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LA RIVOLUZIONE DELLA TUNISIA di Lorenzo Declich In Geopolitica delle emozioni Dominique Mosi[1] descriveva il mondo musulmano, e in particolare il mondo

arabo, come il polo mondiale della "cultura dell'umiliazione". Il ricercatore francese, non senza qualche semplificazione di troppo, coglie un aspetto, quello di una percezione di s nel mondo, decisamente logorata e tesa verso la prostrazione che in molti, negli ultimi decenni, hanno indicato come principale causa del montare del fondamentalismo islamico il pi famoso "motto" dei Fratelli Musulmani proprio "L'islam la soluzione" al punto che, nell'analisi di Mosi e di molti altri prima di lui [2], il terrorismo diviene diretta espressione di questo stato di cose [3]. Nel libro l'ipotesi di una rivolta non era nemmeno presa in considerazione (non il solo: i commentatori, convulsamente, sono intenti a rielaborare le categorie di analisi per la sponda Sud del Mediterraneo, o per il mondo arabo, o per il Medio Oriente) e questo il motivo per cui, a partire dal 14 gennaio scorso, giorno in cui Zin al-Abidin Ben Ali fugge in Arabia Saudita sotto la pressione delle proteste, le analisi in esso contenute diventano deboli. Ma non proprio da buttare: la cifra della rivolta tunisina proprio l'umiliazione, anche se circostanziata e direzionata in maniera differente rispetto a quanto immaginato. La prostrazione e l'umiliazione dei tunisini aveva individuato il proprio nemico nell'autocrate e i suoi sodali, non nell'"Occidente" o negli excoloni il vero nemico, mentre il discorso terrorista legava irrimediabilmente i due piani, e in senso gerarchico, nel calderone del "conflitto di civilt". Il fatto molto chiaro considerando che il gesto estremo da cui tutto nasce lauto-immolazione nel fuoco di Mohamed Bouazizi compiuto in risposta a un'altrettanto estrema umiliazione inflitta non dall'"Occidente" o dal "Faraone" di coranica memoria, bens dal sistema dittatoriale e corrotto messo in piedi da Ben Ali in 23 anni di "regno". Come sottolinea Ahmed Okasha, presidente dell'Ittihad al-atba' alnafsiyyin al-`arab, un'associazione di psichiatri arabi, in un'intervista al giornale online Qantara.de: "il suicidio in genere un grido di aiuto, un atto di protesta contro una situazione particolare, un appello contro l'impotenza, la disperazione e la frustrazione". Ma allo stesso tempo ha avuto luogo: "di fronte a edifici pubblici come per dire: 'Noi siamo impoveriti e infelici. Voi non potete aiutarci..." [4]. Il dato generazionale fondamentale perch Bouazizi, e di seguito i suoi emuli tunisini, non aveva avuto nella sua vita altro riferimento che Ben Ali e il suo malgoverno. Era quello l'obiettivo della sua protesta, il suo gesto non esprimeva un retaggio che andasse oltre i confini della sua situazione contingente e della sua generazione: non risaliva alle radici storiche di quello stato di prostrazione, non si appellava ad una leggendaria "fierezza araba" alla Lawrence d'Arabia, non immaginava una "rivoluzione araba" o "storia araba" nel cui solco iscriversi n, tanto meno, aveva come riferimento il "martirio sulla via di Dio" di ispirazione islamica. Per riprendere le parole di Okasha: "Non credo che [quel suicidio] avesse qualcosa a che vedere con fantasie martiriologiche ... molte persone senza prospettive per la loro frustrazione, disperazione e impotenza, hanno capito come deve essersi sentito [Bouazizi] e lo hanno visto come una sorta di role model". Ci che impedisce al mondo dell'informazione di considerare in progress la dinamica di quella che da sommossa localizzata diventer nel giro di una decina di giorni una rivolta generalizzata , insomma, una sorta di livello di improbabilit percepito, nel quale lelemento che spicca non il conteggio delle vittime dirette della repressione di piazza, bens l'aumentare di emuli di Bouazizi. 17 dicembre-14 gennaio Il 17 dicembre Ben ali a Dubai in vacanza con tutta la famiglia. E' partito col suo aereo privato e non ritiene di dover rientrare in patria per gestire la situazione. Il giorno seguente la prima grande manifestazione di protesta, per le strade di Sidi Bouzid, viene repressa con violenza. Due giorni dopo la

stessa situazione si ripresenta a Menzel Bouzaiene e tre giorni dopo, il 20 dicembre, Ben Ali decide di tornare, lasciando la famiglia a Dubai, per fare una dichiarazione in televisione: a tre giorni di distanza le proteste sono gi estese a tutte le grandi citt del paese, da nord a sud: Biserta, Ben Guerdane, Jendouba, Tunisi, Sousse, Kairouan, Sfax, Zarzis, Djerba. Tutte, sommariamente, si svolgono sullo stesso copione: gli assembramenti (spesso di fronte alle sedi del sindacato l'Ittihad al-`amm al-tunisi lil-shughl, Union Gnrale Tunisienne du Travail, UGTT) muovono verso i luoghi-simbolo della corruzione e del malgoverno: le stazioni di polizia, i governatorati. Da tumulto la protesta divenuta subito rivolta e le parole d'ordine sono gi tutte in campo: la Tunisia vuole democrazia e libert, Ben Ali deve dimettersi, il partito del Presidente il Rassemblement Constitutionnel Dmocratique, RCD - deve sciogliersi, gli amici del dittatore devono cadere insieme al sistema corrotto che ha consegnato la Tunisia nelle mani di Leila Trabelsi - la moglie di Ben Ali - e la sua ramificata rete familiare, lo Stato di polizia deve cessare. I media iniziano a interessarsi alla Tunisia pi tardi, verso la fine di dicembre. I paradigmi interpretativi abituali sono insufficienti. Una protesta del genere, per molti, non sembra avere paralleli se non con le "rivolte del pane" degli anni '70 e '80. L'analisi - che fa capolino sintomaticamente in conseguenza dei primi moti in Algeria - si concentra sulla congiuntura economica mondiale ma, vista la solidit delle rivendicazioni dei manifestanti, appare mutila. Spia di questa insufficienza , ad esempio, la mancanza di elementi che servano a decrittare la partecipazione, fin dai primi giorni, accanto ad alcuni settori del'UGTT, di comitati di avvocati e magistrati, che escono in corteo dalle procure, compatti, e si uniscono alle proteste. Non siamo di fronte a una rivolta popolare spontanea: lo scontento si registra anche - e soprattutto - in quella che tutti possono riconoscere come classe media: i funzionari del Foro. Quello che non viene riconosciuto, per ora, insomma il secondo corno del problema tunisino, cio l'assenza di democrazia e di libert d'espressione, che porta la marea fino a Tunisi, il cuore del paese. Le forme e modi delle prime manifestazioni di scontento nella capitale gi disegnano un'immagine di un altro fondamentale segmento di protestatari: i giovani istruiti e disoccupati che vivono in uno stato di umiliazione paragonabile - in una geometria scalare - a quella dei loro omologhi meno fortunati, e che usano con perizia gli strumenti che permettono di aggirare, sulla rete internet, i divieti del regime. La protesta esordisce nella capitale in forma di flash mob, una mobilitazione tipica di chi usa il web o i social network e che punta sull'effetto sorpresa. Sar questo segmento del movimento tunisino a organizzare il flusso delle informazioni verso i media internazionali, ricevendo aiuto, in forma di supporto logistico e di blocco di una serie di siti governativi, dallorganizzazione internazionale di hackers nota per aver appoggiato Julian Assange nei primi giorni del cablegate: Anonymous. Saranno loro che, galvanizzati proprio dalle rivelazioni di Wikileaks, che finalmente danno una visibilit a problematiche di corruzione e malaffare gi ampiamente trattate[5] ma disconosciute dal mondo dell'informazione, renderanno il mondo consapevole - attraverso la rete dei bloggers e i social network - che la rivolta tunisina coinvolge l'intera societ e ha una piattaforma rivendicativa pi che solida. Una rivolta che, nella percezione dei suoi protagonisti - e progressivamente in quella degli osservatori - assomiglia sempre pi a una rivoluzione. E infatti una vera e propria onda rivoluzionaria quella che, nel giorno della fuga di Ben Ali e dopo violenti scontri e centinaia di morti, porter i manifestanti in festa verso l'edificio del Ministero dell'interno per chiedere la messa al bando dell'RCD. Ed proprio di fronte a quel palazzo si infranger il "sogno rivoluzionario", perch l le rivendicazioni seppur sacrosante andranno a cozzare contro la reazione di un sistema politico-economico nazionale che Ben Ali incarnava ma di cui non era certo l'unico attore e contro criticit economiche ben pi ampie della dimensione nazionale la cui soluzione non stava, solo, nella rimozione dei simboli. From drill to skill

Allindomani del 14 gennaio in molti si sono chiesti quanto il dato congiunturale possa aver influito nellaccendersi della rivolta tunisina. Una delle analisi pi brillanti a questo riguardo certamente quella di Vicken Chetarian su Open Democracy [6] in cui accanto a unosservazione del dato demografico, in costante crescita, si osservava che il mondo arabo dovr far fronte in maniera a un crescente bisogno di approvvigionamento di cibo, energia e acqua. Questi tre elementi, associati alla chiusura dei sistemi politici che determinano un sempre pi accentuato senso di ingiustizia, rendono i paesi interessanti vere e proprie bombe ad orologeria. Nello specifico tunisino ci che le analisi mancavano di rilevare, era effettivamente il differenziale che a partire dallarrivo di Ben Ali nel 1987 a oggi si andava accumulando fra indicatori economici, sempre in crescita da un lato, e distribuzione della ricchezza ed equit sociale dallaltro. In questo senso aver inserito la Tunisia nel tradizionale contenitore africano o nordafricano e mediorientale pu aver falsato il piano di osservazione nella misura del fatto che il paese, in quel contesto, si trovava in cima o quasi a tutti gli indicatori del livello di democrazia e di libert despressione, di salute delleconomia, di maturit del sistema giudiziario. Mentre proprio la carenza di tutto questo ha giocato un ruolo fondamentale come elemento di fusione delle istanze di tutti i settori della societ tunisina, dagli avvocati che come abbiamo visto hanno partecipato fin dallinizio - ai sindacati delle diverse categorie - liberatisi dei quadri di pi alto livello collegati al regime - dai giovani lavoratori pi svantaggiati o disoccupati che vivono nellindigenza e nella mancanza di prospettive, fino ai figli della sottile borghesia tunisina che, in un altro modo scontano lo scotto di vivere in un paese dove libert di espressione e democrazia non esistono. Larticolo di Chetarian ci serve, fra le altre cose, come cartina di tornasole per leggere il presente postrivoluzionario in una prospettiva non evenemenziale. Dopo il 14 gennaio i suicidi non sono cessati cos come le proteste si sono per lo pi indirizzate - tornando in periferia - verso quei luoghi, simbolici fino a un certo punto, che le avevano contraddistinte in partenza: i posti di polizia e le prefetture. A questi elementi di continuit si aggiunto un nuovo dato anchesso coerente nel quadro tracciato e ben interpretabile nella visione della crisi economica mondiale: in uno scenario in cui la mancanza di controlli nei porti tunisini punto forte della stabilit garantita da Ben Ali alleggerisce la pressione generatasi allinterno, migliaia di persone ridotte in miseria tentano la fuga via mare e sbarcano sulle coste italiane (sappiamo che probabilmente il fenomeno acuito dalla politica di alleggerimento delle pressioni interne di Gheddafi, ma il dato esiste). Sono entrambi segnali, questi, che ci fanno comprendere quanto la cosiddetta rivoluzione del gelsomino sia solo uno dei sintomi, il pi eclatante dal punto di vista mediatico, di uno stato di sofferenza permanente e in crescita, che si avvita su se stesso in momenti di crisi delleconomia e si acuisce in assenza di democrazia. La Tunisia, cos come altri paesi della sponda Sud del Mediterraneo coinvolti nell'ondata di proteste di questi mesi, vive insomma una crisi congiunturale cui si assommano problematiche strutturali. Ma proprio qui che possiamo chiamare rivoluzionari gli eventi tunisini: lesito principale della rivoluzione tunisina infatti la nascita, in questo scenario, di una praticabilit della politica. Il parametro che Chetarian considerava per ultimo, la giustizia, viene stravolto. Pane e libert Sarebbe sbagliato pensare che la rivoluzione del gelsomino non affondi le radici nel passato anzi, ci che si pu dire al questo proposito e che i precedenti non erano stati letti, a suo tempo, nella chiave giusta. Il riferimento alle vere e proprie rivolte che hanno avuto luogo in due zone del paese tanto diverse dal punto di vista socio-economico quanto simili dal punto di vista della disperazione in cui erano state trascinate, e prototipiche dal punto di vista delle modalit di azione delle forze in campo: larea mineraria interna e la frontiera con la Libia. La prima rivolta rimonta al gennaio del 2008, lo scenario principale la citt mineraria di Redeyef, dove

in seguito a un concorso pubblico truccato per 80 posti di lavoro presso la CPG, la Compagnie des Fosfates de Gafsa, i disoccupati della citt occupano la sede regionale dellUGTT, considerato correo del misfatto, ricevendo subito la solidariet di alcune parti del sindacato stesso e di pezzi della societ civile locale e nazionale. Nello svolgersi delle proteste e delle lotte che si organizzeranno nei mesi successivi soffocate nella violenza e chiusesi con larresto e lincriminazione dei leader della rivolta fra cui il sindacalista Adnan Hajji, segretario del sindacato degli insegnanti assisteremo al formarsi di quelle forze di opposizione sociale e a quelle modalit di protesta che ritroveremo due anni pi tardi. La seconda invece dellestate 2010 e ha come epicentro Ben Guerdane, una cittadina alla frontiera con la Libia la cui economia basata sullimportazione legale e illegale di merci da quel paese. I commercianti sono gi in agitazione per una tassa introdotta un anno prima dai libici sulle vetture in entrata in Libia. Ma a ribellarsi lintera citt quando, il 15 agosto, viene chiusa la dogana di Ras elJedir, da dove passano ogni giorno e senza grandi controlli migliaia di vetture tunisine piene di merce di contrabbando. Gli scontri si verificano proprio sulla frontiera ma poi si spostano in citt dove, nei tre giorni seguenti, si intensificano. Il 19 agosto, finalmente, la frontiera riapre per sempre in quella che tutti leggono come una vittoria della popolazione contro le pretese del regime. Guardando ai moti di Ben Guardane intravediamo la reazione popolare allintromissione - giunta a un livello intollerabile - del clan Ben Ali-Trabelsi nella vita economica del paese. Il momento di rottura si verifica quando alla popolazione viene tolta anche la possibilit di vivacchiare sul piccolo contrabbando, e questo certamente spia di una disperazione profonda. Nel contesto dei moti di Redeyef, oltre ad assistere in nuce a quel tipo di alleanza fra settori della societ che vedremo vincere due anni dopo, ritroviamo invece una spiegazione del perch nella rivoluzione del gelsomino alcuni giovani rivoltosi decideranno di togliersi la vita gettandosi sui cavi dellalta tensione: la prima vittima della rivolta mineraria Hicham Ben Jeddou, che muore fulminato a Tabeddit nel tentativo di bloccare, insieme ad altri manifestanti, gli impianti della CPG laddove la polizia, secondo i manifestanti, ad aver causato la sua morte, riallacciando la corrente proprio nel momento in cui il ragazzo si aggrappava ai cavi. Lemulazione dei rivoltosi del 17 dicembre, in questo caso, non ha pi molto a che vedere con il dato della disperazione e dellumiliazione in s. Rappresenta un passo in avanti, un porre in pubblico, attraverso un gesto estremo, unistanza politica. Let della politica Verso la fine di gennaio K. Selim, un giornalista di Orano che scrive sotto falso nome sul quotidiano della seconda citt algerina descriveva in questo modo gli esiti principali della rivoluzione tunisina: Lentusiasmo nellopinione pubblica dovuto al fatto che i tunisini sono appena entrati nellet della politica e hanno cessato di essere sudditi per diventare cittadini. E questo passaggio, inevitabile, allet della politica che dispiace ai regimi e li rende distanti, ostili alla Rivoluzione del gelsomino. Tuttavia, anche se il contagio politico non pu diffondersi come una epidemia di influenza, gi l, in silenziosa incubazione. La Tunisia, democratizzandosi, ha fatto un balzo gigantesco per s e per il resto del Maghreb. Nel caso di quel successo che vogliamo, i percorsi verso la cittadinanza che si forgiano in Tunisia possono aprire, finalmente, una prospettiva reale nel Maghreb [7]. Ed effettivamente in queste prime settimane post-rivoluzionarie la Tunisia sta vivendo una stagione di grande apertura: il solo fatto di poter ragionare sul presente e sul futuro, di poter criticare apertamente una posizione o laltra, sta dando un impulso formidabile per la formazione di un nuovo spazio politico. La descrizione del nuovo "paesaggio sarebbe per falsata se non la si leggesse in relazione stretta col recente passato. A fronte di un partito del capo, lRCD, che in parlamento raccoglieva pi dell80% dei seggi, ci sono gli altri i partiti rappresentati nel parlamento precedente (Mouvement des dmocrates socialistes, Parti de l'unit populaire, Union dmocratique unioniste, Ettajdid, Parti social-libral, Parti des verts pour le progrs) che di opposizione o di governo che fossero hanno oggi la necessit di

svincolare la loro immagine da quella del sistema di potere precedente, ma hanno il vantaggio di poter contare su una struttura e unorganizzazione gi operative. Ci sono poi i partiti che, sebbene riconosciuti, non hanno mai accettato la farsa elettorale del regime (il Parti dmocrate progressiste di Ahmed Njib Chebbi e il Forum dmocratique pour le travail et les liberts) che godono, rispetto ai precedenti, di certo un vantaggio morale. Ci sono infine i partiti dellopposizione non riconosciuta nel precedente sistema che hanno ottenuto la legalizzazione dopo il 14 gennaio (Tunisine Verte, Parti socialiste de gauche tunisine, Parti du travail patriotique et dmocratique tunisien, Ba`th di obbedienza iraqena, i nasseristi progressisti; el-Wifak) e quelli che non sono ancora legali perch non hanno fatto richiesta di legalizzazione o perch la loro richiesta non stata ancora accolta (Ennahda, Parti communiste des ouvriers de Tunisie, Congrs pour la rpublique di Moncef Marzouki, Hizb ut-Tahrir, Mouvement dmocrate tunisine, el-Watan). Questultimo gruppo espressione di un passato repressivo pi o meno lontano o di un presente in ebollizione. In esso troviamo due formazioni dellislam politico (la prima, Ennahda, di impostazione liberal-democratica e la seconda, Hizb ut-Tahrir, salafita e radicale) e il partito di Moncef Marzouki, uno dei leader politici di opposizione maggiormente conosciuti in Francia e in generale allestero, nato nel 2001 e sempre tenuto ai margini, ma anche il Mouvement dmocrate tunisien, lunico partito genuinamente rivoluzionario, nato proprio il 14 gennaio 2011. In termini generali molte di queste formazioni sono il risultato della scissione di un partito dovuta proprio allatteggiamento assunto dai suoi leader in rapporto alle vicende politiche precedenti: lesempio pi evidente quello dei partiti ecologisti, uno parlamentare e laltro appena legalizzato. La sinistra, in genere, si presenta frazionata in socialisti, laburisti, comunisti. Per fare un altro esempio: lantesignano Parti communiste tunisine, nato nel 1920, tornato alla legalit nel 1981 e divenuto post-comunista nel 1993 con il nome di Ettajdid (Rinnovamento) si confronta oggi col Parti communiste des ouvriers tunisiens, o el-Badil, di Hamma Hammami (ancora non riconosciuto), e con una sua scissione risalente agli anni 80, il Parti socialiste de gauche tunisine (riconosciuto dopo il 14 gennaio). A destra sembra avere un futuro assicurato proprio la Nahda di Rachid Ghannouci, il partito di ispirazione islamica, perch quel campo appare oggi tragicamente spoglio in conseguenza alla deflagrazione del partito di Ben Ali e alla caduta di credibilit dei suoi alleati liberal-democratici e/o liberisti. Quel movimento, che pi di tutti ha destato timori nella pubblicistica poco informata, ha infatti da tempo immaginato un proprio ruolo allinterno di un contesto democratico, pluralista e, soprattutto, aperto al libero mercato. Nelle parole del suo leader, intervistato da al-Jazeera[8], il modello di riferimento la Turchia, e pi in particolare il partito del premier Erdogan, lAKP. Ghannouchi si immagina a dirigere un partito demoislamico, aperto al libero mercato, non alla testa di una Tunisia islamica nel contesto di un califfato islamico, come invece vorrebbero fare gli sparuti sostenitori del Hizb al-Tahrir, unorganizzazione politica panislamica, e genericamente salafita, fra le pi diffuse al mondo che ha fatto capolino in Tunisia negli ultimi tempi, ricevendo il biasimo delle altre forze politiche per le sue prese di posizione antisemite e totalitarie. Anche di questo, e cio di paletti, ha bisogno la Tunisia oggi perch questo ci che la rivoluzione tunisina ha ottenuto. Con i nuovi strumenti della democrazia, i tunisini dovranno ricostruire dalle fondamenta le istituzioni, gli apparati, la burocrazia del loro paese. E, ovviamente, affrontare le sue debolezze strutturali. [1] Doubleday, 2009. Unintervista con lautore disponibile online: http://www.carnegiecouncil.org/resources/transcripts/0161.html. [2] A partire, ad esempio, da un testo come L'islamisme radical, di Bruno tienne, Paris,1987. [3] Rileggendo i messaggi di Bin Laden si ritrova in abbondanza il vero e proprio genere dell'invettiva contro i Tiranni, e in particolare contro George W. Bush, il "Faraone moderno", vedi in Anica Biffi, La

comunicazione di Osama bin Laden, 2009 (http://www.islamistica.com/anica_biffi/parla_bin_laden.html). Temi, questi, ripresi in abbondanza da tutta la letteratura jihadista. [4] http://www.qantara.de/webcom/show_article.php/_c-478/_nr-1156/i.html [5] L'opera di denuncia, fino ad ora sottovalutata, gi ampiamente in campo, gi disponibile una letteratura - ad esempio l'ormai famoso "La rgente de Carthage" di Nicolas Beau e Catherine Graciet, 2009, o "Dictateurs en sursis: Une voie dmocratique pour le monde arabe" di Moncef Marzouki con Vincent Geisser, 2009 [6] The Arab crisis: food, energy, water, justice - http://www.opendemocracy.net/vicken-cheterian/arabcrisis-food-energy-water-justice? utm_source=feedblitz&utm_medium=FeedBlitzEmail&utm_content=201210&utm_campaign=Nightly_2 011-01-27%2005%3a30 [7] http://www.lequotidien-oran.com/?news=5148397 [8] http://english.aljazeera.net/news/africa/2011/02/2011233464273624.html

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