma non contraddittori, stanno in opposizione ma non in contraddizione: questo il tema sviluppato da Eraclito. come se stabilit e cambiamento interagissero reciprocamente (tensione, ritmo) in una sorta di danza che ha l intenzionalit, un progetto (il desiderio, un conatus, un impetus, lo chiamer la filosofia moderna) come coreografia. L intenzionalit, il desiderio la molla o leva che guida l esistenza dei sistemi dal pi semplice al pi complesso al fine di ridurre la distanza costituzionale fra il sistema e gli altri sistemi, fra il sistema e l ambiente, il mondo. In questa modalit di esistenza il sistema cresce ed evolve imparando passo dopo passo e rimanendo se stesso nelle sue intenzioni (nel suo desiderio, la sua identit, la sua memoria) e cambiando adattandosi all ambiente circostante, al mondo.

E RACLI TO
In Eraclito il ritmo regola anche la sua prosa, attraverso la quale voleva forse mostrare un messaggio che, pi che enunciato, mostrato all'opera: un gioco di aforismi (cos ci sembrano oggi, essendo andata perduta l'opera nel suo insieme, ma cos sembravano anche ai tempi di Socrate), molti dei suoi frammenti sono come pennellate che esemplificano situazioni in contrasto apparente, un gioco che mostra appunto il ritmo, la danza delle opposizioni che prendono senso, per noi, gli

interpretanti, solo nell'ambito della danza stessa e danza che non si d senza di loro. Questa l'apertura di senso vissuta e frequentata da Eraclito.

Gli antichi riportano che Eraclito avrebbe lasciato il suo libro nel tempio della dea Artemide. Occorre capirne il senso: Artemide essa stessa di natura ambigua, si mostra in situazioni al confine: paludi, golene, aree dove la terra si confonde con le acque del fiume o del mare, dove l'uno si mostra nel contatto e a scapito dell'altro, per opposizione ma anche per compenetrazione; gli opposti interferiscono e i loro limiti si con-fondono, si fondono l'un l'altro. Artemide dunque doppia, abita la soglia fra mondi diversi e ne ammorbidisce le differenze. Il Greco nella figura di Artemide vedeva quel movimento, quella tensione che noi chiamiamo ricerca di un equilibrio fra propriet opposte, stando sul limite di una transizione, dove le identit dei poli opposti si fondono e quindi confondono nella perdita d'identit, nella tensione che fa da perno e lega gli opposti l'uno all'altro. Metamorfosi, trasformazione di forma, mutamento della forma e stabilit della sostanza. Limite che unisce separando e separa unendo, congiunge disgiungendo e disgiunge congiungendo. Anche questa dialettica di stabilit e cambiamento.

Eraclito, per porsi la domanda sul come accadono le cose, indaga queste opposizioni ed esplicita la teoresi di questo gioco degli opposti; vuole mostrare come le nostre esperienze di tutti i giorni, anche quando sembrano individuare situazioni contrapposte, nascondano un senso pi intimo di armonia. L'armonia non si mostra certo n ai sensi n alla mente, ma pervade il tutto ed essa stessa costituisce le relazioni fra le cose, dandogli cos un senso che quindi nell'armonia, l'armonia: sintesi della tensione dinamica fra opposti. Eraclito vede questa dialettica degli opposti non sole nelle cose ma anche nella nostra esperienza e nel modo in cui ce la rappresentiamo e ne parliamo. L'armonia allora un vissuto umano all'interno della relazione che co-involge due strutture in rapporto apparentemente contrappositivo ma destinate a con-fondersi in un medio: qui il termine medio fra i poli incluso, non<A o nonA> secondo una logica del terzo incluso; la logica del terzo escluso, <A o nonA>, sar invece una formulazione aristotelica): l'armonia sia una dimensione relazionale del movimento sia il complesso dei nessi logici che stringono insieme il mondo di cui facciamo esperienza ed il nostro stesso modo di fare esperienza. Le stesse regole logiche e percettive che permettono il riconoscimento dell'unit nella struttura sono quelle che collegano e danno unit alle multiformi dimensioni dell'esperienza: questa si costituisce allora all'interno delle relazioni formali che legano e regolano il rapporto fra opposti. In termini nostri: il racconto dell'esperienza costitutivo dell'esperienza; rovesciando: l'esperienza costituita dal racconto che ne facciamo.

Eraclito si rende conto che il nostro modo di vivere il mondo e farne esperienza si gioca nell'ambito di una relazione originaria fra opposizioni: dell'esperire il divenire del mondo si possono sempre dare almeno due interpretazioni, due griglie di senso e noi ci viviamo in mezzo, anzi sono la nostra condizione di esistenza.

Come i Milesii gi sapevano, ogni istante del tempo vissuto, esperienziale, appartiene al contrapporsi fra stabilit e cambiamento; ma allora il tempo dell'esperienza appartiene tanto al flusso spiralare del mondo quanto alla ripetizione ciclica e il fiume (vedi sotto) immagine del ritmo. Il permanere ed il riproporsi delle opposizioni suggerisce che ogni esperienza vada interpretata come interna ad un ciclo: di conseguenza lo stesso fenomeno, la stessa cosa assume significati diversi, in funzione del ed in dipendenza dal punto di vista (oggi chiameremmo questa posizione 'prospettivismo'). Ancora: il racconto dell'esperienza la costituisce al contempo.

La cosa svela la sua natura implicitamente alludendo al proprio ruolo e posizione nel ciclo: la multiformit di apparizione delle cose va colta quindi nel momento della sua costituzione, nel suo assumere una forma attraverso le opposizioni che mascherano l'unit sottostante al molteplice. Ogni cosa, la realt, la natura cio talmente profonda da giustificare contemporaneamente contrapposte esperienze e predicazioni discorsive che confliggono fra loro; questa profondit fa parte del suo modo di darsi, qui sta la radice dell'identit della cosa: identit, stabilit nel cambiamento (dialettica di identit della cosa e molteplicit delle sue manifestazioni).

Esperiamo le cose per le differenze che caratterizzano le loro apparizioni: mai la cosa in modo diretto, immediato, non mediato, ma sempre mediato dall'esperienza che ne abbiamo e dalle predicazioni discorsive che ne diamo; "la natura ama nascondersi". Anche questo 'nascondimento' fa parte dell'esperienza stessa ed suggerito dal lavoro di interpretazione delle opposizioni a partire da un punto di vista, un' interpretazione che sovrapponendo una griglia di predicazioni alle esperienze ne produce un senso. Senso che quindi oscilla da un polo all'altro delle nostre predicazioni oppositive, dipende dal nostro modo di vivere queste opposizioni e di interpretarne le relazioni, rispetto alla stabilit, al permanere della cosa, alla sua identit. Un ritmo contrappositivo che mostra l'articolarsi delle relazioni fra struttura e predicazioni possibili nell'opposizione; il ritmo tempo e l'alternarsi danza fra opposizione ed identit. Armonia allora conquista e perdita alternata di un perno che medi fra due fasi opposte (il termine medio incluso) che assorba le sollecitazioni dell'ambiente, che realizzi l'adattamento dell'intero nell'ambiente (vedi Omero, la descrizione della costruzione della nave).

Questa la logica eraclitea del logos: logica che cerca di cogliere l' alternarsi delle opposizioni attraverso la ripetizione, che permetta di cogliere l'unit dietro le opposizioni identit nel flusso e trasformazione.

Alcuni frammenti:

"la via in su e la via in gi sono una e la medesima"


Il limite fra le due vie allude alla possibile convergenza fra le due opposizioni.

"la stessa cosa sono il vivo e il morto, il desto e il dormiente, il giovane e il vecchio: questi mutando trapassano in quelli e quelli ritornano a questi"
Questi sono tutti esempi dei conflitti caratteristici del nostro modo di far esperienza delle cose: opposte propriet si applicano alle stesse cose secondo la regola della metamorfosi (p. es. desto / dormiente); gli elementi si scambiano i ruoli, convergono gli uni verso gli altri e alludono ad un limite in comune. Le coppie contrapposte hanno complementarit logica, richiamandosi come poli che non possono separarsi, trovando il loro significato nella differenziazione reciproca degli opposti" (vivo/morto: vivo e morto si danno contemporaneamente, in quanto sono l'uno la condizione di possibilit dell'altro).

"il freddo si riscalda, il caldo si raffredda, l'umido si secca, l'arido si bagna" "connessioni: / intero e non intero / convergente e divergente / consonante dissonante : / da tutto l'uno / dall'uno il tutto" "nello stesso fiume entriamo e non entriamo, siamo e non siamo"
Questi sono esempi della transitivit delle modalit dell'esperienza: il darsi dell'esperienza dipende dal nostro modo di interpretarla come esperienza del cambiamento e della ripetizione, spirale e ciclo vedi Anassimandro; cambiamento e ripetizione giocando insieme ci suggeriscono che le nostre esperienze si rifanno a predicazioni opposte che confliggono tra loro. Siamo come sospesi fra cambiamento e permanenza della sostanza e presi nel gioco delle apparenze; siamo tenuti a metterci in questo gioco, dove permanenza e cambiamento si coappartengono in modo originario. Se cos nessuno pu uscire dall'ambito della propria esperienza e delle proprie predicazioni discorsive. Ancora: il racconto dell'esperienza la costituisce al contempo. Vedi sotto i paradossi di Zenone di Elea e Eubulide di Megara.

L'equilibrio si d solo nella convergenza e divergenza nel trapassare da una forma ad un'altra, da una manifestazione all'altra, da un'apparenza all'altra: ci che rimane fermo l'armonia che sola prelude all'attribuzione di senso. Vedi sopra Anassimandro.

ci che contrasta concorre e da elementi che discordano si ha la pi bella armonia armonia invisibile della visibile migliore

Per Eraclito le contrapposizioni si equilibrano vicendevolmente e reciprocamente si stemperano: quando ci che contrasta con-corre, corre insieme,

nasce un equilibrio, un'armonia che si basa su queste contrapposizioni dinamiche e le regola.

Z ENO NE

DI

E LEA

Anche Zenone di Elea vive l'aporia del linguaggio che dice il mondo, la nostra esperienza del mondo e abita la distanza fra linguaggio ed esperienza, l' irriducibile differenza, la frattura e l'abisso incolmabile: il mondo, la nostra esperienza del mondo, ci sopravanza, sopravanza il nostro linguaggio e il nostro pensiero.

Zenone di Elea ha pensato l'infinito e ha vissuto l'impossibilit filosofica, logica e matematica di rendere conto dell infinito mediante il finito. Problema gi emerso presso i Pitagorici con la scoperta dell'incommensurabilit della diagonale del quadrato con il suo lato. Abitiamo ancora le sue aporie e le abiteremo sempre. La storia del calcolo infinitesimale solo un grande ed inesauribile commento a Zenone.

Sono famosi i suoi paradossi noti come il 'paradosso di Achille e la tartaruga' e il 'paradosso della freccia', qui Zenone indaga il concetto di infinita divisibilit sia questa dello spazio o del tempo. Nel paradosso di Achille, in una gara immaginaria fra Achille e la tartaruga, Achille concede un vantaggio spaziale alla tartaruga, ma proprio per questo Achille non riuscir mai a raggiungerla, perch quando Achille avr percorso lo spazio relativo al vantaggio, la tartaruga si sar spostata in avanti, e ancora dopo che Achille avr percorso anche questo spazio, la tartaruga si sar spostata un po' pi in l, e cos via, all'infinito. Nel paradosso della freccia la logica muove ancora dalla considerazione che per arrivare da un punto ad un altro occorre prima percorrere la prima met della distanza che li separa; prima di percorrerne la met bisogna percorrerne un quarto, e cos via, all'infinito. Il meccanismo logico sottostante il medesimo: per raggiungere un punto preciso, bisogna prima raggiungerne il punto medio; per giungere ad esso si deve arrivare a sua volta al suo punto medio, e ancora al punto medio del punto medio ecc, cos stando fermi sullo stesso punto di partenza.

Ma la nostra esperienza non ci dice questo: Achille raggiunge la tartaruga e la supera, la freccia percorre la sua traiettoria fino al bersaglio. Ma allora il nostro linguaggio non riesce a rappresentare l'esperienza: l'esperienza ci sopravanza. Certo, Eraclito l'aveva intuito: il racconto dell'esperienza costitutivo dell'esperienza; l'esperienza costituita dal racconto che ne facciamo. Questi paradossi oggi possono essere intesi come metafora della nostra esistenza; un esempio in pi, quello di Zenone, per mostrare come abbiamo costruito e continuamente, ogni giorno, indefinitamente costruiamo il nostro labirinto. Non possiamo farne a meno: il nostro modo di abitare il mondo. Umano, troppo umano, disse Nietzsche. in questo periodo che nasce e si sviluppa la tragedia greca ad opera di Eschilo e Sofocle. Non certo una coincidenza.

E PI MENI DE

DI

C RE TA

E UB ULI DE

DI

M EGARA

Ad Epimenide si attribuisce il paradosso del Mentitore: "I cretesi sono bugiardi", e, dal momento che Epimenide cretese, come dire: "io mento". In realt questo non ancora un paradosso; il vero paradosso si deve a Eubulide di Megara, IV secolo a.C: "In questo momento sto mentendo". La frase non pu essere vera perch altrimenti sarebbe falsa; ma non pu neppure essere falsa, perch altrimenti sarebbe vero il contrario, cio sarebbe vera. In logica come dire: "A se e solo se non-A"; se ammettiamo A allora risulta non-A e se ammettiamo non-A allora risulta A; se una certa cosa gode di una certa propriet, allora non ce l'ha, e se non l'ha, allora ce l'ha". Questo un enunciato che parla di se stesso, un enunciato che dice di se stesso di essere menzoniero: autoriferimento. Spaesante.

Qui il linguaggio subisce uno scacco, si inceppa e dunque si inceppano anche le pretese di asserire verit o falsit. La cosa si pu certo risolvere con il ricorso ad un meta-discorso, nel quale comunque si riprodurr la stessa situazione con un ulteriore ricorso ad un meta-meta-discorso e cos via, ricorsivamente, all'infinito. Si pu certo porre un tappo a questo ricorso infinito postulando un al di l del ricorso: ci che fa la religione, lo chiama Dio. Un trompe-l'oeil a mascherare e imbellire la realt. Una mappa di tutte le mappe: la Biblioteca di Babele di J. L. Borges. proprio questo ricorso all'infinito il prodotto primo dell'autoriferimento, il suo indice: l'autoriferimento infatti il meccanismo delle lingue naturali per produrre ricorsivamente l'infinito; per esempio nelle filastrocche per bambini. Pensiamolo, rovesciandolo anche: per produrre l'infinito nel linguaggio, entro in un autoriferimento: mi riferisco al mio stesso linguaggio cio a me stesso e cos produco l'infinito. Di qui non si esce.

Tutto questo vero se pretendiamo di valutare la verit o falsit dell'enunciato del mentitore in generale. Valutarlo in generale equivale a dire che lo valutiamo in modo panoramico, considerando tutte le sue alternanze in un colpo solo, come farebbe appunto un saper assoluto, ab-solutus, sciolto da, che non ha niente a che fare con, ancora Dio. Se non abbiamo questa pretesa l'enunciato del mentitore semplicemente alternativamente vero o falso. Altra oscillazione fra poli opposti. Se cio lo scorriamo lungo le sue alternative e ci fermiamo, arrestiamo il movimento del ricorso all'infinito, allora l'enunciato appunto o vero o falso. Di qui, ancora, non si esce: non possibile dire una verit 'panoramica' vera sempre, ovunque. La verit contestuale essendo ineluttabilmente contestuale il linguaggio che la dice. Ripetendomi: il racconto dell'esperienza costitutivo dell'esperienza, dunque l'esperienza costituita dal racconto che ne facciamo.

Duemilacinquecento anni di tentativi non hanno risolto il problema, perch irresolvibile: la descrizione del problema, cos come il suo tentativo di soluzione sono

necessariamente linguistici, detti in un linguaggio; dal linguaggio non si esce. Come dire: non pensare (anche pensare gi attivit linguistica) e taci e sei nel vero: questa infatti la scelta mistica. Su ci, di cui non si pu parlare, si deve tacere. secondo la settima proposizione del Tractatus logico-philosophicus di L. Wittgenstein. Se pensi, se parli vivi l'alternanza del vero e del falso. Il paradosso allora solo un'immagine, un esempio della pi generale impossibilit di uscita dal linguaggio e quindi dall autoriferimento: il linguaggio nostro, una mappa, non il territorio. Non si puo' uscire dalla propria ombra, non ci si pu sollevare tirandosi per i capelli.

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