Virgilio Ilari
RECLUTAMENTO E COSCRIZIONE
IN ITALIA
DURANTE LE
GUERRE NAPOLEONICHE
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Ilari – Reclutamento e coscrizione 1800-1815 3
Il modello francese
Sulla storia e la tipologia dei sistemi di reclutamento corrono idee e pregiudizi
del tutto erronei. Forse il più diffuso, perfino tra gli storici militari, è di credere che
la coscrizione obbligatoria sia stata istituita dalla Rivoluzione francese. In realtà
tra le altre istituzioni d’antico regime soppresse il 4 agosto 1789 c’era anche
l’obbligo di milizia (una servitù personale risalente al Cinquecento, ossia l’epoca
della “rivoluzione militare” ispirata al modello delle legioni romane, parallela alla
creazione dello stato “moderno”, definito “antico” dopo il 1789). La “guardia
borghese”, istituita l’8 luglio su proposta di Mirabeau e in seguito trasformata in
“nazionale”, non era concepita come forza per la difesa esterna o base di
reclutamento dell’esercito, ma come “force publique du dédans”, con funzione di
“frein et contrepoids” politico della “force publique du dehors” a disposizione del
sovrano. Inoltre anche la guardia era reclutata su base volontaria. Il 16 dicembre
l’Assemblea respinse il progetto di coscrizione universale obbligatoria presentato
dal generale Dubois Crancé e caldeggiato dal famoso scrittore militare Guibert,
sull’assunto che “serait une atteinte à la liberté des pères de famille”, ma il 5 luglio
1792 ripristinò di fatto l’obbligo di milizia, disponendo che la guardia nazionale
designasse per votazione un’aliquota dei propri iscritti destinati a “marcher”,
secondo i contingenti richiesti dal potere legislativo quando quest’ultimo avesse
dichiarato “la patrie en danger”. La norma autorizzò le deliberazioni straordinarie
del 24 febbraio (quando la Convenzione dichiarò “en état de réquisition
permanente” fino al completamento della leva i celibi dai 18 ai 40 anni) e del 23
agosto 1793 (la cosiddetta “leva in massa” dei requisiti dai 18 ai 25 anni). L’art.
286 della Costituzione dell’anno III (1795), base di riferimento delle costituzioni
giacobine italiane, stabilì che “l’armée de terre se forme par enrôlement volontaire,
et, en cas de besoin, par le mode que la loi détermine”. Fu solo nel luglio 1798 che
il Consiglio dei Cinquecento affrontò la questione del sistema di reclutamento
dell’esercito, approvando il 5 settembre la “loi relative au mode de formation de
l’armée de terre” proposta dal generale Jean Baptiste Jourdan, detta “loi de
conscription”. Formata da 55 articoli raggruppati in 4 titoli (principi generali,
arruolamenti volontari, obbligo di coscrizione e modalità esecutive), la legge
Jourdan ispirò le analoghe leggi cisalpina e romana del 1798 e italiana del 1802 e
rimase in vigore sino al 1818, consentendo il reclutamento delle armate
napoleoniche mediante leva selettiva tra 5 classi(21- 25 anni) e ferma quinquennale.
funzionario, il capoburò Lancetti, che a sua volta, nella seduta del 23,
coperse il ministro, dichiarando di aver disposto la pubblicazione per
eccesso di zelo.
In ogni modo le norme urgenti furono emanate con circolare
ministeriale del 18 marzo. Disponevano di interrogare le aspiranti
reclute per accertarne la provenienza e di arruolare a preferenza
nazionali o francesi (purché muniti di regolare congedo o in grado di
dimostrare di non essere emigrati), escludendo i forestieri privi di
certificato di buona condotta o sospetti disertori da eserciti esteri. Le
reclute dovevano essere accettate solo dopo visita medica. Il premio di
ingaggio era di 15 lire, di cui 3 all’eventuale intermediario. Gli ingaggi
dovevano essere annotati su apposito registro numerato e sottoscritti
dalla recluta (se era in grado di farlo), informandola che la ferma era
di almeno 3 anni consecutivi. Vitto e soldo spettavano dal momento
dell’ingaggio, ma il deposito doveva consegnare solo camicia e scarpe,
mentre il resto del corredo e la montura erano consegnati al corpo. In
attesa della partenza i sottufficiali del deposito provvedevano ad
istruire le reclute negli esercizi militari e nei doveri del soldato.
Assieme all’ordinamento su 40.000 uomini, il 29 aprile il corpo
legislativo approvò un regolamento organico sull’arruolamento
volontario, fissando i seguenti requisiti:
• età minima 17 anni, massima 36 (ridotta a 31 per la cavalleria);
• possesso di carta di residenza non anteriore a tre mesi o certificato
equipollente per i forestieri (con allegata dichiarazione di volersi stabilire nel
territorio cisalpino e prestare il giuramento delle truppe cisalpine);
• certificato di sana e robusta costituzione e idoneità al servizio militare
rilasciato dal chirurgo dell’ospedale militare (confermate da ulteriore visita
medica di controllo da parte del chirurgo del corpo);
• non essere reo di azioni criminose o disertore o fuggitivo dalle truppe
cisalpine;
• istruzione elementare (ma soltanto a partire dall’anno XII della Repubblica,
1810).
Era vietato agli enti locali concedere dispense se non per malattia
cronica o cattiva conformazione del corpo certificata da medico o
chirurgo e vidimata dall’amministrazione municipale. Non erano
ammessi cambi e l’art. 28 consentiva la sostituzione soltanto tra
fratelli. Tuttavia l’art. 24 concedeva sconti di ferma e altre
provvidenze a chi si arruolava volontario prima del sorteggio. Le
centrali dovevano mantenere a numero il contingente dipartimentale,
attingendo man mano i rimpiazzi dei disertori dalle corrispondenti liste
di estrazione.
C. La riforma Melzi
Tanto geniale, quanto poco originale. L’idea dei soldati bambini (che
oggi consideriamo giustamente un crimine internazionale) era infatti il
quinto sistema di reclutamento dell’esercito “perpetuo” (permanente)
illustrato da Montecuccoli negli Aforismi del 1668-70 (Della guerra
contro il Turco in Ungheria, libro III, cap. II, sezioni 7-12): ossia le
“accademie militari” (“ad imitazione de’ Giannizzeri del Serraglio”) in
cui gli emarginati (orfani, bastardi, mendicanti e poveri alimentati
negli ospedali) erano allevati come cani da guerra in cambio della
pubblica “assistenza”.
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11. COSCRIZIONE
E RENITENZA
a Nord e 1.876 a Sud del Po), con un debito di 929 (789+110), meno
di un sesto del contingente. Visto il buon esito dell’amnistia, lo stesso
15 ottobre il termine di presentazione fu prorogato di un mese.
Meno entusiasmante era però il saldo tra incorporazioni e perdite. In
sette mesi, dal 1° febbraio al 1° novembre, la linea aveva perduto altri
5.612 uomini: 1.053 passati ad altri corpi, 3.120 disertati e 1.439 per
altra causa. Tra questi ultimi ben 446 deceduti, pari ad un tasso di
mortalità di circa il 5 per cento su base annua e in tempo di pace: un
indizio eloquente delle condizioni di vita nelle caserme e delle cause
della diserzione. In diciassette mesi, dall’11 giugno 1803, la linea
aveva incorporato almeno 22.000 dei 24.000 coscritti richiesti: ma ne
aveva perduti più della metà (11.912). Un ottavo delle reclute era
servita infatti a rimpiazzare i volontari (2.684) passati nella guardia
reale o nella gendarmeria, un terzo (7.419) aveva disertato e il resto
era stato perduto per decessi (613), congedi (842) e ragioni disciplinari
(49 condannati e 406 cassati dai ruoli). Il saldo attivo (10.000 uomini)
aveva consentito l’invio di truppe all’estero (1 divisione in Francia e 2
reggimenti nazionali in Puglia e all’Elba) e il mantenimento in patria
di una “Divisione dell’Interno”, ma era ancora la metà dell’obiettivo di
forza (18.000) fissato dalla legge Melzi.
Aulla (Crostolo) notava che per la prima volta nel suo distretto non si
erano registrati renitenti (i 300 renitenti attribuiti a ciascuno dei
cantoni di Villafranca e Fosdinovo erano frutto di errori commessi
dalle rispettive commissioni di leva). Il lieve ritardo della coscrizione,
scriveva il 19 gennaio il viceré, era dipeso solo dalla mancanza di
panno per le uniformi.
Il 29 gennaio – euforico per il buon esito della leva e per gli elogi di
Napoleone ai soldati italiani, che nel 29° bollettino dell’Armata di
Spagna erano stati dichiarati degni delle antiche legioni romane –
Caffarelli annunciò ai colonnelli che tutti i 6.000 coscritti requisiti per
l’armata attiva erano ormai ai corpi o in marcia per raggiungerli e
raccomandò di destare l’“ardore marziale” dei nuovi soldati, “spingere
e sollecitare” l’istruzione, “renderli sempre più attaccati all’ottimo
governo”, “garantire” loro “che questa bella contrada non sarà più il
teatro della guerra”, come appunto profetizzava il citato bollettino.
Ad essere pignoli il successo della leva non era proprio completo, se
a giugno restava ancora un debito di 500 uomini, pari a un dodicesimo
del contingente. In ogni modo il 15 febbraio mancavano 13.000
uomini (sia pure coperti dai riservisti) al “gran completo” di 58.564.
inclusi 20.000 dei dipartimenti italiani, aggiungendo alla leva del 1813
(137.000) la leva anticipata del 1814 (240.000), recuperi sulle sei leve
precedenti (180.000), la guardia nazionale mobile (78.000) e altre
categorie (38.000). Un decreto imperiale del 22 dicembre 1812 vietò
inoltre, sotto pena di reclusione, il procacciamento di “cambi” francesi
per i coscritti italiani.
L’Italia non poteva tirarsi indietro, né bastavano i “doni gratuiti” od
“offerte spontanee” da parte delle città, comuni e corporazioni (in
realtà sollecitati dal governo con varie forme di pressione). In gennaio
Fontanelli propose di chiamare alle armi 30.000 uomini, metà sulla
leva anticipata del 1814 e il resto con recuperi sulle leve precedenti.
L’intervento di Melzi, che il 13 febbraio ebbe un incontro col ministro,
ottenne di congelare per il momento il recupero delle classi precedenti
e il 26 Napoleone decretò il solo anticipo del 1814, con un contingente
di 15.559 uomini, di cui solo 2.061 di riserva (inquadrati in 24
compagnie dipartimentali). Inoltre fu concesso ai comuni che avevano
offerto “cavalli montati” (ossia completi di cavaliere equipaggiato) di
computarli a sconto del proprio contingente.
Con circolare del 17 gennaio Fontanelli aveva intanto provveduto a
regolare il modo di riscossione delle tasse e multe militari. Più tardi
fece arrestare una banda di medici e chirurghi che esoneravano “a
denari”. Il 23 marzo il direttore generale di polizia segnalò disordini
nell’Adda, dove funzionari del governo erano stati minacciati di morte
ed erano comparse bande di disertori provenienti dal Tirolo per
reclutare i renitenti. Il 28 aprile il generale comandante del Lario,
Adda e Canton Ticino segnalò che a Grosio erano stati strappati gli
avvisi della leva e a Sondalo c’era tensione. Ma negli altri dipartimenti
l’estrazione si fece regolarmente il 22 aprile e il 1° maggio Melzi
scrisse al viceré che la leva procedeva abbastanza bene. L’8 Fontanelli
comunicò che poteva dirsi conclusa, avendo ormai 14.473 coscritti
raggiunto i depositi.
Nel contingente dovrebbero essere inclusi anche i 2.016 uomini (con
3.689 cavalli, 3.048 bardature, 2.070 paia di scarpe e 2.323 camicie)
che al 1° aprile risultavano offerti dai comuni e che furono reclutati sui
base volontaria con premio fino a 1.500 fiorini. (Le altre offerte erano:
574.750 lire, 25.427 libbre d’argento, 1.828 di corame, oltre 1 milione
di metri di tela o panno, 100 granate da ventiquattro, 600 palle da
cannone, 100 sciabole e 120 canne da fucile).
Lo stesso ministero aveva messo allo studio l’ipotesi di creare uffici
militari dipartimentali per il reclutamento di supplenti. In giugno (a
leva ormai conclusa!) tale Carlantonio Biffi chiese l’autorizzazione,
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Padova città, 179 del distretto, 256, 156 e 175 dei distretti di Este,
Piove di Sacco e Camposampiero).
Il 16 ottobre Melzi protestò per l’inclusione degli ammogliati. Il 19
il viceré gli rispose che c’era bisogno di uomini e che stavolta la leva
non era fatta per “conquistare” ma per “difendere il proprio territorio”
e gli ammogliati avevano “un interesse ancora maggiore degli altri”
alla difesa del proprio paese. Tuttavia con decreto del 31 i requisiti
della V lista furono destinati alle compagnie “stanziali”. Il 23 Melzi
scrisse che la coscrizione incontrava ovunque “la più grande
repugnanza”. Lo stesso giorno un diarista milanese annotò che il costo
di un supplente era salito anche a 5 o 6.000 lire.
Le due circolari ai parroci (17 ottobre e 12 novembre) emanate dal
ministro del culto ebbero scarso effetto. Il 19 novembre il prefetto del
Lario biasimava la freddezza dimostrata dai parroci: qualcuno aveva
letto ai fedeli le circolari, ma “con tono equivoco” e sabotando
“sordamente gli effetti”. Il 31 ottobre la gente di Piadena (Mantova)
attaccò a sassate la scorta a un convoglio di reclute facendone fuggire
la maggior parte. Il 6 novembre la direzione delle rassegne comunicò
che 30 coscritti di Viganella (Agogna) si erano armati “nel disegno
d’opporsi alla leva” andando a far proseliti in Valle Antrona. Il 26 il
generale Villata riferiva un ammutinamento del 3° RI di linea: mai –
osservava – il coscritto si era dimostrato “più indisposto al servizio”.
* * *
Nel totale sono inclusi i contingenti requisiti della guardia reale (571
guardie d’onore, 2.034 veliti e 3.099 coscritti) e 2.016 cavalli montati
del 1813. Non sono invece inclusi 2.059 guardie e veliti volontari, i
1.600 volontari del 1812 e la maggior parte dei 2.098 volontari del
1813 e dei 12.078 latitanti catturati o consegnati a seguito delle retate
del 1811 e 1812, dal momento che i renitenti e le reclute disertate al
deposito dovevano essere rimpiazzati dai cantoni e poi dai comuni.
Tale cifra compensa però il mancato completamento della leva
dell’autunno 1813 e delle leve dalmate (il cui gettito effettivo è
stimato da Zanoli a soli 8.000 uomini). Si può pertanto ritenere che dal
1803 al 1813 siano entrati nell’Armata attiva solo 170.000 uomini,
inclusi 8.000 dalmati. Con l’aggiunta di 5.000 ufficiali e dei 10.000 in
servizio nel 1803, si ha un totale di 185.000, di cui un dodicesimo
esteri.
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5. RECLUTAMENTO
E COSCRIZIONE
(1806-15) *
Il regolamento esecutivo
Il regolamento esecutivo, pubblicato sul Monitore del 17 aprile (e poi
ancora l’8, 15, 19 e 28 maggio), disponeva inoltre l’inclusione nelle liste
di leva dei condannati, escludendo invece i curati, gli ordinati in sacris,
gli allievi dell’accademia militare e del bureau topografico, i dottori e
chirurghi, gli individui già arruolati (ma non le guardie civiche),
gl’iscritti nella leva di mare, gli abitanti assenti da oltre tre anni e i
militari in congedo assoluto. Stabiliva inoltre l’altezza minima di 4 piedi
e 9 pollici (m. 1,54), la visita medica d’idoneità, l’obbligo dei comuni di
rimpiazzare le reclute fuggite durante la marcia al deposito e
disciplinava l’accordo privato tra il surrogato e il suo sostituto.
Alla fine dell’anno erano state incorporate solo 2.800 reclute, pari al
64 per cento del contingente: ne mancavano ancora 1.565, in ogni modo
insufficienti per colmare il deficit di 8.207 mancanti al completo degli
organici. La provincia di Napoli dette in un anno solo 208 reclute. Nel
timore di disordini, su consiglio del ministro della guerra, il re decise di
soprassedere alla leva del 1808. In compenso, con legge N. 97 del 2
marzo 1808, fu introdotto nel regno l’istituto francese dell’iscrizione
marittima per il reclutamento degli equipaggi [v. tomo III] e si autorizzò
l’arruolamento di detenuti per delitti d’opinione, assegnati ai corpi
destinati alla Spagna: nel primo bimestre del 1808 furono spediti a
Mantova 620 condannati per ragioni politiche, robusti e abituati alle
fatiche.
In un rapporto del marzo 1808, Lamarque citava ad esempio della
«répugnance pour la discipline militaire», la diserzione di 40 coscritti
lucani, unitisi ai briganti. Nel rapporto di aprile dalla subdivisione di
Lagonegro, Desvernois sosteneva che non c’era stato ancora un solo
sorteggiato tra i figli dei “galantuomini”, dei sindaci, dei decurioni o
anche di un semplice proprietario «prépotent par la fortune»: i magistrati
preposti al sorteggio non si facevano alcuno scrupolo di non mettere i
loro nomi nell’urna e di far così ricadere il peso della coscrizione
esclusivamente sui figli dei poveri braccianti, senza che alcuna autorità
superiore, civile o militare, intervenisse per far cessare questa «criante et
monstrueuse» ingiustizia. L’effetto era di spingere i giovani a darsi alla
macchia e unirsi ai briganti che assicuravano loro protezione e
benessere, finendo poi impiccati o fucilati, quando avrebbero potuto
divenire buoni padri di famiglia se magistrati integri, degni di tale bel
nome, avessero condotto il sorteggio con equità e senza favoritismi.
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non era stato ancora deciso nulla riguardo ai detenuti giovani che si
erano offerti come volontari. Il 1° settembre ordinava l’invio di 250
detenuti al 3° di linea in costituzione a Gaeta e il 17 di 500 briganti del
Cilento al 2° leggero di stanza a Roma. Il 21, pur avendo appena
comunicato a Saliceti che Napoleone non voleva più galeotti per la
Spagna, chiese all’imperatore di autorizzarlo ad inviarne 1.500 come
rinforzi, sollecitando la risposta con lettere del 6 e 11 ottobre. Il 6
dicembre, da Parigi, ordinò a Saliceti di fare una retata notturna degli
amnistiati. Intanto, il 27 novembre, era partito da Napoli il primo
convoglio di 1.000 galeotti destinati di rinforzo al 2° di linea. Il 12
gennaio (o febbraio) 1810 ne partì un II di 1.050 (o 942) per il 1° di linea
e il 2° cacciatori, seguito da un III di 980 per il 1° leggero e da un IV,
arrivati a Gerona il 4 agosto. Un V, partito il 29 (o 25) luglio, fu fermato
alla frontiera italiana e rimandato indietro per ordine di Napoleone.
Secondo lo stato di situazione del 31 dicembre 1810, i convogli inviati
in Spagna nel corso dell’anno furono tre, di 1.417, 1.182 e 989 rinforzi,
per un totale di 3.588, di cui 1.290 disertati durante la marcia o “rimasti
indietro” e 2.298 incorporati. Il loro arrivo consentì il rimpatrio di circa
un migliaio di veterani, in parte riformati e in parte ammessi nella
guardia reale o nella gendarmeria, ma gli ex-galeotti, in massima parte
briganti, disertarono quasi tutti in pochi mesi con l’aiuto della resistenza
spagnola, che li indirizzava a Tarragona dove venivano imbarcati per la
Sicilia, finendo arruolati nell’esercito borbonico o inglese oppure
rimandati in Continente per alimentare il brigantaggio [v. tomo II,
“Fanteria e Cavalleria”].
nove a otto, dal compimento del 17° sino al compimento del 25° anno di
età – escludendo perciò i venticinquenni (1786) e includendo i
diciassettenni (1792) – e le numerava (in cifre romane) a cominciare
dalla più giovane. A complicare le cose, le classi includevano i nati dal
1° marzo di un anno al 28 febbraio dell’anno seguente: la I era perciò
formata dai nati negli ultimi dieci mesi del 1792 e nel primo bimestre del
1793, la II dal 1791-92 e così via [III-1790-91, IV-1789-90, V-1788-89,
VI-1787-88, VII-1786-87, VIII-1785-86].
La numerazione delle classi implicava l’abbandono del sistema
napoletano del sorteggio promiscuo fra tutte le classi e l’adozione del
sistema francese e italiano, che faceva gravare la leva principalmente
sulla classe più giovane (maturata nell’anno precedente), attingendo alle
più anziane, in ordine inverso all’età, solo se il gettito effettivo della
prima classe non era sufficiente. Ciò accadeva di frequente, soprattutto
nei comuni meno popolosi, sia perché il contingente era commisurato
alla popolazione e non al numero dei requisibili, sia per effetto delle
esenzioni per difetto di statura, infermità e condizioni familiari.
Malgrado ciò, l’onere sociale della coscrizione ne risultava fortemente
alleggerito e al tempo stesso distribuito in modo più equo sulla
popolazione, col duplice vantaggio di renderlo più accettabile e
diminuire perciò la renitenza, nonché di militarizzare gradualmente, di
anno in anno, una fetta consistente della popolazione. Dal punto di vista
dell’organica militare, mutava anche la funzione della leva, non più
concepita come misura straordinaria di completamento degli organici di
guerra, ma come sistema ordinario di reclutamento dell’esercito,
graduabile (in modo più efficace, sicuro e meno oneroso dell’ingaggio
volontario) in rapporto agli obiettivi di forza stabiliti annualmente dal
governo.
Ex–art. 3 e 5, il ministro della guerra era incaricato di presentare al re
il quadro del contingente da somministrarsi dalle diverse classi secondo i
bisogni dell’armata, un regolamento sulle operazioni di leva e i criteri di
selezione, il quadro delle infermità “portanti invalidità assoluta per il
servizio”, un’istruzione sulle modalità della visita di leva e sulla
certificazione delle infermità, nonché un regolamento sulle indennità da
pagarsi dai coscritti riformati per infermità e per l’impiego dei fondi
provenienti da tali indennità. [Con disposizione del 19 febbraio
l’indennità fu determinata nel raddoppio dell’imposta fondiaria gravante
sulla famiglia dell’esonerato].
Erano eccettuati dalla leva di terra gli appartenenti all’iscrizione
marittima, a condizione di documentare l’arruolamento in uno degli 8
battaglioni marittimi del regno (art. 4), e i maritati anteriormente alla
data del decreto (art. 6). L’arruolamento volontario nei veliti, nelle
Ilari – Reclutamento e coscrizione 1800-1815 85
progressivi. L’estrazione dei nomi era fatta dal parroco, mentre erano gli
stessi coscritti, nell’ordine in cui erano chiamati, ad estrarre un numero
dalla seconda urna (in loro assenza l’estrazione era fatta dal padre, o
dalla madre, o da un altro parente o, infine, dal parroco). Le estrazioni
erano subito registrate dal cancelliere del giudicato di pace o del comune
e controfirmate dai coscritti, che potevano accordarsi per lo scambio di
numero (purché senza pregiudizio degli altri). Tre copie delle liste dei
sorteggiati e dei refrattari erano trasmesse al sottointendente, che le
inoltrava all’intendente e al direttore generale.
Entro tre giorni dal sorteggio i contingenti comunali, completati
attingendo progressivamente ai refrattari e ai sorteggiati in ordine di
classe e di numero, dovevano essere accompagnati dal sindaco al
capoluogo della provincia, e sottoposti entro ventiquattrore a visita
medica: i riformati dovevano essere subito rimpiazzati dal comune,
mentre gli idonei erano avviati al deposito generale di Napoli, salva la
facoltà di presentare un cambio. I chiamati che non si presentavano al
capoluogo entro 10 giorni dall’arrivo del contingente del loro comune
erano iscritti nella lista dei refrattari, subito pubblicata e trasmessa in
copia al comandante militare e al regio procuratore. Il cambio era
ammesso alla tariffa di 25 ducati da pagarsi allo stato, rimborsabili in
caso di richiamo personale per diserzione del rimpiazzo. I componenti
dei consigli di reclutazione rispondevano patrimonialmente della qualità
dei cambi da loro ammessi.
preti, uno di Canzano (TE) che aveva alterato i numeri estratti e due di
Polla (SA) che avevano alterato i registri per evitare il servizio militare a
cinque giovani, due dei quali loro nipoti. Il 27 maggio il re protestava
con Daure, avendo appreso che in alcune province la leva era stata
sospesa senza suo ordine. Con circolare del 13 giugno agli intendenti il
ministro deplorava i ritardi nell’invio del contingente. Il 19 giugno
Pietro Colletta, intendente a Monteleone, giustificava la sospensione
della leva con il rischio di alimentare brigantaggio ed emigrazione in
Sicilia: inoltre, essendo tutta la linea riunita a Scilla, l’esecuzione
sarebbe gravata sui soli legionari, il che poteva dar luogo a disordini,
essendo essi stessi soggetti alla leva o fratelli di coscritti.
Emerse intanto un altro trucco usato dai giovani delle classi più
elevate per dispensarsi dal servizio militare, quello cioè di sollecitare un
impiego da ufficiale per chiedere la dimissione dopo pochi mesi. Con
circolare del 23 giugno il ministro comunicò una decisione reale del 12
che dichiarava soggetti a coscrizione gli ufficiali dimessi prima di aver
compiuto 4 anni di servizio, di cui almeno due come ufficiali. Altra
ministeriale del 7 luglio vietò ai consigli d’amministrazione dei
reggimenti di arruolare (come stava avvenendo) coscritti sorteggiati per
il contingente attivo e destinati perciò al deposito generale di Napoli,
“giacché se la scelta de’ corpi dipendesse dal capriccio degl’individui
chiamati al servizio” si sarebbe alterata la ripartizione del contingente in
base alle priorità organiche e operative stabilite dal governo.
Secondo il Monitore, in luglio (con tre mesi di ritardo rispetto ai tempi
stabiliti dal decreto) la leva era finalmente quasi completata: da Salerno,
Foggia e Matera mancavano solo poche reclute; Avellino, Campobasso e
Chieti avevano dato l’intero contingente, Teramo 12 volontari in più e
all’Aquila si attendeva il ritorno dei lavoratori stagionali dalla Toscana e
dall’Agro Romano per completare la quota. A Bari e Lecce c’erano state
iniziali difficoltà «di cui (era) difficile assegnare la cagione»; i Casali di
Napoli avevano terminato e la sola capitale era in ritardo. Il Monitore
ometteva di sottolineare che, per non rischiare di alimentare il
brigantaggio nelle immediate retrovie dell’Armata di Scilla, la leva era
stata sospesa nelle due Calabrie (fu poi attuata, come vedremo, nel
gennaio-febbraio 1811).
Il 25 luglio era al completo anche la quota dell’Aquila, ma la provincia
restava in debito dei veliti e guardie d’onore e l’intendente minacciava di
mandare i “gendarmi in tansa” nelle case dei refrattari: in compenso
informava i più abbienti che potevano sostituire la tassa di esonero per
inabilità fisica con una somma una tantum pari al costo di un gendarme
montato. Il 1° agosto l’intendente di Avellino preferiva invece esortare
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erano inclusi nel totale degli attivi anche i contingenti dei veliti e guardie
d’onore, e inoltre 500 fabbri e falegnami – 300 costruttori navali per gli
arsenali di Napoli e Castellammare e 200 operai d’artiglieria (artefici
dell’arsenale del Castelnuovo e armieri delle manifatture di
Gioacchinopoli) – levati con decreto N. 1282 del 23 marzo 1812. Il
decreto N. 1319 confermava inoltre le esenzioni individuali dei figli
unici, dei vedovi con prole, degli ammogliati in data anteriore al 4
gennaio 1810, dei minatori e fonditori della Mongiana, degli impiegati
con soldo della regia delle sussistenze militari, dei giovani con due
fratelli alle armi di cui almeno uno nei veliti o guardie d’onore, degli
ufficiali delle legioni provinciali con speciali benemerenze e anzianità di
servizio e, in generale, degli addetti alle manifatture reali.
La classe chiamata era il 1793, che aveva compiuto diciott’anni nel
1811 e non era stata ancora “allistata”. Tuttavia, come faceva presente il
sindaco di Napoli il 25 aprile, i nati nel primo bimestre del 1793 erano
già stati soggetti alla leva del 1811 e di conseguenza la leva del 1812
gravò principalmente sui nati negli ultimi dieci mesi del 1793. I comuni
dovevano formare a tal fine una nuova lista, includente sia i nati nel
1793, sia i recuperati dalle leve precedenti, ed effettuare il sorteggio
entro il 20 maggio, completando il contingente sulle classi I-VI (1792-
87) stabilite dal decreto del 4 gennaio 1810. I recuperi furono disposti
con decreti N. 1321 e 1322 dello stesso 10 aprile, mediante revisione dei
titoli di esenzione, rettifica dei casi di mancata o doppia iscrizione e
revisione dei riformati per bassa statura (stabilendo in via generale che i
riformati a tale titolo fossero rimisurati ad ogni leva fino al 21° anno di
età). In compenso, con decreto N. 1320, sempre del 10 aprile, i coscritti
non chiamati alle armi delle classi VII (1786) e VIII (1785), già
compresi nelle leve del 1807 e 1809, furono definitivamente esonerati
dagli obblighi militari.
L’incorporazione doveva avvenire entro il 1° luglio, con partenze dai
capoluoghi di provincia scaglionate al 10, 20 e 30 giugno. Dopo la
partenza del I scaglione non erano ammesse sostituzioni per cambio di
numero e le reclute partite dopo il III decadevano dal diritto di dare un
rimpiazzo (salvo speciale autorizzazione sovrana). I rimpiazzi dovevano
appartenere alle classi dai 25 al 29 anni (1782-86), cioè a quelle non più
soggette alla leva.
collettiva della provincia, e del resto anche nella leva del 1812 fu gravata
da un contingente di 1.855 coscritti (destinati al 1° e 2° di linea o agli
artefici). Solo in sede di ripartizione del contingente provinciale fra i
quartieri e i comuni del distretto erano stati esonerati i quartieri litorali e
i comuni detti “mediterranei” (Pianura, Soccavo, Barra, Ponticelli, S.
Anastasia). Il 17 aprile 1811 il ministro degli interni aveva inoltre
respinto il ricorso di Portici e Resina contro la loro inclusione nella leva
di terra, osservando che il contingente della città e distretto di Napoli era
stato diminuito di 200 unità rispetto alla leva del 1810 proprio per
compensare i cittadini soggetti alla leva di mare. Tuttavia il 14 febbraio
1812 l’intendente di Napoli aveva segnalato le iscrizioni marittime fatte
al solo scopo di sottrarsi alla leva e aveva proposto di stabilire un limite
di età per l’iscrizione (il compimento del 16° anno) e l’obbligo di
certificare il mestiere con attestato del parroco o del sindaco.
Come abbiamo detto, alla provincia di Napoli fu imposto nel 1812 un
contingente attivo pari al totale del 1811; la quota della capitale fu però
diminuita di ben 360 unità, a carico del resto della provincia. Giocando
sull’ambigua formulazione del decreto, l’intendente sollevò un capzioso
quesito, chiedendo di poter compensare le 1.855 reclute richieste per
l’esercito con le 1.890 già fornite alla marina, e, in attesa della risposta,
sospese la leva. Non appena informato, Murat ordinò di riprenderla, ma
era già il 23 giugno, e l’ordine giunse a Napoli dopo la scadenza dei
termini per l’incorporazione del contingente attivo.
Durante l’esecuzione della leva, Murat dette nella stessa settimana due
esempi contraddittori di clemenza e rigore: il 18 febbraio graziò un
disertore condannato a morte, il 26 rifiutò la grazia, chiesta dallo stesso
colonnello del reggimento di appartenenza, ad un disertore recidivo di
21 anni, fucilato a Napoli. Il 1° marzo, con decreto N. 2051 da Bologna,
Murat chiamò alle armi i 4.000 riservisti della leva in corso (con
partenze al 15 e 20 aprile). Nella lettera del 3 marzo in cui ringraziava
Metternich per la ratifica del trattato di alleanza austro-napoletano,
citava a prova della sua lealtà e buona volontà di non aver fino ad allora
applicato la leva negli Stati Romani e in Toscana, ma la giudicava
indispensabile e avviava che intendeva prepararla, «afin d’abreger les
lenteurs, si elle s’exécutera». [Aveva del resto già preso al suo servizio
parte dei 17 ufficiali e 524 soldati italiani della guarnigione della
cittadella di Ancona che si era arresa il 18 febbraio]. Con decreto N.
2071 dell’8 aprile, sempre da Bologna, Murat soppresse la direzione
delle riviste e della coscrizione, lasciata vacante dopo le dimissioni date
il 22 febbraio, per non combattere contro la Francia, dal terzo e ultimo
direttore generale, maresciallo di campo Pégot.